TITOLO: Parlarne tra amici
AUTORE: Sally Rooney
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 304
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 4 e mezzo
Ecco un altro esempio di come una scrittura tutto sommato scorrevole e corretta non fa di un libro per forza un buon prodotto.
L'autrice, nonostante sia abbastanza giovane (classe '91), scrive bene ma non è lesbica. E il problema è tutto lì. Non ho capito, alla fine del libro, se voleva scrivere una storia di confusione sessuale, di crescita sessuale o di identificazione sessuale. Non ha scritto nessuno dei tre. Semplicemente, la protagonista, Frances, molto legata alla sua amica di sempre, con cui ha avuto una relazione al liceo, a un certo punto inizia una relazione con un uomo sposato. Poi finisce e lei torna dalla sua amica. Ma poi lui torna. Insomma, qua non si tratta di confusione. Si tratta di una ragazza di ventuno anni che non vuole stare da sola, nonostante tutte le sue pose, e che non ama nessuno dei due, ma solo se stessa.
Sono troppo dura?
Quello che voglio dire è che se vuoi scrivere di una relazione omosessuale non devi infarcirla con un'altra eterosessuale, solo per renderla fruibile a tutti. E se vuoi scrivere di una relazione eterosessuale non devi infarcirla con un'altra omosessuale, solo per seguire la moda del momento o per creare qualcosa di "alternativo". Non è alternativo. E' sciocco. O forse infantile.
O forse non mi ricordo io com'ero a ventuno anni.
Tra l'altro la protagonista, questa aspirante poetessa/scrittrice in una Dublino che avrei gradito vedere di più tra le righe, mi pare la classica tipa che lascia le cose a metà. Ogni tanto si ferisce (le braccia soprattutto), senza che questo significhi molto nell'economia del libro; scopre di avere l'endometriosi, ma non si risolve a dirlo a qualcuno (salvo nelle pagine finali) o a prendere provvedimenti (i medici le hanno suggerito la chirurgia); ha un rapporto a metà con Bobbi, la sua amica, e con Nick, il suo amante; madre e padre non pervenuti (stanno sullo sfondo, danno soldi). Insomma una persona inconcludente che non posso ammirare né in cui posso rispecchiarmi (spero).
Alla fine questo libro mi è sembrato una storia "appesa", senza capo né coda, solo abbozzata. Le critiche entusiaste mi avevano quasi fuorviato, sono stata poco furba a farmi convincere.
Ma non mi ha portato via molto tempo, quindi va bene.
Leggere questo libro? Mah, non saprei a chi consigliarlo, onestamente. Se vi va, leggetelo, ma non prendetelo sul serio, per carità.
Anarchic Rain
domenica 25 novembre 2018
C'è qualcosa che non riusciresti mai a rifiutare, nemmeno in cambio della tua anima?
TITOLO: Needful Things
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 690
VERSIONE LETTA: cartaceo e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9
Per dovere di cronaca, dico subito che ho letto questo libro metà in inglese e metà in italiano, perché non avevo la copia ebook e quando ero fuori casa non riuscivo a staccarmene. Ma è stata in entrambi i casi un'esperienza mistica.
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 690
VERSIONE LETTA: cartaceo e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9
Per dovere di cronaca, dico subito che ho letto questo libro metà in inglese e metà in italiano, perché non avevo la copia ebook e quando ero fuori casa non riuscivo a staccarmene. Ma è stata in entrambi i casi un'esperienza mistica.
Non scherzo, davvero, credo di poter affermare che questo è uno dei libri più belli del Re del brivido, probabilmente da top 5.
Lo zio ci ha abituato già a romanzi corali, cito in ordine cronologico Salem's lot, The Stand, It e The Tommyknockers, quindi non è assolutamente una sorpresa che riesca nel difficile compito di descrivere decine di personaggi e farli interagire.
Ma a differenza dei precedenti romanzi, questo è molto particolare: una sonnolenta Castle Rock (tipico paesino di provincia) viene letteralmente sconvolta dall'arrivo di uno straniero che apre un negozio, Needful Things, appunto.
Cosa c'è di così necessario nelle cose che vende? Ah, qui si apre il mondo, è il punto cardine del romanzo.
Il caro signor Leland Gaunt vende fumo. Fuffa. Polvere. In realtà vende distruzione. E' la sola cosa che sa fare bene, arrivare in un posto tranquillo, in cui la gente più o meno si conosce tutta, e mandarlo in rovina. Dove passa lui non cresce più vita.
C'è da chiedersi se nell'affare di Sodoma e Gomorra c'entrasse lui, in qualche modo.
Ma stavolta gli va male. Stavolta c'è un elemento (o due) che gli rompe le uova nel paniere. Uno dei miei personaggi preferiti di King, Alan Pangborn, sceriffo della Rocca. Lo abbiamo incontrato per la prima volta in The Dark Half.
Alan è un Pistolero, uno che avrebbe tranquillamente potuto trovarsi al di là di una delle porte introvate della Torre Nera, per aiutare Roland ad arrivare alla sua meta. Alan, con i suoi giochi di prestidigitazione, con le sue ombre cinesi, la sua mente intelligente. Con il suo passato schiacciante, che quasi lo annienta.
King ci descrive ogni personaggio nella sua interezza, per quanto arduo possa sembrare: il bambino di 11 anni che vive una situazione particolare a casa (la madre un po' svanita, fanatica del gossip, il padre che lavora in continuazione e il fratello che lo considera un eroe), la dolce pulzella che soffre gli allucinanti dolori di un'artrite precoce e ha un passato che vorrebbe tener segreto, l'ubriacone del paese con i suoi problemi relativi al tenersi stretto un lavoro e tenersi lontano dai bar, la pecora nera (Ace Merrill, che abbiamo già avuto il dispiacere di conoscere nella prima raccolta di novelle, Different Seasons) che torna improvvisamente ubbidendo a un ordine telepatico. Lo sceriffo con un gravissimo lutto nel suo passato che tenta di rifarsi una vita.
Tutti loro si sentono attirati dal nuovo negozio e ognuno ne esce cambiato. Il signor Gaunt sa esattamente quali tasti premere per far scoppiare la scintilla.
E la scintilla scoppia.
E innesca una serie di micce preparate appositamente fino all'inevitabile esplosione finale.
Alan, nonostante per un attimo sembri cadere anche lui nella rete di quel vecchio ragno infernale, riesce per un pelo a salvarsi, grazie a Polly, anche lei salvatasi per un niente dall'inevitabile...cosa? Perdita dell'anima, ovviamente.
Il vecchio ragno (scusate, ma non faccio altro che pensarlo così, nonostante non assuma mai tale forma) altro non è che un collezionista di anime, un Satana itinerante che miete il cuore delle persone.
Devo di nuovo star qui a dirvi quanto è superlativo King a dipingere tutto ciò? Devo davvero, in tutta onestà, ripetere quello che ormai dovreste sapere anche voi che mi leggete ogni tanto, che King è un bulldozer, una scavatrice dell'animo umano come non se ne vedono da secoli (per dire una blasfemia, da Dostoevski, diamine!), un martello pneumatico che arriva sempre in fondo al problema?
E qual è il problema?
Beh, a voler essere semplicistici, il problema è che la razza umana è egoista di fondo. Ma all'egoismo ci aggiunge un serio problema di fiducia nel prossimo, una dose di invidia e una punta (ma proprio una punta) di cattiveria. Mescolate e otterrete ogni città, paese, borgo del mondo.
Leland Gaunt si approfitta da tempo immemore delle debolezze umane, ma stavolta Alan Pangborn gli si para davanti, con tutta la determinazione del Bianco. E ovviamente vince.
Leggete questo libro. Sono pagine cariche di sentimenti, quasi mai positivi, che forse vi spingeranno a riflettere, a scavare dentro voi stessi, ad ammettere cose e cercare di correggerne altre.
Fatevi questo favore, può darsi che ve lo meritiate persino.
Anarchic Rain
sabato 27 ottobre 2018
Una lettura contrastante, rovinata da un finale "indegno"
TITOLO: Maschio bianco etero
AUTORE: John Niven
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 362
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6-
La prima sensazione che ho avuto quando ho chiuso il libro (in questo caso, il kindle, ma è lo stesso) è stata di "stranezza".
Sì, è un libro strano, che si potrebbe descrivere con molti aggettivi, alcuni spesso in netto contrasto: accattivante e snervante, per esempio. Fresco e banale, eccone un altro.
Sono molto in difficoltà a dare un voto.
L'ho iniziato per vari motivi. Ce l'ho da un po' in wishlist, da quando ho terminato A volte ritorno, che mi è piaciuto abbastanza. Di questo mi incuriosiva il titolo. Inoltre quest'anno ho difficoltà a leggere, una sorta di "blocco del lettore" molto prolungato che non mi impedisce di leggere qualche libro, ma non tutti quelli che vorrei. Speravo che la scrittura di Niven mi sbloccasse un po', come ha fatto a marzo Chiamami col tuo nome.
In effetti c'è da dire che l'ho letto tutto d'un fiato.
Ma non posso usarlo come metro di giudizio. Molti libri ho letto d'un fiato ed erano delle ciofeche.
Questo in particolare non è una ciofeca, ma non so come classificarlo. Bah, parliamone, va', magari mi chiarisco.
Il protagonista, Kennedy, è il prototipo che quello che le donne odiano nel maschio bianco etero: narcisista, egoista, distratto, maleducato a volte, poligamo. Insomma uno concentrato solo su se stesso, uno per cui non esiste nulla all'infuori del suo benessere.
E allora perché ho continuato a leggere fino alla fine?
Perché quel coglionaxxo di Kennedy è tutto (davvero tutto) tranne che sleale. E' uno scrittore che sa come si scrive, anche se non lo fa da un po', perlomeno non seriamente (riscrive sceneggiature a Hollywood, per intenderci) e sa perfettamente che la sua vita è un guscio vuoto. E gli sta bene così perché, visto che sa di non volersi impegnare, non finge nemmeno. E a volte l'ipocrisia e il ridicolo della sua vita e di quella delle persone accanto a lui lo mandano fuori di testa (la differenza tra lui e gli altri è che lui lo accetta e non cerca scuse). Forse è questa sua "onestà" che me lo fa star simpatico nonostante sia il prototipo del maschio bianco etero E sciovinista.
Il libro è veloce, poco impegnativo, scritto benissimo, e segue Kennedy nel periodo di svolta (materiale e intellettuale) della sua vita: il tragico ritorno a casa (nel Vecchio Continente). Rivedersi con la ex-moglie, la figlia, il fratello, la madre. Fare i conti con il passato? Forse. Cambio di lavoro (almeno per un anno). Affrontare il futuro? Sembrerebbe.
La cosa che mi ha lasciato un po' così, stordita, è il finale. Quando tutto sembrava puntare verso una direzione (anche abbastanza logica, anche se tragica e forse un tantino patetica), ecco che arriva bruscamente la sterzata a centoottanta gradi.
Mi è piaciuta? No, onestamente non posso dire che mi sia piaciuta. Forse è proprio in quelle ultime pagine che è nascosto il motivo per cui sono così in bilico nel mio giudizio.
E veniamo al dunque: lo consiglierei? Se siete in vena di leggerezza, è comunque un libro scritto bene, le pagine volano e ci si fanno due risatine. Se avete voglia di leggere qualcosa di bello...beh, magari ci sono altri libri oltre questo ;)
Anarchic Rain
AUTORE: John Niven
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 362
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6-
La prima sensazione che ho avuto quando ho chiuso il libro (in questo caso, il kindle, ma è lo stesso) è stata di "stranezza".
Sì, è un libro strano, che si potrebbe descrivere con molti aggettivi, alcuni spesso in netto contrasto: accattivante e snervante, per esempio. Fresco e banale, eccone un altro.
Sono molto in difficoltà a dare un voto.
L'ho iniziato per vari motivi. Ce l'ho da un po' in wishlist, da quando ho terminato A volte ritorno, che mi è piaciuto abbastanza. Di questo mi incuriosiva il titolo. Inoltre quest'anno ho difficoltà a leggere, una sorta di "blocco del lettore" molto prolungato che non mi impedisce di leggere qualche libro, ma non tutti quelli che vorrei. Speravo che la scrittura di Niven mi sbloccasse un po', come ha fatto a marzo Chiamami col tuo nome.
In effetti c'è da dire che l'ho letto tutto d'un fiato.
Ma non posso usarlo come metro di giudizio. Molti libri ho letto d'un fiato ed erano delle ciofeche.
Questo in particolare non è una ciofeca, ma non so come classificarlo. Bah, parliamone, va', magari mi chiarisco.
Il protagonista, Kennedy, è il prototipo che quello che le donne odiano nel maschio bianco etero: narcisista, egoista, distratto, maleducato a volte, poligamo. Insomma uno concentrato solo su se stesso, uno per cui non esiste nulla all'infuori del suo benessere.
E allora perché ho continuato a leggere fino alla fine?
Perché quel coglionaxxo di Kennedy è tutto (davvero tutto) tranne che sleale. E' uno scrittore che sa come si scrive, anche se non lo fa da un po', perlomeno non seriamente (riscrive sceneggiature a Hollywood, per intenderci) e sa perfettamente che la sua vita è un guscio vuoto. E gli sta bene così perché, visto che sa di non volersi impegnare, non finge nemmeno. E a volte l'ipocrisia e il ridicolo della sua vita e di quella delle persone accanto a lui lo mandano fuori di testa (la differenza tra lui e gli altri è che lui lo accetta e non cerca scuse). Forse è questa sua "onestà" che me lo fa star simpatico nonostante sia il prototipo del maschio bianco etero E sciovinista.
Il libro è veloce, poco impegnativo, scritto benissimo, e segue Kennedy nel periodo di svolta (materiale e intellettuale) della sua vita: il tragico ritorno a casa (nel Vecchio Continente). Rivedersi con la ex-moglie, la figlia, il fratello, la madre. Fare i conti con il passato? Forse. Cambio di lavoro (almeno per un anno). Affrontare il futuro? Sembrerebbe.
La cosa che mi ha lasciato un po' così, stordita, è il finale. Quando tutto sembrava puntare verso una direzione (anche abbastanza logica, anche se tragica e forse un tantino patetica), ecco che arriva bruscamente la sterzata a centoottanta gradi.
Mi è piaciuta? No, onestamente non posso dire che mi sia piaciuta. Forse è proprio in quelle ultime pagine che è nascosto il motivo per cui sono così in bilico nel mio giudizio.
E veniamo al dunque: lo consiglierei? Se siete in vena di leggerezza, è comunque un libro scritto bene, le pagine volano e ci si fanno due risatine. Se avete voglia di leggere qualcosa di bello...beh, magari ci sono altri libri oltre questo ;)
Anarchic Rain
mercoledì 12 settembre 2018
Libri e settima arte. Parte III: Chiamami col tuo nome
Dopo aver letto il libro almeno otto volte (ho perso il conto, in realtà) sia in italiano sia in inglese, era impossibile lasciarmi sfuggire l'occasione per parlare del film.
Avrei voluto vederlo al cinema, ma purtroppo non è stato possibile.
Dopo settimane passate a vedere video su youtube, interviste al cast e al regista, videorecensioni e chi più ne ha più ne metta, finalmente sono riuscita a vederlo (in lingua originale, ovviamente, mi rifiuto di vederlo mai in italiano).
Fomentata dai video (alcuni bellissimi) e dalla colonna sonora (davvero azzeccata), non vedevo l'ora di gustarmi il prodotto completo.
Invece.
Ahi, ahi.
Invece ho scoperto che quel prodotto era perfetto come video musicale e molto meno che perfetto come prodotto cinematografico. Ci sono rimasta malissimo e all'inizio non sapevo come spiegarmi un contrasto simile! Non poteva essere il confronto con il libro, perché lo script del film è assolutamente fedele, con tutte le scene che avrebbero dovuto esserci e le poche modifiche fatte assolutamente irrilevanti ai fini della trama. James Ivory non è mica l'ultimo scemo del villaggio! Ha fatto un lavoro magnifico. Non era nemmeno il cambio di scena, dal mare al lago (per questioni di budget, ovviamente, ma comunque non ha modificato troppo lo spirito del libro).
Ma a mente fredda sentivo che mi avvicinavo passo dopo passo al vero Perché.
Alla fine, l'illuminazione.
Gli attori.
Anzi, a dire il vero fino in fondo, un attore.
Elio è interpretato da uno splendido Timothee Chalamet, in un ruolo che sembra disegnato apposta per lui, c'è da chiedersi se Aciman non lo conoscesse prima di scrivere il suo libro! E' un Elio perfetto, non si può che immaginarlo così, anche prima di vedere il film.
Il padre di Elio è la persona fantastica che è nel libro, incarnato da un attore (Michael Stuhlbarg) che ha ancora una volta il physique du role e così sua moglie (Amira Casar).
Il resto è un contorno abbastanza omogeneo, in cui non spicca nessuno ma in cui tutti sono al loro posto.
Come dite? Ho dimenticato qualcuno? Uno dei due protagonisti? Oh, cielo, davvero??
Ok, non so come dirvelo.
A me Armie Hammer non è piaciuto manco per un poco.
Ecco, l'ho detto.
Ma non dico mai niente che non possa spiegare. E ora ve lo spiego.
Non mi ha dato troppo fastidio il fatto che tra Hammer e i ventiquattro anni di Oliver ce ne fossero almeno altri sette in più, avrei potuto farmene una ragione tranquillamente. E' stata la sua piatta espressività a mandarmi in bestia. Oliver ed Elio nel libro sono capaci di comunicare con uno sguardo, con un gesto, un movimento del corpo. Anche quando si fraintendono, è comunque un fraintendimento nato dall'osservazione l'uno dell'altro. Nel film non ho sentito questa chimica, questa reazione esplosiva ogni volta che sono in scena insieme, nel libro facevano scintille, sullo schermo nemmeno il luccichio di una lucciola.
Mi stupisce che chi non abbia letto il libro abbia amato il film, contrariamente a quanto penso di solito, perché oltre che il personaggio di Oliver, anche il montaggio non mi è piaciuto. Mi sono sembrate tutte scene appiccicate tra loro con uno scotch di pessima qualità. Chi non ha letto il libro non può capire la metà del film (secondo me), un po' come succede a chi guarda Il Signore degli Anelli o Harry Potter senza aver letto le serie. Ci si perde qualcosa, non si capiscono tutte le cose che accadono. In questo film, anche se con le dovute proporzioni, mi sembra che accada la stessa cosa.
Quando ho finito di vederlo mi sono sentita molto triste: l'ho visto perfetto per un video su youtube ma assolutamente non degno del cinema. Ci voleva un qualcosa in più (Oliver) che purtroppo è mancato.
Prima di inviare questo post, mi sono riguardata il film. Purtroppo confermo quanto detto.
Ma non mi va di chiudere su una nota negativa, perché il film è abbastanza godibile, seppur non un capolavoro.
La scenografia mi è piaciuta tanto, il lago, i prati infiniti, il casale ristrutturato, le colline. La Natura c'è e la fa da padrona in ogni scena, sembra di sentire la carezza dell'erba, la brezza del vento, la freschezza dell'acqua.
La colonna sonora è stupenda, tanto che l'ho comprata: ci sono alcune canzoni italiane anni '80 che mi fanno nostalgia (in fondo, sono gli anni della mia infanzia!) e quelle originali sono magiche (Futile device e Mistery of love su tutte), rendono davvero l'atmosfera del posto.
Luca Guadagnino ha un occhio eccezionale e si vede.
Anarchic Rain
Avrei voluto vederlo al cinema, ma purtroppo non è stato possibile.
Dopo settimane passate a vedere video su youtube, interviste al cast e al regista, videorecensioni e chi più ne ha più ne metta, finalmente sono riuscita a vederlo (in lingua originale, ovviamente, mi rifiuto di vederlo mai in italiano).
Fomentata dai video (alcuni bellissimi) e dalla colonna sonora (davvero azzeccata), non vedevo l'ora di gustarmi il prodotto completo.
Invece.
Ahi, ahi.
Invece ho scoperto che quel prodotto era perfetto come video musicale e molto meno che perfetto come prodotto cinematografico. Ci sono rimasta malissimo e all'inizio non sapevo come spiegarmi un contrasto simile! Non poteva essere il confronto con il libro, perché lo script del film è assolutamente fedele, con tutte le scene che avrebbero dovuto esserci e le poche modifiche fatte assolutamente irrilevanti ai fini della trama. James Ivory non è mica l'ultimo scemo del villaggio! Ha fatto un lavoro magnifico. Non era nemmeno il cambio di scena, dal mare al lago (per questioni di budget, ovviamente, ma comunque non ha modificato troppo lo spirito del libro).
Ma a mente fredda sentivo che mi avvicinavo passo dopo passo al vero Perché.
Alla fine, l'illuminazione.
Gli attori.
Anzi, a dire il vero fino in fondo, un attore.
Elio è interpretato da uno splendido Timothee Chalamet, in un ruolo che sembra disegnato apposta per lui, c'è da chiedersi se Aciman non lo conoscesse prima di scrivere il suo libro! E' un Elio perfetto, non si può che immaginarlo così, anche prima di vedere il film.
Il padre di Elio è la persona fantastica che è nel libro, incarnato da un attore (Michael Stuhlbarg) che ha ancora una volta il physique du role e così sua moglie (Amira Casar).
Il resto è un contorno abbastanza omogeneo, in cui non spicca nessuno ma in cui tutti sono al loro posto.
Come dite? Ho dimenticato qualcuno? Uno dei due protagonisti? Oh, cielo, davvero??
Ok, non so come dirvelo.
A me Armie Hammer non è piaciuto manco per un poco.
Ecco, l'ho detto.
Ma non dico mai niente che non possa spiegare. E ora ve lo spiego.
Non mi ha dato troppo fastidio il fatto che tra Hammer e i ventiquattro anni di Oliver ce ne fossero almeno altri sette in più, avrei potuto farmene una ragione tranquillamente. E' stata la sua piatta espressività a mandarmi in bestia. Oliver ed Elio nel libro sono capaci di comunicare con uno sguardo, con un gesto, un movimento del corpo. Anche quando si fraintendono, è comunque un fraintendimento nato dall'osservazione l'uno dell'altro. Nel film non ho sentito questa chimica, questa reazione esplosiva ogni volta che sono in scena insieme, nel libro facevano scintille, sullo schermo nemmeno il luccichio di una lucciola.
Mi stupisce che chi non abbia letto il libro abbia amato il film, contrariamente a quanto penso di solito, perché oltre che il personaggio di Oliver, anche il montaggio non mi è piaciuto. Mi sono sembrate tutte scene appiccicate tra loro con uno scotch di pessima qualità. Chi non ha letto il libro non può capire la metà del film (secondo me), un po' come succede a chi guarda Il Signore degli Anelli o Harry Potter senza aver letto le serie. Ci si perde qualcosa, non si capiscono tutte le cose che accadono. In questo film, anche se con le dovute proporzioni, mi sembra che accada la stessa cosa.
Quando ho finito di vederlo mi sono sentita molto triste: l'ho visto perfetto per un video su youtube ma assolutamente non degno del cinema. Ci voleva un qualcosa in più (Oliver) che purtroppo è mancato.
Prima di inviare questo post, mi sono riguardata il film. Purtroppo confermo quanto detto.
Ma non mi va di chiudere su una nota negativa, perché il film è abbastanza godibile, seppur non un capolavoro.
La scenografia mi è piaciuta tanto, il lago, i prati infiniti, il casale ristrutturato, le colline. La Natura c'è e la fa da padrona in ogni scena, sembra di sentire la carezza dell'erba, la brezza del vento, la freschezza dell'acqua.
La colonna sonora è stupenda, tanto che l'ho comprata: ci sono alcune canzoni italiane anni '80 che mi fanno nostalgia (in fondo, sono gli anni della mia infanzia!) e quelle originali sono magiche (Futile device e Mistery of love su tutte), rendono davvero l'atmosfera del posto.
Luca Guadagnino ha un occhio eccezionale e si vede.
Anarchic Rain
A mezzanotte ogni cosa assume un significato diverso, una forma più densa...
TITOLO: Four past Midnight
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Hodder&Stoughton
PAGINE: 1008
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7 e mezzo
Altra raccolta di novelle per il Re del Maine, la seconda dopo Different Seasons, che non ha nulla da invidiare a quest'ultima, secondo me, su un piano puramente stilistico.
La differenza è che qui ci sono quattro novelle che possiamo tranquillamente categorizzare come horror, senza nemmeno pensarci su.
Sono belle storie, piacevoli da leggere (spaventosamente piacevoli) e scritte con la mano ferma e puntuale dello zio.
Con un metodo che ormai ho consolidato, vediamole una per una.
I Langolieri: la domanda da cui è partito lo spunto per questa novella è sicuramente "cosa succede al presente quando diventa passato?". Dove va a finire il mondo del "giorno prima"? La risposta è semplice e i nostri protagonisti stanno per scoprirlo (nel peggior modo possibile): il passato viene "ripulito" da una sorta di "spazzino temporale", un'orda incredibile di esseri non demoniaci, non malvagi, che divorano il mondo appena passato.
Leggere l'avventura di questi dieci personaggi il cui aereo viene "dirottato" nel passato il giorno prima di partire per Cracovia in aereo non è stato molto furbo da parte mia! Ma mi ha dato quel brivido in più durante il volo (e durante un bel vuoto d'aria che ha fatto tremare per qualche secondo qualsiasi cosa)!
La cosa che mi è piaciuta di più è stato il ritmo sempre incalzante, che non perdeva mai un colpo, anzi, ne aggiungeva di nuovi; Craig e Dinah sono tra i personaggi più belli che King ha creato in meno pagine: il primo è un uomo che ha più problemi psicologici di quanti se ne possa contare, la seconda una ragazzina di dieci anni cieca che vede meglio di qualsiasi altro superstite dell'aereo.
Il finale è l'unica cosa che lascia perplessi, una trovata un po' ingenua per risolvere la situazione, ma ormai sappiamo benissimo che i finali del Re spesso non sono il motivo per leggere una sua storia (scusa, zio, ma bisogna dirlo!).
Finestra segreta, giardino segreto: il tema del doppio nei romanzi di King è quasi sempre presente, a volte in modo più esplicito (The Dark Half) a volte meno (l'Arnie di Christine). Qui torna protagonista, solo che stavolta non ne siamo consapevoli, almeno non per un po'. Mi è piaciuta moltissimo questa novella, forse è quella che preferisco delle quattro, perché l'approfondimento psicologico di King è ai suoi massimi livelli. Entrare nella mente di una persona che si sta sdoppiando (o si è già sdoppiata) non è cosa di tutti i giorni, non così, non come se sapesse con esattezza matematica quello che succede a una psiche quando si spezza. E' affascinante seguire la discesa di Mort negli inferi mentali autoinflitti. E alla fine non gliene facciamo una colpa, non si può, così come anche la sua ex-moglie non lo fa. Una persona malata è giustificabile di tutto? Giuridicamente in parte, ma moralmente forse possiamo aumentare la dose.
Il poliziotto della biblioteca: santocielo, quanta strizza mi ha messo questa novella! Se la precedente è quella che mi è piaciuta di più, questa senza dubbio è quella che mi ha fatto più paura! Perché? Perché io ho sempre pensato che la biblioteca fosse un rifugio, un luogo in cui poter stare in pace, con l'unica compagnia dei libri, che sono compagni notoriamente silenziosi e innocui (almeno, all'apparenza). Invece no. King ribalta lo stereotipo della biblioteca di 180°. Quando un essere demoniaco (è possibile considerare Ardelia altrimenti?) prende possesso di una biblioteca quanti orrori ne possono scaturire? Tanti ovviamente, ma lo zio, come sempre, ci ricorda che i peggiori orrori sono quelli umani: così il poliziotto della biblioteca di Sam-bambino diventa l'orrore che lo perseguita da adulto. Ardelia sfrutta il suo passato per soggiogarlo. Ma per fortuna, lo zio ci ricorda anche che la forza per combattere è dentro ognuno di noi, per quanto stanchi o abbattuti o braccati siamo. Ricordarcene è la vera battaglia.
Il fotocane: molto horror e molto King vecchio stampo (erano gli anni '90 in fondo). Una macchina fotografica che riproduce qualcosa che non è davanti all'obiettivo, ma che può saltar fuori e soddisfare la sua sete di morte. Questo è il racconto più debole dei quattro, per me. Kevin è un buon personaggio ma non abbastanza interessante. Insomma alla fine non me ne sarebbe importato nulla se fosse morto (e chissà che non succeda, magari in un'altra novella). Però le pagine sono volate lo stesso, il personaggio migliore è senza dubbio Pop Merrill (anche per le connessioni a vari altri libri di King, in fondo siamo sempre a Castle Rock!).
Da leggere o non leggere? Ovviamente da leggere. Il ritmo di ogni novella e l'indagine psicologica dei personaggi che contraddistingue King sono due ottimi motivi per tuffarsi in queste pagine senza se e senza ma. Sono più di mille ma ne valgono assolutamente la candela!
Anarchic Rain
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Hodder&Stoughton
PAGINE: 1008
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7 e mezzo
Altra raccolta di novelle per il Re del Maine, la seconda dopo Different Seasons, che non ha nulla da invidiare a quest'ultima, secondo me, su un piano puramente stilistico.
La differenza è che qui ci sono quattro novelle che possiamo tranquillamente categorizzare come horror, senza nemmeno pensarci su.
Sono belle storie, piacevoli da leggere (spaventosamente piacevoli) e scritte con la mano ferma e puntuale dello zio.
Con un metodo che ormai ho consolidato, vediamole una per una.
I Langolieri: la domanda da cui è partito lo spunto per questa novella è sicuramente "cosa succede al presente quando diventa passato?". Dove va a finire il mondo del "giorno prima"? La risposta è semplice e i nostri protagonisti stanno per scoprirlo (nel peggior modo possibile): il passato viene "ripulito" da una sorta di "spazzino temporale", un'orda incredibile di esseri non demoniaci, non malvagi, che divorano il mondo appena passato.
Leggere l'avventura di questi dieci personaggi il cui aereo viene "dirottato" nel passato il giorno prima di partire per Cracovia in aereo non è stato molto furbo da parte mia! Ma mi ha dato quel brivido in più durante il volo (e durante un bel vuoto d'aria che ha fatto tremare per qualche secondo qualsiasi cosa)!
La cosa che mi è piaciuta di più è stato il ritmo sempre incalzante, che non perdeva mai un colpo, anzi, ne aggiungeva di nuovi; Craig e Dinah sono tra i personaggi più belli che King ha creato in meno pagine: il primo è un uomo che ha più problemi psicologici di quanti se ne possa contare, la seconda una ragazzina di dieci anni cieca che vede meglio di qualsiasi altro superstite dell'aereo.
Il finale è l'unica cosa che lascia perplessi, una trovata un po' ingenua per risolvere la situazione, ma ormai sappiamo benissimo che i finali del Re spesso non sono il motivo per leggere una sua storia (scusa, zio, ma bisogna dirlo!).
Finestra segreta, giardino segreto: il tema del doppio nei romanzi di King è quasi sempre presente, a volte in modo più esplicito (The Dark Half) a volte meno (l'Arnie di Christine). Qui torna protagonista, solo che stavolta non ne siamo consapevoli, almeno non per un po'. Mi è piaciuta moltissimo questa novella, forse è quella che preferisco delle quattro, perché l'approfondimento psicologico di King è ai suoi massimi livelli. Entrare nella mente di una persona che si sta sdoppiando (o si è già sdoppiata) non è cosa di tutti i giorni, non così, non come se sapesse con esattezza matematica quello che succede a una psiche quando si spezza. E' affascinante seguire la discesa di Mort negli inferi mentali autoinflitti. E alla fine non gliene facciamo una colpa, non si può, così come anche la sua ex-moglie non lo fa. Una persona malata è giustificabile di tutto? Giuridicamente in parte, ma moralmente forse possiamo aumentare la dose.
Il poliziotto della biblioteca: santocielo, quanta strizza mi ha messo questa novella! Se la precedente è quella che mi è piaciuta di più, questa senza dubbio è quella che mi ha fatto più paura! Perché? Perché io ho sempre pensato che la biblioteca fosse un rifugio, un luogo in cui poter stare in pace, con l'unica compagnia dei libri, che sono compagni notoriamente silenziosi e innocui (almeno, all'apparenza). Invece no. King ribalta lo stereotipo della biblioteca di 180°. Quando un essere demoniaco (è possibile considerare Ardelia altrimenti?) prende possesso di una biblioteca quanti orrori ne possono scaturire? Tanti ovviamente, ma lo zio, come sempre, ci ricorda che i peggiori orrori sono quelli umani: così il poliziotto della biblioteca di Sam-bambino diventa l'orrore che lo perseguita da adulto. Ardelia sfrutta il suo passato per soggiogarlo. Ma per fortuna, lo zio ci ricorda anche che la forza per combattere è dentro ognuno di noi, per quanto stanchi o abbattuti o braccati siamo. Ricordarcene è la vera battaglia.
Il fotocane: molto horror e molto King vecchio stampo (erano gli anni '90 in fondo). Una macchina fotografica che riproduce qualcosa che non è davanti all'obiettivo, ma che può saltar fuori e soddisfare la sua sete di morte. Questo è il racconto più debole dei quattro, per me. Kevin è un buon personaggio ma non abbastanza interessante. Insomma alla fine non me ne sarebbe importato nulla se fosse morto (e chissà che non succeda, magari in un'altra novella). Però le pagine sono volate lo stesso, il personaggio migliore è senza dubbio Pop Merrill (anche per le connessioni a vari altri libri di King, in fondo siamo sempre a Castle Rock!).
Da leggere o non leggere? Ovviamente da leggere. Il ritmo di ogni novella e l'indagine psicologica dei personaggi che contraddistingue King sono due ottimi motivi per tuffarsi in queste pagine senza se e senza ma. Sono più di mille ma ne valgono assolutamente la candela!
Anarchic Rain
sabato 30 giugno 2018
Il mio primo King, il libro che in qualche modo mi ha messo sulla mia strada
TITOLO: The Dark Half
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 431
VERSIONE LETTA: cartacea e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9-
You think I'm a monster, and maybe you're right. But real monsters are never without feelings. I think in the end it's that, and not how they look, that makes them so scary.
Il mio primo King.
Era il millenovecentonovantaquattro. Avevo dodici anni. Gesù, non li avrò mai più. Ma avrò ancora questo libro e la meraviglia che mi ha lasciato dentro.
Diciamoci la verità: non è il libro più bello di King. Nemmeno lontanamente. Per me è in top ten, perché, in quanto primo, è stato quello che mi ha avvicinata allo zio e quindi mi ha permesso di entrare in quel mondo stupendo. Ma è solo una questione di nostalgia e affetto.
A dispetto di tutto questo, è comunque un bel libro, superiore alla media.
La storia è quella di Thad, uno scrittore che aveva uno pseudonimo e che quando ha deciso di disfarsene ha dovuto fare i conti con la sua personificazione (malvagia, ovviamente).
Il perfetto quadretto americano sconvolto da una presenza crudele e immonda, che non avrebbe mai dovuto esistere e che invece è stata creata proprio dal più insospettabile di tutti.
Thad è un uomo buono, un pasticcione, se vogliamo, con una moglie che lo ama e due gemelli (maschio e femmina) che sono la massima espressione della cuteness. Però Thad non è solo quello, seppure nemmeno lui lo sospetta. Dentro di sé ha una zona d'ombra, tenebre così fitte che nemmeno lui riesce ad accettarle e deve creare per forza un'altra parte di sé che lo aiuti a sopportare questo peso oscuro. George Stark, questo è il suo nome. George prende su di sé la responsabilità del lato "crudele" di Thad e quando Thad stesso cerca di rinnegarlo, seppellendolo, lui prende vita e va a cercarlo per trovare una sua dignità di "essere umano".
Stark è una persona malvagia, che non esita a uccidere per vendetta e per arrivare al suo obiettivo, senza lasciare impuniti coloro che gli hanno fatto torto (a detta sua, ovviamente).
Non esita a puntare la pistola contro William, uno dei gemelli di Thad, solo per ottenere quello che vuole. Not a good man at all, come dice la finta pietra tombale fatta fare da Thad.
Eppure ciò che vuole è soltanto esistere. E scrivere ovviamente. E' così sbagliato? Sì, certo.
Penso che questo romanzo sia un omaggio dello zio al suo stesso pseudonimo, Richard Bachman, che gli ha dato la possibilità di sviluppare idee e storie che come "Stephen King" ormai non avrebbe più potuto esplorare.
Una lunga lettera, in parte d'amore, al personaggio fittizio che gli ha permesso di esprimersi in modo diverso ma comunque efficace.
Ma ovviamente, essendo un libro del Re, non poteva andare tutto liscio: quindi Stark è uno psicopatico che va fermato ad ogni costo e con l'impiego di qualunque mezzo.
E quale mezzo migliore degli psicopompi? Tramiti tra il mondo dei vivi e quello dei morti, semplici passeri per gli altri, ma guardiani del "ciò che è e ciò che non potrà mai essere".
Insieme a Thad, dalla parte dei "buoni", conosciamo lo sceriffo di Castle Rock, Alan Pangborn, una persona equilibrata e intelligente, che in questa storia ha un ruolo poco meno che marginale, purtroppo. A me piace tantissimo Alan, è uno dei personaggi dello zio che ricordo sempre con piacere, e una riflessione letta su un social proprio ieri mi ha spiegato il perché: Alan non è semplicemente uno dei buoni, ma potrebbe essere un emissario del Bianco (chi conosce l'universo di King sa a cosa mi riferisco, per tutti gli altri, leggetevi la Torre Nera, se volete) e un Pistolero per diritto di nascita. Il commento si riferiva al fatto che Alan potrebbe tranquillamente far parte del ka-tet di Roland, su un altro livello della Torre e quando l'ho letto ho realizzato che è esattamente così.
E' un personaggio di un'integrità senza macchia, pur essendo profondamente umano. Sì, mi piacerebbe vedere lui e Roland camminare insieme nel Medio-Mondo e diventare ka-tet.
Ok, sto divagando.
Chi dovrebbe leggere questo libro? Di pancia, risponderei "tutti", come al solito. Ma riflettendoci, direi che restringerei il campo ai lettori di King (è una sua pietra miliare, non vorrete mica perdervelo?!) e agli appassionati di doppia personalità o romanzo psicologico in generale. Perché se anche qui sembra che siamo di fronte un horror, in realtà non è così: lo zio scava nel profondo dell'animo umano e ciò che ci mette davanti non è una semplice "incarnazione" del male, è la "proiezione" esterna di quel male che c'è dentro ognuno di noi. Thad è una persona buona...ma solo perché ha creato Stark che si prende tutto lo "schifo" della sua anima.
In ognuno di noi c'è bianco e c'è nero e bisogna stare attenti a bilanciarli bene, altrimenti potrebbe succedere un disastro.
Anarchic Rain
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 431
VERSIONE LETTA: cartacea e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9-
You think I'm a monster, and maybe you're right. But real monsters are never without feelings. I think in the end it's that, and not how they look, that makes them so scary.
Il mio primo King.
Era il millenovecentonovantaquattro. Avevo dodici anni. Gesù, non li avrò mai più. Ma avrò ancora questo libro e la meraviglia che mi ha lasciato dentro.
Diciamoci la verità: non è il libro più bello di King. Nemmeno lontanamente. Per me è in top ten, perché, in quanto primo, è stato quello che mi ha avvicinata allo zio e quindi mi ha permesso di entrare in quel mondo stupendo. Ma è solo una questione di nostalgia e affetto.
A dispetto di tutto questo, è comunque un bel libro, superiore alla media.
La storia è quella di Thad, uno scrittore che aveva uno pseudonimo e che quando ha deciso di disfarsene ha dovuto fare i conti con la sua personificazione (malvagia, ovviamente).
Il perfetto quadretto americano sconvolto da una presenza crudele e immonda, che non avrebbe mai dovuto esistere e che invece è stata creata proprio dal più insospettabile di tutti.
Thad è un uomo buono, un pasticcione, se vogliamo, con una moglie che lo ama e due gemelli (maschio e femmina) che sono la massima espressione della cuteness. Però Thad non è solo quello, seppure nemmeno lui lo sospetta. Dentro di sé ha una zona d'ombra, tenebre così fitte che nemmeno lui riesce ad accettarle e deve creare per forza un'altra parte di sé che lo aiuti a sopportare questo peso oscuro. George Stark, questo è il suo nome. George prende su di sé la responsabilità del lato "crudele" di Thad e quando Thad stesso cerca di rinnegarlo, seppellendolo, lui prende vita e va a cercarlo per trovare una sua dignità di "essere umano".
Stark è una persona malvagia, che non esita a uccidere per vendetta e per arrivare al suo obiettivo, senza lasciare impuniti coloro che gli hanno fatto torto (a detta sua, ovviamente).
Non esita a puntare la pistola contro William, uno dei gemelli di Thad, solo per ottenere quello che vuole. Not a good man at all, come dice la finta pietra tombale fatta fare da Thad.
Eppure ciò che vuole è soltanto esistere. E scrivere ovviamente. E' così sbagliato? Sì, certo.
Penso che questo romanzo sia un omaggio dello zio al suo stesso pseudonimo, Richard Bachman, che gli ha dato la possibilità di sviluppare idee e storie che come "Stephen King" ormai non avrebbe più potuto esplorare.
Una lunga lettera, in parte d'amore, al personaggio fittizio che gli ha permesso di esprimersi in modo diverso ma comunque efficace.
Ma ovviamente, essendo un libro del Re, non poteva andare tutto liscio: quindi Stark è uno psicopatico che va fermato ad ogni costo e con l'impiego di qualunque mezzo.
E quale mezzo migliore degli psicopompi? Tramiti tra il mondo dei vivi e quello dei morti, semplici passeri per gli altri, ma guardiani del "ciò che è e ciò che non potrà mai essere".
Insieme a Thad, dalla parte dei "buoni", conosciamo lo sceriffo di Castle Rock, Alan Pangborn, una persona equilibrata e intelligente, che in questa storia ha un ruolo poco meno che marginale, purtroppo. A me piace tantissimo Alan, è uno dei personaggi dello zio che ricordo sempre con piacere, e una riflessione letta su un social proprio ieri mi ha spiegato il perché: Alan non è semplicemente uno dei buoni, ma potrebbe essere un emissario del Bianco (chi conosce l'universo di King sa a cosa mi riferisco, per tutti gli altri, leggetevi la Torre Nera, se volete) e un Pistolero per diritto di nascita. Il commento si riferiva al fatto che Alan potrebbe tranquillamente far parte del ka-tet di Roland, su un altro livello della Torre e quando l'ho letto ho realizzato che è esattamente così.
E' un personaggio di un'integrità senza macchia, pur essendo profondamente umano. Sì, mi piacerebbe vedere lui e Roland camminare insieme nel Medio-Mondo e diventare ka-tet.
Ok, sto divagando.
Chi dovrebbe leggere questo libro? Di pancia, risponderei "tutti", come al solito. Ma riflettendoci, direi che restringerei il campo ai lettori di King (è una sua pietra miliare, non vorrete mica perdervelo?!) e agli appassionati di doppia personalità o romanzo psicologico in generale. Perché se anche qui sembra che siamo di fronte un horror, in realtà non è così: lo zio scava nel profondo dell'animo umano e ciò che ci mette davanti non è una semplice "incarnazione" del male, è la "proiezione" esterna di quel male che c'è dentro ognuno di noi. Thad è una persona buona...ma solo perché ha creato Stark che si prende tutto lo "schifo" della sua anima.
In ognuno di noi c'è bianco e c'è nero e bisogna stare attenti a bilanciarli bene, altrimenti potrebbe succedere un disastro.
Anarchic Rain
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sabato 16 giugno 2018
Tutte le strade conducono all'odio
TITOLO: Al dio degli inglesi non credere mai - Storia del genocidio degli Indiani d'America 1492-1972
AUTORE: Gianfranco Peroncini, Marcella Colombo
EDIZIONE: OAKS editrice
PAGINE: 429
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e mezzo
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura,
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura...
De André cantava questa canzone nel 1981 e quando la ascoltai per la prima volta, molti anni dopo, non potei fare a meno di pensare agli Indiani d'America, i Pellerossa di tutti i film western che passavano in tv e, ovviamente, a Balla coi Lupi.
Ora che sono un po' più cresciuta, ascolto sempre De André, ma la mia curiosità è stimolata in maniera forse più critica e per questo ho deciso di informarmi sulle vicende di questo "leggendario" popolo.
Ci sono parecchi libri sull'argomento, non sapevo proprio da quale iniziare, sapevo solo che ne cercavo uno di ampio respiro, che mi desse la possibilità di una visione "ampia" della Storia. Ho quindi evitato (per ora) le monografie più famose dei capi tribù e, onestamente, d'istinto ho evitato qualsiasi "storia" scritta dagli americani per evitare più "bias" possibili.
Girando in libreria ho trovato questo libro abbastanza consistente (poco più di quattrocento pagine), scritto a quattro mani da due italiani. Ottimo.
Nonostante le imprecisioni storiche della canzone di Faber, il testo e la musica che lo accompagna fanno il loro dovere: ti proiettano in un pezzo di Storia che oltre a essere profondamente ingiusto è anche indiscutibilmente disgustoso.
Non è una novità che a me gli americani non stanno simpatici affatto, li trovo perlopiù arroganti e stupidi (nonostante siano una potenza, ma questo la dice lunga sul resto del mondo più che su di loro...), ma dopo aver letto questo libro non solo ho consolidato la mia opinione, l'ho anche peggiorata e circostanziata.
Non fraintendete le mie parole, ma si parla tanto di Hitler e dei gulag russi e di altre simili amenità, quando si vuole fare un esempio di distruzione di popoli o civiltà, senza rendersi conto o ricordarsi che questi sono (stati) solo dei tentativi. Gli unici (che io sappia) che sono riusciti a spazzare via sistematicamente e impunemente un popolo dalla faccia della terra sono stati proprio gli americani. E il popolo è quello dell'Uomo Rosso. Mi sorgono molti dubbi e domande su alcuni recenti fatti di storia contemporanea, ma me li terrò per me perché non sono abbastanza istruita sull'argomento e perché non è questa la sede per parlare di certe cose.
Mi limiterò a raccontarvi il libro.
La storia è molto semplice: c'era una volta un popolo che viveva libero e in armonia con la Natura (il Grande Spirito) che ad un tratto si vide invaso da gente con abitudini completamente diverse dalle proprie che pretendeva di avere la verità in tasca e aveva deciso di essere migliore di lui (dovrebbe suonarvi un campanello, a questo punto). Per mera sete di guadagno (terra, oro, potere) questa gente venuta dall'Est decise di sterminare consapevolmente il popolo dell'Uomo Rosso. Iniziò con l'uccidere i bisonti, grandissima e indispensabile fonte di sostentamento per l'Uomo Rosso, per proseguire con la stipulazione di patti incredibilmente sleali (e nemmeno mai rispettati) con i capi tribù e finire con l'eliminazione del popolo stesso mediante pretesti di bassa lega, stragi efferate immotivate (in cui i principali a rimetterci furono donne, vecchi e bambini) e l'isolamento in lager all'aperto (le cosiddette riserve...) dei superstiti. Per finire con l'indotta dipendenza da alcol.
Ci sono posti e battaglie che non abbiamo mai sentito nominare durante le lezioni di storia a scuola, un po' perché "non è successo vicino a noi", un po' perché il Paese più potente del mondo non si lascia certo trattare a pesci in faccia dai libri. Che sono comunque sempre scritti dai vincitori. Sand Creek, Black Hills, Little Bighorn, Wounded Knee sono nomi che al 90% della popolazione oggi dicono poco o niente.
La rabbia e la tristezza che ho provato leggendo questo libro non posso paragonarli a nient'altro abbia mai letto o vissuto. Si può infiocchettarla come si vuole, ma la nuda verità è che un popolo pacifico e innocente si è visto spazzato via a causa della sete di potere di un altro. Forse è così che va il mondo, ma la domanda "in che mondo viviamo, allora?" mi gira e rigira nella testa da un bel po'.
Due parole sull'edizione del libro: all'apparenza molto curato, purtroppo ci sono tantissimi refusi, ogni tanto cambia il font di scrittura e ci sono periodi lunghi un po' difficili da seguire. Non sono cose gravissime, ma interrompono la continuità della lettura e onestamente mi hanno dato un po' fastidio. Anche perché non è che il libro te lo regalano...
Un'altra cosa è che l'ho trovato eccessivamente di parte. Intendiamoci, sono d'accordo con l'idea generale che gli americani (e gli inglesi, spagnoli, italiani, tedeschi...) si siano comportati da schifo per quel che riguarda la "questione pellerossa", ma iniziare ogni capitolo con "gli americani l'hanno raccontata in modo diverso, ma ovviamente hanno torto marcio" non dà esattamente la misura dell'equità degli storiografi.
A parte questo, lo consiglio davvero a tutti: al di là degli errori di stampa, ti fa apprezzare una buona scrittura e quello che sembra un racconto troppo di parte alla fine è lo sfogo amaro per un'ingiustizia che mai verrà scontata e il rimpianto per una resa dei conti che non arriverà mai.
Anarchic Rain
AUTORE: Gianfranco Peroncini, Marcella Colombo
EDIZIONE: OAKS editrice
PAGINE: 429
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e mezzo
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura,
Sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura...
De André cantava questa canzone nel 1981 e quando la ascoltai per la prima volta, molti anni dopo, non potei fare a meno di pensare agli Indiani d'America, i Pellerossa di tutti i film western che passavano in tv e, ovviamente, a Balla coi Lupi.
Ora che sono un po' più cresciuta, ascolto sempre De André, ma la mia curiosità è stimolata in maniera forse più critica e per questo ho deciso di informarmi sulle vicende di questo "leggendario" popolo.
Ci sono parecchi libri sull'argomento, non sapevo proprio da quale iniziare, sapevo solo che ne cercavo uno di ampio respiro, che mi desse la possibilità di una visione "ampia" della Storia. Ho quindi evitato (per ora) le monografie più famose dei capi tribù e, onestamente, d'istinto ho evitato qualsiasi "storia" scritta dagli americani per evitare più "bias" possibili.
Girando in libreria ho trovato questo libro abbastanza consistente (poco più di quattrocento pagine), scritto a quattro mani da due italiani. Ottimo.
Nonostante le imprecisioni storiche della canzone di Faber, il testo e la musica che lo accompagna fanno il loro dovere: ti proiettano in un pezzo di Storia che oltre a essere profondamente ingiusto è anche indiscutibilmente disgustoso.
Non è una novità che a me gli americani non stanno simpatici affatto, li trovo perlopiù arroganti e stupidi (nonostante siano una potenza, ma questo la dice lunga sul resto del mondo più che su di loro...), ma dopo aver letto questo libro non solo ho consolidato la mia opinione, l'ho anche peggiorata e circostanziata.
Non fraintendete le mie parole, ma si parla tanto di Hitler e dei gulag russi e di altre simili amenità, quando si vuole fare un esempio di distruzione di popoli o civiltà, senza rendersi conto o ricordarsi che questi sono (stati) solo dei tentativi. Gli unici (che io sappia) che sono riusciti a spazzare via sistematicamente e impunemente un popolo dalla faccia della terra sono stati proprio gli americani. E il popolo è quello dell'Uomo Rosso. Mi sorgono molti dubbi e domande su alcuni recenti fatti di storia contemporanea, ma me li terrò per me perché non sono abbastanza istruita sull'argomento e perché non è questa la sede per parlare di certe cose.
Mi limiterò a raccontarvi il libro.
La storia è molto semplice: c'era una volta un popolo che viveva libero e in armonia con la Natura (il Grande Spirito) che ad un tratto si vide invaso da gente con abitudini completamente diverse dalle proprie che pretendeva di avere la verità in tasca e aveva deciso di essere migliore di lui (dovrebbe suonarvi un campanello, a questo punto). Per mera sete di guadagno (terra, oro, potere) questa gente venuta dall'Est decise di sterminare consapevolmente il popolo dell'Uomo Rosso. Iniziò con l'uccidere i bisonti, grandissima e indispensabile fonte di sostentamento per l'Uomo Rosso, per proseguire con la stipulazione di patti incredibilmente sleali (e nemmeno mai rispettati) con i capi tribù e finire con l'eliminazione del popolo stesso mediante pretesti di bassa lega, stragi efferate immotivate (in cui i principali a rimetterci furono donne, vecchi e bambini) e l'isolamento in lager all'aperto (le cosiddette riserve...) dei superstiti. Per finire con l'indotta dipendenza da alcol.
Ci sono posti e battaglie che non abbiamo mai sentito nominare durante le lezioni di storia a scuola, un po' perché "non è successo vicino a noi", un po' perché il Paese più potente del mondo non si lascia certo trattare a pesci in faccia dai libri. Che sono comunque sempre scritti dai vincitori. Sand Creek, Black Hills, Little Bighorn, Wounded Knee sono nomi che al 90% della popolazione oggi dicono poco o niente.
La rabbia e la tristezza che ho provato leggendo questo libro non posso paragonarli a nient'altro abbia mai letto o vissuto. Si può infiocchettarla come si vuole, ma la nuda verità è che un popolo pacifico e innocente si è visto spazzato via a causa della sete di potere di un altro. Forse è così che va il mondo, ma la domanda "in che mondo viviamo, allora?" mi gira e rigira nella testa da un bel po'.
Due parole sull'edizione del libro: all'apparenza molto curato, purtroppo ci sono tantissimi refusi, ogni tanto cambia il font di scrittura e ci sono periodi lunghi un po' difficili da seguire. Non sono cose gravissime, ma interrompono la continuità della lettura e onestamente mi hanno dato un po' fastidio. Anche perché non è che il libro te lo regalano...
Un'altra cosa è che l'ho trovato eccessivamente di parte. Intendiamoci, sono d'accordo con l'idea generale che gli americani (e gli inglesi, spagnoli, italiani, tedeschi...) si siano comportati da schifo per quel che riguarda la "questione pellerossa", ma iniziare ogni capitolo con "gli americani l'hanno raccontata in modo diverso, ma ovviamente hanno torto marcio" non dà esattamente la misura dell'equità degli storiografi.
A parte questo, lo consiglio davvero a tutti: al di là degli errori di stampa, ti fa apprezzare una buona scrittura e quello che sembra un racconto troppo di parte alla fine è lo sfogo amaro per un'ingiustizia che mai verrà scontata e il rimpianto per una resa dei conti che non arriverà mai.
Anarchic Rain
mercoledì 2 maggio 2018
For the best is only brought at the cost of great pain...or so says the legend...
TITOLO: Uccelli di rovo
AUTORE: Colleen McCullogh
EDIZIONE: Bompiani
PAGINE: 560
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6 e mezzo
There is a legend about a bird which sings just once in its life, more sweetly than any other creature on the face of the earth. From the moment it leaves the nest it searches for a thorn tree, and does not rest until it has found one. Then, singing among the savage branches, it impales itself upon the longest, sharpest spine. And, dying, it rises above its own agony to out-carol the lark and the nightingale. One superlative song, existence the price. But the whole world stills to listen, and God in His heaven smiles. For the best is only bought at the cost of great pain.... Or so says the legend
Avevo sì e no dieci anni quando vidi per la prima volta lo sceneggiato televisivo, alla faccia dei bollini rossi (che all'epoca ovviamente non c'erano) e dei genitori che proibiscono tutto (lo vidi con mia madre). Rimasi folgorata dalla storia. Già all'epoca non mi quadrava la storia del celibato dei preti, per cui non ho avuto nessuno shock nel vederne uno innamorarsi (che poi, diciamocelo, mica scemo il pretino a scegliersi Rachel Ward...per dire, eh). Quando scoprii, da adolescente, che la serie era tratta da un libro, ovviamente il mio primo pensiero fu procurarmelo. Non ricordo nemmeno dove lo trovai, ma lo lessi tutto d'un fiato, più volte.
La storia dura quasi cinquant'anni, mi pare, e segue la vita della famiglia Cleary, in un'Australia che non ha nulla del paradiso dell'immaginario collettivo, almeno all'inizio.
Padre, madre e sei o sette maschi più un'unica femmina, Meghan, o Meggie, come le piace farsi chiamare. Paddy è un grandissimo lavoratore e come lui tutta la sua prole, ed ha una sorella che dire ricca è poco, che non lo caga di striscio finché non sente di stare per morire. Allora si prende lui e tutto il cucuzzaro a Drogheda con sé (mica nella villa, ci mancherebbe, in una dependance) e cerca di insegnargli a fare il ricco signorotto delle praterie.
A che scopo poi, non si capisce, considerando che lascia tutti i suoi milioni e Drogheda alla Chiesa, nella persona di padre Ralph de Bricassart, un bellissimo, giovane prete che ha sopportato per anni le facezie, le cattiverie e le frecciatine di Mary (la sorella di Paddy).
Seguiamo quindi le loro vicende attraverso fughe, morti, matrimoni e nascite.
Nel complesso, possiamo dire che poche famiglie sono sfigate quanto i Cleary: perdono quasi tutti i figli maschi (a volte per cose davvero sceme) e i due che rimangono sono così attaccati tra loro e alle gonne della madre, che non potrebbero metter su famiglia manco volendo; Meggie, che non ama altri che padre Ralph, sposa di sua volontà un idiota tutto lavoro macho e zero voglia di vita matrimoniale, solo perché le ricorda vagamente il suo grande amore. E' l'unica che ha due figli, ma uno muore giovane e l'altra se ne va a Londra per fare l'attrice (Justine è il mio personaggio preferito tra tutti, insieme a Fiona, la madre di Meggie).
Per metà libro ci chiediamo se Meggie e Ralph riusciranno a vivere il loro amore (sì, ovviamente anche lui la ama alla follia) e la risposta è NI. Lo vivranno solo a metà, di nascosto, come se fossero fuorilegge (e vorrei vedere, lui è prete cattolico). Meggie otterrà da Ralph quello che ha sempre sognato, un figlio suo, ma ovviamente è proprio lui a morirle ad appena diciotto anni, se ben ricordo. E Meggie ne è devastata, perché per quanto ha sempre cercato di trattare i suoi due figli allo stesso modo, era chiaro che Dane era sempre il suo preferito.
Insomma, oggi come oggi, è un libro che rileggerei con piacere? Onestamente no. Non ha superato indenne la prova del tempo, nonostante tocchi a volte temi molto attuali e ancora dibattuti.
L'unica donna moderna di tutto il libro è Justine, che cerca di crescere libera e indipendente, facendo il lavoro che si è scelta, lontano da casa. Purtroppo (ma forse era inevitabile) anche lei alla fine è caduta nella rete del matrimonio, cosa che ho trovato un po' forzata, giusto per finirlo con una cerimonia...per me sarebbe stato molto più appetibile e veritiero un finale aperto, in cui rimaneva amica di Rain e poi chissà.
Poi tutte quelle morti una dietro l'altra, uno schiacciato da un albero (mi pare colpito da un fulmine), un altro caricato da un cinghiale, un altro di scarlattina (o difterite), un altro picchiato a morte su un ring illegale (o quasi). Insomma, santocielo! L'unico che poteva essere una brava persona, con un lavoro e voglia di vivere è Luke, il marito di Meggie, che però è un emerito testa di min*hia maschilista e ottuso.
Ralph è prete, quindi si autoesclude da sé dalla rosa dei vincenti. Che poi, come ci tiene a sottolineare il vescovo suo amico, prete sì, ma ha infranto tutti i voti cattolici (povertà, castità e ubbidienza), quindi bo. E il suddetto vescovo ci tiene pure a dire che è proprio per questo che gli sta simpatico e che è così interessante. Ripeto: bo. Certo, diffondiamo pure il messaggio che a un prete basta un bell'aspetto e può fare il caxxo che gli pare, tanto già lo fanno ampiamente...
Leggerlo? Non leggerlo?
Mah, se avete tempo da perdere sì, anche perché è scritto bene e le descrizioni dei luoghi sono davvero molto belle.
Altrimenti, lasciate stare e passate oltre. State bene così, credetemi.
Anarchic Rain
AUTORE: Colleen McCullogh
EDIZIONE: Bompiani
PAGINE: 560
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6 e mezzo
There is a legend about a bird which sings just once in its life, more sweetly than any other creature on the face of the earth. From the moment it leaves the nest it searches for a thorn tree, and does not rest until it has found one. Then, singing among the savage branches, it impales itself upon the longest, sharpest spine. And, dying, it rises above its own agony to out-carol the lark and the nightingale. One superlative song, existence the price. But the whole world stills to listen, and God in His heaven smiles. For the best is only bought at the cost of great pain.... Or so says the legend
Avevo sì e no dieci anni quando vidi per la prima volta lo sceneggiato televisivo, alla faccia dei bollini rossi (che all'epoca ovviamente non c'erano) e dei genitori che proibiscono tutto (lo vidi con mia madre). Rimasi folgorata dalla storia. Già all'epoca non mi quadrava la storia del celibato dei preti, per cui non ho avuto nessuno shock nel vederne uno innamorarsi (che poi, diciamocelo, mica scemo il pretino a scegliersi Rachel Ward...per dire, eh). Quando scoprii, da adolescente, che la serie era tratta da un libro, ovviamente il mio primo pensiero fu procurarmelo. Non ricordo nemmeno dove lo trovai, ma lo lessi tutto d'un fiato, più volte.
La storia dura quasi cinquant'anni, mi pare, e segue la vita della famiglia Cleary, in un'Australia che non ha nulla del paradiso dell'immaginario collettivo, almeno all'inizio.
Padre, madre e sei o sette maschi più un'unica femmina, Meghan, o Meggie, come le piace farsi chiamare. Paddy è un grandissimo lavoratore e come lui tutta la sua prole, ed ha una sorella che dire ricca è poco, che non lo caga di striscio finché non sente di stare per morire. Allora si prende lui e tutto il cucuzzaro a Drogheda con sé (mica nella villa, ci mancherebbe, in una dependance) e cerca di insegnargli a fare il ricco signorotto delle praterie.
A che scopo poi, non si capisce, considerando che lascia tutti i suoi milioni e Drogheda alla Chiesa, nella persona di padre Ralph de Bricassart, un bellissimo, giovane prete che ha sopportato per anni le facezie, le cattiverie e le frecciatine di Mary (la sorella di Paddy).
Seguiamo quindi le loro vicende attraverso fughe, morti, matrimoni e nascite.
Nel complesso, possiamo dire che poche famiglie sono sfigate quanto i Cleary: perdono quasi tutti i figli maschi (a volte per cose davvero sceme) e i due che rimangono sono così attaccati tra loro e alle gonne della madre, che non potrebbero metter su famiglia manco volendo; Meggie, che non ama altri che padre Ralph, sposa di sua volontà un idiota tutto lavoro macho e zero voglia di vita matrimoniale, solo perché le ricorda vagamente il suo grande amore. E' l'unica che ha due figli, ma uno muore giovane e l'altra se ne va a Londra per fare l'attrice (Justine è il mio personaggio preferito tra tutti, insieme a Fiona, la madre di Meggie).
Per metà libro ci chiediamo se Meggie e Ralph riusciranno a vivere il loro amore (sì, ovviamente anche lui la ama alla follia) e la risposta è NI. Lo vivranno solo a metà, di nascosto, come se fossero fuorilegge (e vorrei vedere, lui è prete cattolico). Meggie otterrà da Ralph quello che ha sempre sognato, un figlio suo, ma ovviamente è proprio lui a morirle ad appena diciotto anni, se ben ricordo. E Meggie ne è devastata, perché per quanto ha sempre cercato di trattare i suoi due figli allo stesso modo, era chiaro che Dane era sempre il suo preferito.
Insomma, oggi come oggi, è un libro che rileggerei con piacere? Onestamente no. Non ha superato indenne la prova del tempo, nonostante tocchi a volte temi molto attuali e ancora dibattuti.
L'unica donna moderna di tutto il libro è Justine, che cerca di crescere libera e indipendente, facendo il lavoro che si è scelta, lontano da casa. Purtroppo (ma forse era inevitabile) anche lei alla fine è caduta nella rete del matrimonio, cosa che ho trovato un po' forzata, giusto per finirlo con una cerimonia...per me sarebbe stato molto più appetibile e veritiero un finale aperto, in cui rimaneva amica di Rain e poi chissà.
Poi tutte quelle morti una dietro l'altra, uno schiacciato da un albero (mi pare colpito da un fulmine), un altro caricato da un cinghiale, un altro di scarlattina (o difterite), un altro picchiato a morte su un ring illegale (o quasi). Insomma, santocielo! L'unico che poteva essere una brava persona, con un lavoro e voglia di vivere è Luke, il marito di Meggie, che però è un emerito testa di min*hia maschilista e ottuso.
Ralph è prete, quindi si autoesclude da sé dalla rosa dei vincenti. Che poi, come ci tiene a sottolineare il vescovo suo amico, prete sì, ma ha infranto tutti i voti cattolici (povertà, castità e ubbidienza), quindi bo. E il suddetto vescovo ci tiene pure a dire che è proprio per questo che gli sta simpatico e che è così interessante. Ripeto: bo. Certo, diffondiamo pure il messaggio che a un prete basta un bell'aspetto e può fare il caxxo che gli pare, tanto già lo fanno ampiamente...
Leggerlo? Non leggerlo?
Mah, se avete tempo da perdere sì, anche perché è scritto bene e le descrizioni dei luoghi sono davvero molto belle.
Altrimenti, lasciate stare e passate oltre. State bene così, credetemi.
Anarchic Rain
martedì 1 maggio 2018
Bisogna vivere con cautela e stare attenti alla compassione
TITOLO: L'impazienza del cuore
AUTORE: Stefan Zweig
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 376
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6
Ogni tanto torno a Zweig, come si torna a qualcosa che si ama e da cui ci si sente protetti.
So che ogni suo libro mi piacerà e so che, spesso, mi piacerà tanto.
Non voglio dire che con questo ho avuto la mia prima Zweig-delusione, ma ci sono andata vicino.
Contrariamente a come mi ha abituata, è un romanzo, il suo primo e unico, ma come sempre al centro della vicenda c'è il momento topico di una vita. Il punto di svolta, il classico breakpoint, dal quale mai (o quasi mai) si torna indietro.
Stavolta a parlarci direttamente è un uomo, un ufficiale dell'esercito, che racconta la sua storia in prima persona a un conoscente. I fatti che per sempre lo cambiarono accaddero quando aveva solo venticinque anni ed era un giovane e sprovveduto sottotenente della cavalleria austriaca, poco prima della prima guerra mondiale.
Vediamo un po' cosa mi ha convinto meno rispetto al solito.
La scrittura. Ebbene sì, non mi ha conquistata in un attimo, come sempre accadeva con lui. L'ho trovata troppo pesante e a volte ripetitiva. Inoltre, anche se poi ha risolto tutto e si è districato nel groviglio creato, ha messo molta carne al fuoco, molte storie nella storia, a volte si perdeva quasi il conto di chi stesse raccontando cosa. Un po' confusionario, ecco.
I personaggi. Fino a metà libro circa, mi sembravano delle marionette senz'anima, nonostante i numerosi scatti di passione/ira/compassione/altro che si sono susseguiti. Troppo suscettibili e con poca sostanza. Per fortuna, l'ultima parte è bellissima, lì è uscito lo scrittore che mi ha catturata. Il lungo discorso del dottore al tenente è stata la parte più bella del libro: uomo verso uomo, solo la verità nient'altro che la verità, il buio come copertina di Linus e l'iniziale tentativo di redenzione.
Davvero bellissimo.
Anche in seguito c'è stata un'altra scena simile, catartica allo stesso modo, quando Hofmiller scrive la lettera allo stesso dottore, mettendo a nudo davvero la sua anima e facendo per la prima volta quello che davvero gli suggeriva il suo cuore, senza pregiudizi e paure.
Purtroppo nel mezzo tanto brodo sciacquato.
Una cosa che ho notato sono le coppie descritte; sono tre e ognuna ha meritato la sua brava storia: ovviamente la principale, quella che non nasce mai veramente tra Hofmiller ed Edith, quella tra il padre e la madre di Edith e quella del dottore con sua moglie cieca.
Tutte e tre sono basate su una certa dipendenza della donna dall'uomo: Edith è una storpia che tenterebbe anche l'impossibile per Hofmiller, che purtroppo la sdegna proprio per la sua condizione fisica; la madre di Edith viene raggirata dal suo futuro marito come una scema; la moglie del dottore è stata sua paziente, il suo più triste fallimento anzi, e ora dipende da lui.
Insomma, la sagra del mainagioia.
Ma le tre donne dipinte non sono assolutamente delle perdenti, per Zweig. Della madre di Edith non sappiamo molto, ma ci tiene a raccontarci che è stata molto, molto amata, nonostante l'inizio non proprio idilliaco, dal marito. Edith stessa è una ragazza di diciassette anni che, nonostante la menomazione, ha solo voglia di vivere, di essere trattata come tutti gli altri e di non essere un peso per nessuno. La moglie del dottore, che è cieca, ha comunque trovato il suo mondo nella sua casa, nella quale si muove come se ci vedesse, e nell'amore di suo marito, che è più che sincero.
Zweig ci mette in guardia per tutto il romanzo (come recita anche il titolo inglese): FATE ATTENZIONE ALLA COMPASSIONE (Beware of pity). La compassione può essere di due tipi, come tutte le cose al mondo, e bisogna scegliere con cautela perché, se si fa la scelta sbagliata, ci si avvelenerà tutta la vita. Purtroppo la compassione del tipo sbagliato è il sentimento che guida Hofmiller per quasi tutto il romanzo, una certa aspirazione al martirio, un autocompiacimento nel quale smarrirsi. E infatti per quasi quattrocento pagine lo seguiamo nell'altalena del suo spirito, che una volta va da una parte, il secondo dopo da quella opposta, a seconda dello scenario in cui si trova: quando è al castello, sente che il suo "dovere" è quello di stare accanto a Edith (anche se solo come amico, all'inizio), quando è in caserma reagisce con stizza al suo essere servile nei confronti della ragazza e rinnega cento volte quello che fa quando sono insieme. Ogni volta si ripromette di non tornarci, di non assecondare più nessuno, ma fondamentalmente è un bravo ragazzo e cede a ogni supplica.
Però cavolo, deve esserci un limite!! Confesso che non è stato bello seguire i suoi mutamenti d'animo, mi sembrava un isterico, un bamboccio, sempre in balia di altre persone.
Ecco, forse il motivo per cui non ho tanto amato il libro è proprio il suo protagonista! Non mi è piaciuto.
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se non avete mai letto altro di Zweig, no, leggete prima i suoi racconti brevi, lì dà il meglio di sé.
Se invece già lo amate, allora leggetelo, e magari fatemi sapere se sono stata troppo dura!
Anarchic Rain
AUTORE: Stefan Zweig
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 376
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6
Ogni tanto torno a Zweig, come si torna a qualcosa che si ama e da cui ci si sente protetti.
So che ogni suo libro mi piacerà e so che, spesso, mi piacerà tanto.
Non voglio dire che con questo ho avuto la mia prima Zweig-delusione, ma ci sono andata vicino.
Contrariamente a come mi ha abituata, è un romanzo, il suo primo e unico, ma come sempre al centro della vicenda c'è il momento topico di una vita. Il punto di svolta, il classico breakpoint, dal quale mai (o quasi mai) si torna indietro.
Stavolta a parlarci direttamente è un uomo, un ufficiale dell'esercito, che racconta la sua storia in prima persona a un conoscente. I fatti che per sempre lo cambiarono accaddero quando aveva solo venticinque anni ed era un giovane e sprovveduto sottotenente della cavalleria austriaca, poco prima della prima guerra mondiale.
Vediamo un po' cosa mi ha convinto meno rispetto al solito.
La scrittura. Ebbene sì, non mi ha conquistata in un attimo, come sempre accadeva con lui. L'ho trovata troppo pesante e a volte ripetitiva. Inoltre, anche se poi ha risolto tutto e si è districato nel groviglio creato, ha messo molta carne al fuoco, molte storie nella storia, a volte si perdeva quasi il conto di chi stesse raccontando cosa. Un po' confusionario, ecco.
I personaggi. Fino a metà libro circa, mi sembravano delle marionette senz'anima, nonostante i numerosi scatti di passione/ira/compassione/altro che si sono susseguiti. Troppo suscettibili e con poca sostanza. Per fortuna, l'ultima parte è bellissima, lì è uscito lo scrittore che mi ha catturata. Il lungo discorso del dottore al tenente è stata la parte più bella del libro: uomo verso uomo, solo la verità nient'altro che la verità, il buio come copertina di Linus e l'iniziale tentativo di redenzione.
Davvero bellissimo.
Anche in seguito c'è stata un'altra scena simile, catartica allo stesso modo, quando Hofmiller scrive la lettera allo stesso dottore, mettendo a nudo davvero la sua anima e facendo per la prima volta quello che davvero gli suggeriva il suo cuore, senza pregiudizi e paure.
Purtroppo nel mezzo tanto brodo sciacquato.
Una cosa che ho notato sono le coppie descritte; sono tre e ognuna ha meritato la sua brava storia: ovviamente la principale, quella che non nasce mai veramente tra Hofmiller ed Edith, quella tra il padre e la madre di Edith e quella del dottore con sua moglie cieca.
Tutte e tre sono basate su una certa dipendenza della donna dall'uomo: Edith è una storpia che tenterebbe anche l'impossibile per Hofmiller, che purtroppo la sdegna proprio per la sua condizione fisica; la madre di Edith viene raggirata dal suo futuro marito come una scema; la moglie del dottore è stata sua paziente, il suo più triste fallimento anzi, e ora dipende da lui.
Insomma, la sagra del mainagioia.
Ma le tre donne dipinte non sono assolutamente delle perdenti, per Zweig. Della madre di Edith non sappiamo molto, ma ci tiene a raccontarci che è stata molto, molto amata, nonostante l'inizio non proprio idilliaco, dal marito. Edith stessa è una ragazza di diciassette anni che, nonostante la menomazione, ha solo voglia di vivere, di essere trattata come tutti gli altri e di non essere un peso per nessuno. La moglie del dottore, che è cieca, ha comunque trovato il suo mondo nella sua casa, nella quale si muove come se ci vedesse, e nell'amore di suo marito, che è più che sincero.
Zweig ci mette in guardia per tutto il romanzo (come recita anche il titolo inglese): FATE ATTENZIONE ALLA COMPASSIONE (Beware of pity). La compassione può essere di due tipi, come tutte le cose al mondo, e bisogna scegliere con cautela perché, se si fa la scelta sbagliata, ci si avvelenerà tutta la vita. Purtroppo la compassione del tipo sbagliato è il sentimento che guida Hofmiller per quasi tutto il romanzo, una certa aspirazione al martirio, un autocompiacimento nel quale smarrirsi. E infatti per quasi quattrocento pagine lo seguiamo nell'altalena del suo spirito, che una volta va da una parte, il secondo dopo da quella opposta, a seconda dello scenario in cui si trova: quando è al castello, sente che il suo "dovere" è quello di stare accanto a Edith (anche se solo come amico, all'inizio), quando è in caserma reagisce con stizza al suo essere servile nei confronti della ragazza e rinnega cento volte quello che fa quando sono insieme. Ogni volta si ripromette di non tornarci, di non assecondare più nessuno, ma fondamentalmente è un bravo ragazzo e cede a ogni supplica.
Però cavolo, deve esserci un limite!! Confesso che non è stato bello seguire i suoi mutamenti d'animo, mi sembrava un isterico, un bamboccio, sempre in balia di altre persone.
Ecco, forse il motivo per cui non ho tanto amato il libro è proprio il suo protagonista! Non mi è piaciuto.
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se non avete mai letto altro di Zweig, no, leggete prima i suoi racconti brevi, lì dà il meglio di sé.
Se invece già lo amate, allora leggetelo, e magari fatemi sapere se sono stata troppo dura!
Anarchic Rain
domenica 8 aprile 2018
I'm only happy when it rains. Books for singles.
Il titolo rimanda ad una bellissima canzone dei Garbage e può avere molti significati, preso così da solo. Può essere che a qualcuno piaccia la pioggia come evento atmosferico, oppure che sia da intendersi in senso metaforico e che ci troviamo davanti una persona che si sente "felice" o comunque "viva", "attiva", solo quando affronta le difficoltà.
Insomma ci sono varie interpretazioni.
Così come la parola "single". Per alcuni è uno status inalterabile, per altri una transizione, per altri ancora un difetto di cui liberarsi in fretta che manco la chirurgia plastica.
Magari riusciamo a trovare libri per vedere questo status da nuove angolazioni.
Come per il precedente post sui libri per San Valentino, cercherò di non battere percorsi trafficati, quindi niente Bridget Jones, che a me personalmente inoltre fa anche venire un po' i brividi. Nemmeno Ritratto di signora, Ragione e sentimento, Non lasciarmi e Notre Dame de Paris: troppo scontati. Sarà dura, penso!
1 - Alice nel Paese delle Meraviglie, Lewis Carroll
Alice in realtà è una favola jolly, dove la metti sta, perché significa tutto e il contrario di tutto. Ma Alice è fondamentalmente una ragazzina sola che affronta le stranezze di un mondo che non capisce e lo fa adattandosi alle circostanze. Un esempio da seguire!
2 - Le relazioni pericolose, Choderlos de Laclos
A cosa può portare una relazione tossica? Alla distruzione di sé e dell'altro e probabilmente anche di molti altri intorno. Questo libro è un monito: cercate sempre la persona più affine a voi e più limpida, lasciate perdere i sentieri pericolosi o comunque poco chiari. Meritate trasparenza nella vita.
3 - Rebecca, Daphne du Maurier
Praticamente il libro su cui tutti hanno un'opinione unanime (capolavoro) e poi ci sono io, che lo detesto (anche se è scritto magnificamente a dir poco). Le donne del libro ne escono malissimo: una uccisa per un motivo assurdo (Manderley non può essere macchiata da un divorzio, ma da un omicidio sì) e una completamente ridotta a una larva tremante, condannata a far da infermiera al marito coi nervi a pezzi. Per non parlare della cameriera demonizzata (ingiustamente, perché alla fine c'aveva pure ragione). Vabbé, Rebecche e innominate di tutto il mondo, restate single che è meglio!
4 - I tre moschettieri, Alexandre Dumas
Beh, non ve lo devo dire certo io come va a finire tra D'Artagnan e Constance...o tra lui e Milady. Molto meglio l'amicizia! E poi come fai a leggere tutte queste pagine se vieni continuamente interrotto dai whatsapp della tua metà che vuole sapere cosa stai facendo e soprattutto con chi???
5 - The hottest state, Ethan Hawke
Il romanzo sul primo amore disastroso di un pinco pallino qualsiasi con velleità d'artista. Ma torna nel Texas, va', che almeno il cuore ti rimane integro (ebbene sì, confesso di averlo non solo letto, ma anche comprato...vale la scusa che ero adolescente?).
6 - L'assassinio di Roger Ackroyd, Agatha Christie:
Vi chiederete perché. Beh, cari miei, il motivo è semplicissimo: se doveste leggerlo sul divano e accanto a voi ci fosse la vostra metà, arrivati alla fine de libro non potreste trattenervi dall'urlare selvaggiamente "COOOOOOSA?!?!?!? L'ASSASSINO E'.....?!?!?!?!?!?" e a quel punto il vostro rapporto finirebbe all'istante sia che l'altro abbia già letto il libro, sia che abbiate fatto lo spoiler peggiore del mondo. Nel primo caso, finirebbe perché non avreste la reazione di supporto psicologico sperata (ormai l'altro/a l'avrà già metabolizzato), nel secondo perché NON SI SPOILERA UN GIALLO, porcatroxa. Nemmeno io lo faccio.
Purtroppo non mi vengono altri titoli da single, ma siete liberissimi di proporre voi qualche titolo.
Buone letture a tutti, nel frattempo.
Anarchic Rain
lunedì 19 marzo 2018
Le più belle citazioni della letteratura mondiale. Parte II.
Rieccoci al secondo appuntamento con le frasi più belle dei libri (se siete curiosi, qui il primo).
Cosa ci colpisce di più di un libro? Un libro deve avere un bell'incipit, senza dubbio, e anche una bella frase di chiusura. Ad effetto, così da rimanerci impressa a lungo, e anche quando l'avremo dimenticata, potremo dire "ricordo che era bellissima".
Ma ovviamente deve avere anche sostanza. E la sostanza di un libro è data dalle parole e dalla loro sequenza, dal filo logico che le incatena l'una all'altra, dalla prima all'ultima.
Quelle che ho raccolto qui sono dei fari sulla strada della mia vita.
Demian: La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è stato mai veramente se stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità. [...] ognuno è una rincorsa della natura verso l'uomo.
Demian: Quando odiamo un uomo, odiamo nella sua immagine qualcosa che sta dentro di noi. Ciò che non è in noi non ci mette in agitazione.
Questo piccolo grande amore: Non appartiene alla luce, ma alla bellezza la velocità più alta.
L'ora delle streghe: Ciò che fa schiudere i fiori e cadere i fiocchi di neve deve contenere una saggezza e un segreto finale belli e complessi quanto la camelia in fiore o le nubi che si radunano lassù, bianche e pure nell'oscurità.
Il cimitero senza lapidi e altre storie nere: Per me era una questione di fede: tutte le vecchie case vuote erano frequentate da fantasmi.
Il demone incarnato: A me piace rileggere cose che conosco già. E' come ascoltare in continuazione la tua canzone preferita.
I fiori del male: Da Satana o da Dio, che importa? Angelo o Sirena, cosa importa? Tu rendi meno schifoso l'universo e meno pesante ogni momento.
Novecento: Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Credo in unam: Splendida e radiosa, dal cuore degli oceani tu sorgerai, spargendo sul vasto Universo l'amore infinito con un infinito sorriso! Il mondo vibrerà come un'immensa lira nel fremito di un bacio senza fine! -Il mondo ha sete d'amore: tu verrai a placarla.
Breve storia di quasi tutto: La storia di ogni singola parte della Terra, così come la vita di un soldato, è fatta di lunghi periodi di noia e brevi periodi di terrore.
Io sono di legno: Io non vorrei essere Mia, vorrei essere di qualcuno, sapere di appartenergli e non muovermi da lì. Mia è un nome solo. Preferirei chiamarmi Tua.
Io sono di legno: Il destino, te ne accorgi che c'è quando guardi indietro, mai quando guardi avanti.
Il Signore degli Anelli: Noi preferiamo non dire una cosa, se non vale la pena di perdere molto tempo per dirla e ascoltarla.
Il piccolo principe: Non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi.
Do you think you're clever?: Growing old is like being increasingly penalized for a crime you haven't committed.
Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop: Accidenti a me, proprio non saprei dirle quand'è che sono diventata così vecchia. Mi è piombato addosso senza che me ne rendessi conto.
Il vangelo secondo Biff: L'amore non è una cosa a cui si pensa, ma una condizione in cui si dimora.
Di che cosa parliamo quando parliamo di libri: Ogni forma di limitazione, autoimposta o imposta dalla società, è un crimine contro la natura. Se si vuole qualcosa, bisogna prenderselo. A qualunque prezzo. Il coraggio è un dovere, il conformismo un vizio.
Dostoevskij: Terra, roccia e foresta, un paesaggio tragicamente elementare, ecco le profondità del volto di Dostoevskij.
Dostoevskij: Vivere giustamente significa per lui vivere interamente e intensamente il bene e il male, e viverli nel modo più assoluto e più inebriante.
Tutto Sherlock Holmes: Una volta escluso l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, non può che essere la verità.
Oltre il confine: Tutto è necessario. Ogni minimo particolare. E' questa in fondo la lezione. Non si può fare a meno di nulla. Nulla può venire disprezzato. Perché, vedi, non sappiamo dove stanno i fili. I collegamenti. Il modo in cui è fatto il mondo. Non abbiamo modo di sapere quali sono le cose di cui si può fare a meno. Ciò che può venire omesso. Non abbiamo modo di sapere che cosa può stare in piedi e che cosa può cadere. E quei fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch'essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d'essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare.
Pet sematary: Quello che ottieni a qualsiasi costo è tuo. E quello che è tuo prima o poi torna da te.
Different seasons: Memory is a pretty subjective thing, Red. [...] If enough people want you to remember something, that can be a pretty powerful persuader.
Different seasons: It isn't just a piece of paper that makes a man. And it isn't just a prison that breaks one, either.
Different seasons: The most important things are the hardest things to say. They are the things you get ashamed of, because words diminish them - words shrink things that seemd limitless when they were in your head to no more than living size when they're brought out. But it's more than that, isn't it? The most important things lie too close to wherever your secret heart is buried, like landmarks to a treasure your enemies would love to steal away. And you may make revelations that cost you dearly only to have people look at you in a funny way, not understanding what you've said at all, or why you thought it was so important that you almost cried while you were saying it. That's the worst, I think. When the secret stays within, not for want of a teller but for want of an understanding ear.
Christine: L'amore è il più antico degli assassini. L'amore non è cieco. L'amore è un cannibale con una vista estremamente acuta. L'amore è un insetto che ha sempre fame.
The eyes of the dragon: People's mind, particularly the minds of children, are like wells - deep wells full of sweet water. And sometimes when a particular thought is too unpleasant to bear, the person who has that thought will lock it into a heavy box and throw it into that well. He listens for the splash and then the box is gone. Except it is not, of course. Not really. [...] Even the deepest well has a bottom and just because a thing is out of sight doesn't mean it is gone. It is still here, resting at the bottom. [...] The casket those evil, frightening ideas are buried in may rot, and the nastiness inside may leak out after a while and poison the water and when the well of the mind is badly poisoned, we call the result insanity.
Misery: How its heart beats! How it struggles to get away! As we do, Paul, as we do. We think we know so much, but we really don't know any more than a rat in a trap - a rat with a broken back that thinks it still wants to live.
Chiamami col tuo nome: Ogni cellula del mio corpo crede che ogni cellula del tuo corpo non debba morire, mai, ma se proprio deve, che muoia allora dentro il mio corpo.
Spero vi siano piaciute queste citazioni. Ne ho scartate centinaia di altre. Magari farò un altro post simile, più in là, quando vi sarete dimenticati di questo.
Anarchic Rain
domenica 18 marzo 2018
L'amore è universale, l'amore è anarchia, l'amore non conosce limiti
TITOLO: Chiamami col tuo nome
AUTORE: Andre Aciman
EDIZIONE: Guanda
PAGINE: 271
VERSIONE LETTA: cartaceo e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 10-
Non siamo stati composti per un solo strumento; né tu, né io.
Purtroppo mi sono incuriosita del libro solo dopo aver visto il trailer del film.
Per fortuna l'ho letto senza averlo visto (non ho trovato l'ebook in lingua originale e l'ho letto in italiano....uff).
E' stata un'esperienza bellissima.
Da anni ormai io e lo yaoi andiamo a braccetto. Cos'è lo yaoi? Semplicemente una storia d'amore che vede coinvolti due maschi. Derivo il termine dai manga giapponesi a tema, che adoro tanto leggere (valla capire la psiche di una trentacinquenne, quasi trentaseienne) e lo applico ogni volta si parla di "boys love". Perché? Perché sono una yaoista convinta, vedo yaoi ovunque, creo ship come se fossero necessarie per vivere (se non ci credete, leggete la mia chiacchierata su Sherlock Holmes, e se siete fan di Buffy the Vampire Slayer pensate al crossname Spiles).
Quindi quando ho saputo che c'era questo libro che parlava del primo amore di un ragazzo di diciassette anni verso un uomo di ventiquattro, non è che mi ci sono fiondata sopra. Di più. E infatti l'ho letto in un giorno (blocco del lettore? CIAONE!), complice anche un viaggio in treno di tre ore: non sono proprio riuscita a staccarmi dalle pagine.
Come quando ogni cosa va al posto giusto e d'improvviso ti rendi conto che per diciassette anni non hai fatto altro che trafficare con la combinazione sbagliata.
Vediamo un po' cosa mi è piaciuto.
I protagonisti: sia Elio che Oliver sono fantastici. Sono reali, si comportano in un modo in cui tutti (a prescindere dal sesso) si possono riconoscere. Il primo amore quando arriva ci sconvolge, ma ci dimentichiamo che tutti ne hanno avuto uno e tutti si sono comportati allo stesso modo.
Elio prova ad essere più grande della sua età, ma solo a volte, perché in realtà è davvero più maturo di ogni altro diciassettenne che conosce. Semplicemente è cresciuto in un modo diverso, in una casa diversa (per una volta in senso positivo), e questo gli permette di vivere il suo amore per Oliver senza drammi (al di là di quelli relativi appunto al primo amore, ma quello non c'entra).
Oliver in tutto questo sgama subito Elio (vorrei vedere, ha sette anni di più e molta più esperienza) e all'inizio cerca di allontanarlo per fare la persona matura, poi invece cede all'amore. E quando finalmente smettono di fare i ragazzini che giocano a fare gli adulti e si lasciano andare entrambi, è davvero bellissimo e la magia quasi palpabile.
La scrittura di questo autore mi è piaciuta molto, anche se può sembrare priva di originalità o persino un po' banale, all'inizio. Invece è immediata e vola via veloce, anche quando dice cose importanti, quasi si vergognasse, quasi volesse dirle ma anche nasconderle, come quando tace e ci fa intuire cose che accadono senza dirle davvero.
Invece, senza ombra di dubbio, il personaggio secondario migliore di tutto il libro è il padre di Elio, il professore che accoglie Oliver nella sua casa. Una persona squisita, il padre che tutti (omosessuali e non) vorrebbero avere, di rara sensibilità, dolcezza e intelligenza. Mi ha conquistata in un attimo.
Sei troppo sveglio per non capire che tra voi c'è stato qualcosa di speciale.
La storia in sé è bellissima: il primo amore, il passaggio da ragazzo a uomo, il dolore della perdita e la gioia del ricordo.
Il primo amore porta confusione, all'inizio, poi dubbi, poi scoraggiamento, poi felicità. Ti fa maturare, ti delinea anche, un po', ti indica la strada per diventare l'uomo che sarai. Poi sembra ucciderti perché quando finisce (e ogni primo amore che si rispetti finisce) niente sembra avere più senso. E invece poi il senso riappare, quando capisci che non è tutto lì e che quello che hai vissuto sarà per sempre unico nel tuo cuore e ne sarai per sempre influenzato. Rimarrà solo un ricordo dolce in fondo ai tuoi pensieri, come un profumo che ti ricorda una cosa bella che non tornerà più senza la parte malinconica della faccenda.
Quando saremo vecchi, parleremo ancora di questi giovani come se fossero due sconosciuti che abbiamo incontrato sul treno, che ammiriamo e vorremmo aiutare. E ci verrà da chiamarla invidia, perché chiamarlo rimpianto ci spezzerebbe il cuore.
Elio e Oliver si rivedono ogni tanto, per anni, dopo quella prima meravigliosa estate. Ma tutto è cambiato ovviamente.
E dopo vent'anni, quando entrambi hanno il coraggio di ammettere che si amano (anche se non staranno mai più insieme) c'è uno dei finali più belli che abbia mai letto (grazie per le lacrime, André, no, davvero, eh):
"Sono come te" ha detto. "Mi ricordo tutto".
Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c'è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.
Anarchic Rain
AUTORE: Andre Aciman
EDIZIONE: Guanda
PAGINE: 271
VERSIONE LETTA: cartaceo e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 10-
Non siamo stati composti per un solo strumento; né tu, né io.
Purtroppo mi sono incuriosita del libro solo dopo aver visto il trailer del film.
Per fortuna l'ho letto senza averlo visto (non ho trovato l'ebook in lingua originale e l'ho letto in italiano....uff).
E' stata un'esperienza bellissima.
Da anni ormai io e lo yaoi andiamo a braccetto. Cos'è lo yaoi? Semplicemente una storia d'amore che vede coinvolti due maschi. Derivo il termine dai manga giapponesi a tema, che adoro tanto leggere (valla capire la psiche di una trentacinquenne, quasi trentaseienne) e lo applico ogni volta si parla di "boys love". Perché? Perché sono una yaoista convinta, vedo yaoi ovunque, creo ship come se fossero necessarie per vivere (se non ci credete, leggete la mia chiacchierata su Sherlock Holmes, e se siete fan di Buffy the Vampire Slayer pensate al crossname Spiles).
Quindi quando ho saputo che c'era questo libro che parlava del primo amore di un ragazzo di diciassette anni verso un uomo di ventiquattro, non è che mi ci sono fiondata sopra. Di più. E infatti l'ho letto in un giorno (blocco del lettore? CIAONE!), complice anche un viaggio in treno di tre ore: non sono proprio riuscita a staccarmi dalle pagine.
Come quando ogni cosa va al posto giusto e d'improvviso ti rendi conto che per diciassette anni non hai fatto altro che trafficare con la combinazione sbagliata.
Vediamo un po' cosa mi è piaciuto.
I protagonisti: sia Elio che Oliver sono fantastici. Sono reali, si comportano in un modo in cui tutti (a prescindere dal sesso) si possono riconoscere. Il primo amore quando arriva ci sconvolge, ma ci dimentichiamo che tutti ne hanno avuto uno e tutti si sono comportati allo stesso modo.
Elio prova ad essere più grande della sua età, ma solo a volte, perché in realtà è davvero più maturo di ogni altro diciassettenne che conosce. Semplicemente è cresciuto in un modo diverso, in una casa diversa (per una volta in senso positivo), e questo gli permette di vivere il suo amore per Oliver senza drammi (al di là di quelli relativi appunto al primo amore, ma quello non c'entra).
Oliver in tutto questo sgama subito Elio (vorrei vedere, ha sette anni di più e molta più esperienza) e all'inizio cerca di allontanarlo per fare la persona matura, poi invece cede all'amore. E quando finalmente smettono di fare i ragazzini che giocano a fare gli adulti e si lasciano andare entrambi, è davvero bellissimo e la magia quasi palpabile.
La scrittura di questo autore mi è piaciuta molto, anche se può sembrare priva di originalità o persino un po' banale, all'inizio. Invece è immediata e vola via veloce, anche quando dice cose importanti, quasi si vergognasse, quasi volesse dirle ma anche nasconderle, come quando tace e ci fa intuire cose che accadono senza dirle davvero.
Invece, senza ombra di dubbio, il personaggio secondario migliore di tutto il libro è il padre di Elio, il professore che accoglie Oliver nella sua casa. Una persona squisita, il padre che tutti (omosessuali e non) vorrebbero avere, di rara sensibilità, dolcezza e intelligenza. Mi ha conquistata in un attimo.
Sei troppo sveglio per non capire che tra voi c'è stato qualcosa di speciale.
La storia in sé è bellissima: il primo amore, il passaggio da ragazzo a uomo, il dolore della perdita e la gioia del ricordo.
Il primo amore porta confusione, all'inizio, poi dubbi, poi scoraggiamento, poi felicità. Ti fa maturare, ti delinea anche, un po', ti indica la strada per diventare l'uomo che sarai. Poi sembra ucciderti perché quando finisce (e ogni primo amore che si rispetti finisce) niente sembra avere più senso. E invece poi il senso riappare, quando capisci che non è tutto lì e che quello che hai vissuto sarà per sempre unico nel tuo cuore e ne sarai per sempre influenzato. Rimarrà solo un ricordo dolce in fondo ai tuoi pensieri, come un profumo che ti ricorda una cosa bella che non tornerà più senza la parte malinconica della faccenda.
Quando saremo vecchi, parleremo ancora di questi giovani come se fossero due sconosciuti che abbiamo incontrato sul treno, che ammiriamo e vorremmo aiutare. E ci verrà da chiamarla invidia, perché chiamarlo rimpianto ci spezzerebbe il cuore.
Elio e Oliver si rivedono ogni tanto, per anni, dopo quella prima meravigliosa estate. Ma tutto è cambiato ovviamente.
E dopo vent'anni, quando entrambi hanno il coraggio di ammettere che si amano (anche se non staranno mai più insieme) c'è uno dei finali più belli che abbia mai letto (grazie per le lacrime, André, no, davvero, eh):
"Sono come te" ha detto. "Mi ricordo tutto".
Mi sono fermato un secondo. Se ti ricordi tutto, volevo dirgli, e se sei davvero come me, allora domani prima di partire o quando sei pronto per chiudere la portiera del taxi e hai già salutato gli altri e non c'è più nulla da dire in questa vita, allora, una volta soltanto, girati verso di me, anche per scherzo, o perché ci hai ripensato, e, come avevi già fatto allora, guardami negli occhi, trattieni il mio sguardo, e chiamami col tuo nome.
Anarchic Rain
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giovedì 15 febbraio 2018
All you need is love - Dieci libri per San Valentino
E vabbè, quest'anno cedo anch'io come il mio amico di Musical Maniak (con il suo articolo Emo Valentine) e mi cimento nel consigliare libri per la festa più trash che ci sia.
Dai, sarà pure trash, ma ogni tanto è caruccio ricordarci che dobbiamo fare un regalo alla persona che amiamo, giusto per farle capire che ci siamo ancora, che anche se non stiamo lì a dirlo tutti i giorni, è sempre nel nostro cuore, giusto per farla sentire apprezzata. E su, una volta l'anno ci sta.
E se quest'anno lo dicessimo con un libro? Un bel "ti amo" da ottantamila parole, cinquecento stupende pagine (suppergiù)?
Proviamoci, allora.
Ma vi avverto già da ora che non ci saranno i classici dei classici, perché quelli son capaci tutti. Quindi niente Jane Austen, niente Cime tempestose, niente Romeo e Giulietta.
Cerchiamo di esplorare autori insospettabili, ovviamente tra quelli che ho letto io, che sono piuttosto mainstream, ma comunque...
1 - Tre volte all'alba, Alessandro Baricco
Il Bariccone nazionale non poteva mancare nella mia classifica, però ho scelto uno dei suoi libri meno "chiacchierati". E' la storia di un uomo e una donna che si incontrano solo tre volte, all'alba appunto, ma che si amano da morire. Una storia romantica, un po' surreale (come sempre) e coinvolgente.
2 - Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Enrico Brizzi
Se siete due adolescenti e vi siete stufati di vampiri che luccicano e festini all'Olgiata, che ne dite di dare un'occhiata a questa storia un po' datata (anni '90) ma ancora giovane e fresca? Scritta con un linguaggio schietto che credo qualsiasi adolescente possa apprezzare.
3 - Se una notte d'inverno un viaggiatore, Italo Calvino
Se sei un lettore e non hai letto questo libro, vai a farti cinque o dieci ORE di vergogna dietro la lavagna; se non sei un lettore, questo libro ti farà innamorare. E' la storia d'amore tra due lettori che si incontrano grazie ai libri e vivono un'avventura emozionante e appassionante, come solo un libro sa regalare!
4 - Una casa alla fine del mondo, Michael Cunningham
Ammetto che questa è una scelta un po' anomala; non è un libro con lieto fine propriamente detto, eppure a me è piaciuto tantissimo. La scrittura di Cunningham è sempre bella, secca e precisa, come piace a me (sì, lo so, mi piace anche la scrittura rigogliosa, ma che ci posso fare!!) e la storia è quella di un triangolo amoroso un po' particolare. Lui ama lui, lui ri-ama lui e loro amano anche lei. Intensa.
5 - Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, Fannie Flagg
Un gioiello, questo libro, dovete assolutamente leggerlo, senza se e senza ma! E se non vi commuovete alla fine, vi rimborso io la spesa, ecco!
6 - La sfera del buio, Stephen King
Perché leggere il quarto libro di una saga di cui magari non vi frega una mazza? Perché tra i millemila libri dello zio non ne ho scelto uno singolo che parla d'amore (e ce ne sono, eh, checché ne dicano i detrattori)? Perché la storia d'amore raccontata in questo libro è la più bella di tutte, ovviamente! E' una digressione che può benissimo essere letta come libro a sé stante, ha un inizio e una fine che, anche se collegati al resto della saga, non ne sono vincolati. Fatevi un favore e leggetelo.
7 - 1Q84, Haruki Murakami
Altro che Norwegian Wood. Non me lo nominate. Murakami SA scrivere d'amore e lo fa in modo superlativo in questo romanzo lunghissimo. La storia di Tengo e Aomame vi terrà col fiato sospeso fino alla fine e, quando l'ultima pagina sarà stata voltata, questi due vi mancheranno da matti.
8 - Suite Francese, Irene Nemirovsky
Ok, questa è un po' azzardata. Il romanzo si divide in due parti e solo la seconda ha al centro della vicenda una storia d'amore. Ma non dovete assolutamente perdervela.
9 - Questo amore, Jacques Prevert: lo so, è una poesia. Vi avevo promesso romanzi. Almeno è lunga. E vi assicuro che è bellissima. E posso svelarvi il finale: tendici la mano e salvaci. Sembra una banalità, ma l'amore salva davvero vite, laddove l'odio le stronca.
10 - Lettera di una sconosciuta, Stefan Zweig
Last but not least, questo libriccino piccolo piccolo è un viaggio nella vita di una donna che ama un uomo da sempre, anche se l'uomo non lo sa. D'altra parte l'amore esiste anche da solo, non ha bisogno di qualcuno che ne riconosca l'esistenza. C'è e gli basta.
Spero di avervi suggerito letture originali, che non vi siate annoiati e spero che ogni giorno ci sia qualcuno che vi faccia sentire amati. A volte, non serve altro.
Anarchic Rain
Dai, sarà pure trash, ma ogni tanto è caruccio ricordarci che dobbiamo fare un regalo alla persona che amiamo, giusto per farle capire che ci siamo ancora, che anche se non stiamo lì a dirlo tutti i giorni, è sempre nel nostro cuore, giusto per farla sentire apprezzata. E su, una volta l'anno ci sta.
E se quest'anno lo dicessimo con un libro? Un bel "ti amo" da ottantamila parole, cinquecento stupende pagine (suppergiù)?
Proviamoci, allora.
Ma vi avverto già da ora che non ci saranno i classici dei classici, perché quelli son capaci tutti. Quindi niente Jane Austen, niente Cime tempestose, niente Romeo e Giulietta.
Cerchiamo di esplorare autori insospettabili, ovviamente tra quelli che ho letto io, che sono piuttosto mainstream, ma comunque...
1 - Tre volte all'alba, Alessandro Baricco
Il Bariccone nazionale non poteva mancare nella mia classifica, però ho scelto uno dei suoi libri meno "chiacchierati". E' la storia di un uomo e una donna che si incontrano solo tre volte, all'alba appunto, ma che si amano da morire. Una storia romantica, un po' surreale (come sempre) e coinvolgente.
2 - Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Enrico Brizzi
Se siete due adolescenti e vi siete stufati di vampiri che luccicano e festini all'Olgiata, che ne dite di dare un'occhiata a questa storia un po' datata (anni '90) ma ancora giovane e fresca? Scritta con un linguaggio schietto che credo qualsiasi adolescente possa apprezzare.
3 - Se una notte d'inverno un viaggiatore, Italo Calvino
Se sei un lettore e non hai letto questo libro, vai a farti cinque o dieci ORE di vergogna dietro la lavagna; se non sei un lettore, questo libro ti farà innamorare. E' la storia d'amore tra due lettori che si incontrano grazie ai libri e vivono un'avventura emozionante e appassionante, come solo un libro sa regalare!
4 - Una casa alla fine del mondo, Michael Cunningham
Ammetto che questa è una scelta un po' anomala; non è un libro con lieto fine propriamente detto, eppure a me è piaciuto tantissimo. La scrittura di Cunningham è sempre bella, secca e precisa, come piace a me (sì, lo so, mi piace anche la scrittura rigogliosa, ma che ci posso fare!!) e la storia è quella di un triangolo amoroso un po' particolare. Lui ama lui, lui ri-ama lui e loro amano anche lei. Intensa.
5 - Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop, Fannie Flagg
Un gioiello, questo libro, dovete assolutamente leggerlo, senza se e senza ma! E se non vi commuovete alla fine, vi rimborso io la spesa, ecco!
6 - La sfera del buio, Stephen King
Perché leggere il quarto libro di una saga di cui magari non vi frega una mazza? Perché tra i millemila libri dello zio non ne ho scelto uno singolo che parla d'amore (e ce ne sono, eh, checché ne dicano i detrattori)? Perché la storia d'amore raccontata in questo libro è la più bella di tutte, ovviamente! E' una digressione che può benissimo essere letta come libro a sé stante, ha un inizio e una fine che, anche se collegati al resto della saga, non ne sono vincolati. Fatevi un favore e leggetelo.
7 - 1Q84, Haruki Murakami
Altro che Norwegian Wood. Non me lo nominate. Murakami SA scrivere d'amore e lo fa in modo superlativo in questo romanzo lunghissimo. La storia di Tengo e Aomame vi terrà col fiato sospeso fino alla fine e, quando l'ultima pagina sarà stata voltata, questi due vi mancheranno da matti.
8 - Suite Francese, Irene Nemirovsky
Ok, questa è un po' azzardata. Il romanzo si divide in due parti e solo la seconda ha al centro della vicenda una storia d'amore. Ma non dovete assolutamente perdervela.
9 - Questo amore, Jacques Prevert: lo so, è una poesia. Vi avevo promesso romanzi. Almeno è lunga. E vi assicuro che è bellissima. E posso svelarvi il finale: tendici la mano e salvaci. Sembra una banalità, ma l'amore salva davvero vite, laddove l'odio le stronca.
10 - Lettera di una sconosciuta, Stefan Zweig
Last but not least, questo libriccino piccolo piccolo è un viaggio nella vita di una donna che ama un uomo da sempre, anche se l'uomo non lo sa. D'altra parte l'amore esiste anche da solo, non ha bisogno di qualcuno che ne riconosca l'esistenza. C'è e gli basta.
Spero di avervi suggerito letture originali, che non vi siate annoiati e spero che ogni giorno ci sia qualcuno che vi faccia sentire amati. A volte, non serve altro.
Anarchic Rain
mercoledì 17 gennaio 2018
L'amore a Bologna, il liceo, gli anni '90: come si fa a crescere
TITOLO: Jack Frusciante è uscito dal gruppo
AUTORE: Enrico Brizzi
EDIZIONE: Baldini&Castoldi
PAGINE: 176
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8
L'altro ieri è morta Dolores O'Riordan, la meravigliosa cantante dei Cranberries, un gruppo irlandese a dir poco fantastico (lo so che si dice di ogni gruppo quando "muore" ma loro lo erano sul serio) e, una cosa tira l'altra, mi sono ritrovata a pensare agli anni Novanta, i maledetti (scherzo) anni della mia adolescenza. Santocielo, sembrano passate tipo cinque vite e mezzo.
Ho pensato anche ai libri che ho letto in quel periodo, col sottofondo della musica che amavo (e amo tuttora, non ho rinnegato quasi nulla, neppure gli Aqua!) e mi è tornato in mente il quinto ginnasio, anno 1997, quindici anni (se ci ripenso mi viene quasi da piangere). A quell'epoca avevamo una prof di italiano che non piaceva quasi a nessuno, la chiamavamo Berta/Bertuccia, era davvero terribile, porella (manco era tanto colpa sua, ma così era), però per la narrativa di quell'anno, forse per fare bella impressione con noi, scelse questo librettino di Brizzi (che allora mi pare avesse pubblicato solo Bastogne, ma non voglio sbagliarmi e non mi va di andare a controllare), uscito tipo l'anno prima e ce lo diede da leggere e commentare.
Una storia leggera, due pirati moderni che si innamorano e poi si separano e poi (forse, non lo sapremo mai) tornano insieme. Il primo amore, questo momento che tutti dobbiamo affrontare, che sia ricambiato o disastroso, su cui hanno scritto poeti, romanzieri, saggisti, di cui hanno dipinto pittori, di cui hanno suonato musicisti...insomma, LUI, il primo amore.
Brizzi lo affronta come se davvero avesse sedici anni e mezzo, o come se li ricordasse perfettamente. Con un linguaggio freschissimo, infarcito di parolacce ma senza esagerare, senza risultare greve, affrontando temi importantissimi, tra cui droga, suicidio (chi l'ha letto non potrà mai scordare la lettera di Martino, l'amico di Alex, io ancora piango), inadeguatezza, bullismo, insomma in una parola, il LICEO.
In mezzo a questo bordello nasce un piccolo fiore colorato: l'amore tra Alex e Aidi, sì, come la tipa dei cartoni animati ma scritto diverso. Un amore che prima è amicizia, deve superare tutti gli ostacoli esterni e interni ai due protagonisti, tutti i pregiudizi, e poi deve prepararsi ad affrontare la prova della separazione, perché Aidi in tempi non sospetti aveva fatto domanda per un anno di studi in America. Il terrore di Alex di lasciarla andare, insicuro di lei ma più di se stesso. La tristezza di Aidi di partire, unita alla deliziosa euforia di qualcosa di nuovo e in qualche modo grande.
Chi sono Alex e Aidi? Due adolescenti normalissimi, con amici, ex, sogni, speranze. Alex era stato un bravissimo studente fino al primo liceo classico, quando aveva deciso di ribellarsi al sistema (dopo aver letto Due di Due di Andrea De Carlo). Quando incontra Aidi, con cui discute di poesia (lui schierando quel kranio immenso di Baudelaire, lei Cummings, non ha la minima idea di quello che sta per iniziare, ma basta parlare con lei tre minuti per pensare "Mio dio, ma questa ragazza è un intero disco di Battisti!". Aidi da parte sua è la classica brava ragazza, ma non del tipo noioso, del tipo giusto, if you know what I mean, e Alex se ne accorge subito. Ma lei non vuole stare sul serio insieme a lui, nonostante le piaccia tantissimo, perché ha paura che tutto possa finire con la sua partenza per l'America. Cercano di fare scelte "fuori dal libro", per non permettere a nessuno (neppure a una entità non meglio definita) di dirigere la loro vita, di condizionare le loro scelte. Come fece John Frusciante (Jack, forse per motivi di copyright) quando abbandonò i Red Hot Chili Peppers all'apice del successo.
Si conoscono, diventano inseparabili, litigano, fanno pace. E' dolcissimo vederli interagire così fragili e tuttavia così impavidi verso la Vita.
"Prima o poi ci incontreremo ancora, nel bel mezzo dell'unica festa che non può finire": forse un addio-non-addio, una cosa indefinita e indefinibile come quel ti al-di-là anche se suona male (brividi al ricordo).
Mentre lo leggevamo, io e la mia compagna di banco (e amica-per-sempre, ovviamente, poiché le amicizie del liceo durano una vita intera, se sono vere) ci appuntavamo frasi su frasi sul diario e ci siamo anche rilette Il piccolo principe, visto che metà del libro è un riferimento al Principe e alla volpe che addomestica.
"L'essenziale è invisibile agli occhi".
E alla fine, come non farsi venire le lacrime agli occhi sulle ultime righe, quando la festa di addio per Aidi è finita e, dopo aver passato la notte insieme, Alex torna a casa in bici, come al solito: "ma che fa il nostro, piange? No, se il vecchio Alex, il nostro Girardengo un po' più basso e rock, ha gli occhi un pochino lustri è solo il vento".
Perdonatemi se la citazione non è alla lettera, ma non ho il libro con me e sto andando a memoria.
Nonostante io mi commuova ancora, penso sia un libro adatto a un pubblico giovane, della stessa età dei protagonisti, da rileggere ogni tanto, solo per vedere se si riesce a sentire nostalgia.
Io la sento ogni volta, ma è una nostalgia tenera che mi scalda.
Anarchic Rain
AUTORE: Enrico Brizzi
EDIZIONE: Baldini&Castoldi
PAGINE: 176
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8
L'altro ieri è morta Dolores O'Riordan, la meravigliosa cantante dei Cranberries, un gruppo irlandese a dir poco fantastico (lo so che si dice di ogni gruppo quando "muore" ma loro lo erano sul serio) e, una cosa tira l'altra, mi sono ritrovata a pensare agli anni Novanta, i maledetti (scherzo) anni della mia adolescenza. Santocielo, sembrano passate tipo cinque vite e mezzo.
Ho pensato anche ai libri che ho letto in quel periodo, col sottofondo della musica che amavo (e amo tuttora, non ho rinnegato quasi nulla, neppure gli Aqua!) e mi è tornato in mente il quinto ginnasio, anno 1997, quindici anni (se ci ripenso mi viene quasi da piangere). A quell'epoca avevamo una prof di italiano che non piaceva quasi a nessuno, la chiamavamo Berta/Bertuccia, era davvero terribile, porella (manco era tanto colpa sua, ma così era), però per la narrativa di quell'anno, forse per fare bella impressione con noi, scelse questo librettino di Brizzi (che allora mi pare avesse pubblicato solo Bastogne, ma non voglio sbagliarmi e non mi va di andare a controllare), uscito tipo l'anno prima e ce lo diede da leggere e commentare.
Una storia leggera, due pirati moderni che si innamorano e poi si separano e poi (forse, non lo sapremo mai) tornano insieme. Il primo amore, questo momento che tutti dobbiamo affrontare, che sia ricambiato o disastroso, su cui hanno scritto poeti, romanzieri, saggisti, di cui hanno dipinto pittori, di cui hanno suonato musicisti...insomma, LUI, il primo amore.
Brizzi lo affronta come se davvero avesse sedici anni e mezzo, o come se li ricordasse perfettamente. Con un linguaggio freschissimo, infarcito di parolacce ma senza esagerare, senza risultare greve, affrontando temi importantissimi, tra cui droga, suicidio (chi l'ha letto non potrà mai scordare la lettera di Martino, l'amico di Alex, io ancora piango), inadeguatezza, bullismo, insomma in una parola, il LICEO.
In mezzo a questo bordello nasce un piccolo fiore colorato: l'amore tra Alex e Aidi, sì, come la tipa dei cartoni animati ma scritto diverso. Un amore che prima è amicizia, deve superare tutti gli ostacoli esterni e interni ai due protagonisti, tutti i pregiudizi, e poi deve prepararsi ad affrontare la prova della separazione, perché Aidi in tempi non sospetti aveva fatto domanda per un anno di studi in America. Il terrore di Alex di lasciarla andare, insicuro di lei ma più di se stesso. La tristezza di Aidi di partire, unita alla deliziosa euforia di qualcosa di nuovo e in qualche modo grande.
Chi sono Alex e Aidi? Due adolescenti normalissimi, con amici, ex, sogni, speranze. Alex era stato un bravissimo studente fino al primo liceo classico, quando aveva deciso di ribellarsi al sistema (dopo aver letto Due di Due di Andrea De Carlo). Quando incontra Aidi, con cui discute di poesia (lui schierando quel kranio immenso di Baudelaire, lei Cummings, non ha la minima idea di quello che sta per iniziare, ma basta parlare con lei tre minuti per pensare "Mio dio, ma questa ragazza è un intero disco di Battisti!". Aidi da parte sua è la classica brava ragazza, ma non del tipo noioso, del tipo giusto, if you know what I mean, e Alex se ne accorge subito. Ma lei non vuole stare sul serio insieme a lui, nonostante le piaccia tantissimo, perché ha paura che tutto possa finire con la sua partenza per l'America. Cercano di fare scelte "fuori dal libro", per non permettere a nessuno (neppure a una entità non meglio definita) di dirigere la loro vita, di condizionare le loro scelte. Come fece John Frusciante (Jack, forse per motivi di copyright) quando abbandonò i Red Hot Chili Peppers all'apice del successo.
Si conoscono, diventano inseparabili, litigano, fanno pace. E' dolcissimo vederli interagire così fragili e tuttavia così impavidi verso la Vita.
"Prima o poi ci incontreremo ancora, nel bel mezzo dell'unica festa che non può finire": forse un addio-non-addio, una cosa indefinita e indefinibile come quel ti al-di-là anche se suona male (brividi al ricordo).
Mentre lo leggevamo, io e la mia compagna di banco (e amica-per-sempre, ovviamente, poiché le amicizie del liceo durano una vita intera, se sono vere) ci appuntavamo frasi su frasi sul diario e ci siamo anche rilette Il piccolo principe, visto che metà del libro è un riferimento al Principe e alla volpe che addomestica.
"L'essenziale è invisibile agli occhi".
E alla fine, come non farsi venire le lacrime agli occhi sulle ultime righe, quando la festa di addio per Aidi è finita e, dopo aver passato la notte insieme, Alex torna a casa in bici, come al solito: "ma che fa il nostro, piange? No, se il vecchio Alex, il nostro Girardengo un po' più basso e rock, ha gli occhi un pochino lustri è solo il vento".
Perdonatemi se la citazione non è alla lettera, ma non ho il libro con me e sto andando a memoria.
Nonostante io mi commuova ancora, penso sia un libro adatto a un pubblico giovane, della stessa età dei protagonisti, da rileggere ogni tanto, solo per vedere se si riesce a sentire nostalgia.
Io la sento ogni volta, ma è una nostalgia tenera che mi scalda.
Anarchic Rain
venerdì 12 gennaio 2018
L'horror spiegato dal Re in persona tra libri, musica, film e ricordi personali
TITOLO: Danse Macabre
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 518
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7
Nella mia vita di lettrice (e di fedele lettrice), mi sono capitati molti libri che mi hanno ispirato le due emozioni contrastanti del ribrezzo e del fascino, ma mai quanto questo.
King parla di horror.
Come dire che il Dalai Lama parla di pace. O Muhammad Alì di boxe. O Dio di teologia.
Il Re del Maine crea un percorso fosforescente che si dipana attraverso trent'anni di horror, in qualunque campo: letteratura, cinema, tv, radio, creando legami e sottolineando similitudini come solo un vero appassionato (ossessivo?) potrebbe fare.
E' magnificamente affascinante seguire lo zione, attraverso gli anni '50 fino agli anni '80, che salta di palo in frasca tra un film e un programma radiofonico, un libro e uno sceneggiato televisivo. Punta la sua mirabile torcia là, proprio in quell'anfratto oscuro che non avevi mai notato e fa molte osservazioni che, se non intelligenti, sono in massima parte illuminanti.
Tranne quando definisce Shining "un prodotto sbagliato, esasperante e deludente" pur ammettendo (comunque controvoglia) che ha una "traccia di genialità".
A questo punto la mia reazione è stata quella di sempre: zio, sai scrivere da dio, ma di film non capisci un caxxo (vedi La torre nera -mi fa male chiamarlo così-).
Comunque, in definitiva, il libro è divertente e ti fornisce una lunga (luuuuuunga) lista di libri e film da non perdere se vuoi diventare un vero appassionato di horror.
Quello che mi ha fatto repulsione (lo so, è un termine che non uso spesso) è stato il linguaggio. Io voglio anche capire che nel 1980 King avesse più droga che sangue in circolo...ma non posso perdonare il modo in cui esprime alcuni concetti, qua e là nel libro. A essere sincera sembra il tipico maschio sciovinista occidentale. E mi dà fastidio. Ho persino pensato che fosse un errore di traduzione o una scelta del traduttore (più che un errore), ma ho letto parallelamente anche la versione originale e so che non è così, purtroppo.
Ultima cosa.
L'edizione.
Un paio di anni fa uscì una nuova edizione del saggio (datato 1981), promossa in lungo e in largo come un'edizione aggiornata.
Grande Dio Anubi. Maddecheeeeeee!
Ha semplicemente una nuova postfazione e una prefazione a cura del traduttore.
Prefazione che è davvero tremenda e non solo non aggiunge nulla al libro, ma addirittura lo abbassa di livello.
Io faccio il medico, non ho mai preteso di essere un vero critico, ho sempre definito i miei post "chiacchierate" o al massimo "sproloqui". Quello che voglio dire è "a ciascuno il suo". King è uno scrittore e fa lo scrittore (e infatti quando fa il recensore sia di libri che di film fa piuttosto schifo); se tu sei un traduttore, traduci, non metterti a scrivere (a meno che sia quella la tua vera passione, in quel caso molla tutto e mettiti a scrivere seriamente, come ha fatto appunto, lo zio).
Scusate lo sfogo.
Leggere o non leggere questo libro?
Per un fan dell'horror è molto interessante.
Per un fan di King è mediamente interessante.
Per tutti gli altri, forse ci sono libri migliori che vi aspettano.
Anarchic Rain
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 518
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7
Nella mia vita di lettrice (e di fedele lettrice), mi sono capitati molti libri che mi hanno ispirato le due emozioni contrastanti del ribrezzo e del fascino, ma mai quanto questo.
King parla di horror.
Come dire che il Dalai Lama parla di pace. O Muhammad Alì di boxe. O Dio di teologia.
Il Re del Maine crea un percorso fosforescente che si dipana attraverso trent'anni di horror, in qualunque campo: letteratura, cinema, tv, radio, creando legami e sottolineando similitudini come solo un vero appassionato (ossessivo?) potrebbe fare.
E' magnificamente affascinante seguire lo zione, attraverso gli anni '50 fino agli anni '80, che salta di palo in frasca tra un film e un programma radiofonico, un libro e uno sceneggiato televisivo. Punta la sua mirabile torcia là, proprio in quell'anfratto oscuro che non avevi mai notato e fa molte osservazioni che, se non intelligenti, sono in massima parte illuminanti.
Tranne quando definisce Shining "un prodotto sbagliato, esasperante e deludente" pur ammettendo (comunque controvoglia) che ha una "traccia di genialità".
A questo punto la mia reazione è stata quella di sempre: zio, sai scrivere da dio, ma di film non capisci un caxxo (vedi La torre nera -mi fa male chiamarlo così-).
Comunque, in definitiva, il libro è divertente e ti fornisce una lunga (luuuuuunga) lista di libri e film da non perdere se vuoi diventare un vero appassionato di horror.
Quello che mi ha fatto repulsione (lo so, è un termine che non uso spesso) è stato il linguaggio. Io voglio anche capire che nel 1980 King avesse più droga che sangue in circolo...ma non posso perdonare il modo in cui esprime alcuni concetti, qua e là nel libro. A essere sincera sembra il tipico maschio sciovinista occidentale. E mi dà fastidio. Ho persino pensato che fosse un errore di traduzione o una scelta del traduttore (più che un errore), ma ho letto parallelamente anche la versione originale e so che non è così, purtroppo.
Ultima cosa.
L'edizione.
Un paio di anni fa uscì una nuova edizione del saggio (datato 1981), promossa in lungo e in largo come un'edizione aggiornata.
Grande Dio Anubi. Maddecheeeeeee!
Ha semplicemente una nuova postfazione e una prefazione a cura del traduttore.
Prefazione che è davvero tremenda e non solo non aggiunge nulla al libro, ma addirittura lo abbassa di livello.
Io faccio il medico, non ho mai preteso di essere un vero critico, ho sempre definito i miei post "chiacchierate" o al massimo "sproloqui". Quello che voglio dire è "a ciascuno il suo". King è uno scrittore e fa lo scrittore (e infatti quando fa il recensore sia di libri che di film fa piuttosto schifo); se tu sei un traduttore, traduci, non metterti a scrivere (a meno che sia quella la tua vera passione, in quel caso molla tutto e mettiti a scrivere seriamente, come ha fatto appunto, lo zio).
Scusate lo sfogo.
Leggere o non leggere questo libro?
Per un fan dell'horror è molto interessante.
Per un fan di King è mediamente interessante.
Per tutti gli altri, forse ci sono libri migliori che vi aspettano.
Anarchic Rain
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