giovedì 24 settembre 2015

Sunset limited di Cormac McCarthy

Non me l'aspettavo. Un romanzo in forma drammatica, viene definito.



E' infatti un dialogo teatrale tra due personaggi che stanno nella cucina di uno dei due. Non hanno nome. Semplicemente Bianco (perché è di pelle chiara) e Nero (perché intuibile). Il Nero ha appena salvato il Bianco dal buttarsi sotto un treno in corsa. Ma si può davvero parlare di salvezza? E che diritto ha uno di salvare qualcun altro, se non gli viene chiesto? Cosa ne sa della sua vita, del suo spirito, dei suoi guai? Di quello che lo ha portato a quel gesto estremo? Niente. Ma il Nero non finge di saperlo. Non finge nulla in realtà. L'ha fatto solo perché in quel momento era in suo potere farlo e perché la sua indole gli ha detto di farlo, senza pensare. Anzi, la sua fede, più che la sua indole.

Ma che diritto ha uno di imporre la propria fede a un altro? Nessuno, è ovvio.

Ma il Nero non cerca nemmeno di far questo. Lui semplicemente vuole fare tutto il possibile per cercare di capire il Bianco, magari per aiutarlo a non vedere tutto perduto, tutto irrisolvibile. Tutto morto.

E alla fine gli resta solo quella domanda. Quel "Va bene?", sussurrato o gridato a un dio che forse c'è o forse no, questione di punti di vista. Questione di coraggio, a volte. Di quali svolte uno ha fatto nella vita.

Alla fine del breve dialogo non è che abbiamo le idee più chiare, anzi, forse proprio il contrario, ma assistere alla partita di tennis tra gli animi dei due protagonisti è affascinante e a volte divertente. Profondamente disperato, a tratti. In fondo loro due non sono che le facce delle nostre, di anime, sempre in lotta con la dicotomia credere/non credere, vita/morte, felicità/disperazione. Sono in bilico, a volte si pende più da una parte, a volte più dall'altra. I due personaggi invece sono tutto o l'una o l'altra, non hanno vie di mezzo. Forse tentano a un certo punto di comprendersi, ma ci riescono mai fino in fondo? Io non credo. Non possono comprendersi del tutto, hanno essenze diverse, se si comprendessero davvero sarebbe come ammettere di avere quella dualità che per gli altri è normale.
Fanno un tentativo, certo, ma non è abbastanza. Ognuno rimane fermo sulle proprie decisioni, anzi, a volerla vedere in maniera pessimistica, forse il Nero alla fine è quello che vacilla, proprio a causa di quella domanda disperata, ripetuta, che alla fine non ottiene (e non può ottenere) risposta.

Il romanzo è ricco di spunti di riflessione, ricco di idee da segnarsi su un taccuino, come fa il Nero a più riprese. Il Bianco sembra vincere con frasi intelligenti e secche, il Nero con ingenuità e ironia.

Forse non ha importanza alla fine chi vince realmente, forse è importante che si siano incontrati e che per un certo (breve) periodo si siano divertiti a starsi a sentire. Sì, penso che si siano divertititi, penso che ad ognuno serva tirare fuori le proprie idee, metterle in ordine una parola dietro l'altra. Potremmo persino capirle di più. Capire di più noi stessi ed essere d'accordo oppure cambiare idea.

L'ultimo monologo del Bianco è bellissimo. Ed è anche distruttivo. Non pessimista, no. E' un altro genere. Distrugge qualsiasi cosa esista. Compreso l'uomo, che altro non è che "una cosa che penzola con le sue espressioni insensate in mezzo a un vuoto ululante". Terrore. Vuoto.

La morte è la fine di tutto o la speranza di una vita migliore in paradiso?

Secondo il Nero non c'è dubbio. Ma nemmeno secondo il Bianco.

Noi siamo esattamente in mezzo.

In cosa scegliamo di credere? E siamo sicuri che, una volta scelta, è proprio quella la parte in cui vogliamo stare?

Anarchic Rain

Un racconto nero come la pece e divertente come una cattiveria

TITOLO: Cortesie per gli ospiti
AUTORE: Ian McEwan
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 138
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e mezzo

Un altro libro di McEwan. Un altro piccolo choc. Continuo ad adorare questo scrittore inglese. E devo assolutamente leggerlo in lingua originale.



Un libro che inizia senza spettacolarità, con una situazione normale: siamo immersi nel quotidiano turistico di una coppia inglese in vacanza in un luogo che non viene mai nominato. Alti e bassi nel loro rapporto. Un certo grado di tenerezza, mescolata a passione e forse anche ad un po' di risentimento, quasi. Un incontro, strano. Un uomo misterioso, nonostante i suoi modi aperti, anzi forse troppo aperti. Subito si racconta, si confessa, lasciando gli interlocutori sorpresi ma troppo educati per replicare qualcosa.

Ed è proprio l'educazione che alla fine sarà la loro tragedia.
Quella e la curiosità.

La curiosità uccide il gatto, si dice. Niente di più vero.

Colin e Mary vengono loro malgrado risucchiati dall'altra coppia, Robert e Caroline, l'uno con un'infanzia tremenda, l'altra con un segreto che è fin troppo evidente notare. Durante la lettura ci accorgiamo che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nel comportamento di Caroline, una sorta di follia sottostante che non abbandona mai completamente le sue azioni (ma è soprattutto presente come una luce sinistra negli occhi, quegli occhi che scrutano sempre Colin, occhi di una belva affamata).

In qualche regione del suo cervello, Mary deve registrare questa "malvagità" nascosta, ma non la mette mai a fuoco. Nemmeno quando si sveglia apparentemente da un incubo e si ricorda della foto. Ma non possiamo dare la colpa a lei o a Colin, loro era semplicemente in vacanza, volevano staccare la spina, non pensare troppo. E magari provare a risolvere i loro normali problemi di coppia, lontani dai figli di lei (avuti dal precedente matrimonio), lontani dalla quotidianità.

Purtroppo Colin attira l'attenzione delle persone sbagliate. Ossessionate e ossessive.

Il romanzo (o novella, vista la lunghezza) è un crescendo di tensione, dalla prima all'ultima pagina, quando tutto si risolve in un climax crudele e "nero" come solo McEwan sa scrivere. Il linguaggio è crudo e quasi spoglio, come ormai ci ha abituati, senza sbavature, senza parole inutili. C'è tutto e solo quello che serve. Alla fine, si gira l'ultima pagina senza la sensazione di inconcluso, non si deve aggiungere niente a quello che già ci ha raccontato. Il luogo, la consistenza dell'aria, i movimenti dei personaggi e le loro espressioni. E' tutto lì. Dobbiamo solo leggere e lasciarci trascinare da loro. Da lui.

Aggiungetelo alla lista dei libri da leggere al più resto se amate lo humor nero, se non volete una storia convenzionale e se siete annoiati dai banali "e vissero felici e contenti".

Anarchic Rain

sabato 19 settembre 2015

Una nuova foresta norvegese, stavolta con i piedi per terra

TITOLO: L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio
AUTORE: Haruki Murakami
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 288
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7

Il penultimo Murakami è un libro diverso. Un libro che mi sentirei di paragonare solo a Norwegian Wood, nella sua produzione. E' un libro che ha protagonisti in carne e ossa (tutti), che vivono situazioni reali e fanno cose concrete. E' un caso che non ci sia nemmeno un gatto? Nemmeno una canzone jazz? Non credo. Musica ce n'è ma è musica classica. Liszt, per la precisione.

Ma non è la stessa cosa.

Io credo che a volte Murakami provi il desiderio di sperimentare, di esplorare nuove strade (come se ne avesse abbastanza di quelle che percorre di solito) e quindi scriva storie in uno stile che non è esattamente il suo.

No, non voglio dire che ha uno "stile" diverso o che scrive "male" (ci mancherebbe proprio), ma lui dà il meglio di sè quando scrive di altri mondi, quando fonde il reale con ciò che reale non può essere, quando parla di gatti (if you know what I mean). Quindi Tazaki Tsukuru è un gran bel libro, con personaggi approfonditi, di gran spessore psicologico, una storia interessante e "giusta" in qualche modo. Esattamente come Norwegian Wood.

Solo che.

Solo che, anche in questo caso, non posso fare a meno di pensare che non sia il Vero Murakami. Il Murakami che mi ha fatto emozionare con La fine del mondo e il paese delle meraviglie, che mi ha fatto venire i brividi con 1Q84, che mi ha intrigata con i racconti.
Vero è che il mio primo approccio con questo autore è stato (come per molti) Norwegian Wood, ma non è con lui che me ne sono innamorata. Che sono caduta, come direbbero gli inglesi.
Per quello c'è voluto il secondo, La fine del mondo..., e tutti gli altri a seguire.

Non voglio nemmeno dire che il mio innamoramento ha subito una battuta di arresto il giorno in cui ho finito di leggere Tazaki Tsukuru, ma ecco, diciamo che se gli altri suoi libri mi fanno viaggiare sulle rapide, sia questo che NW mi cullano come un lago tranquillo.
Non ho niente contro i laghi, ma preferisco le rapide.

Ma parliamo del libro.

Tsukuru è un personaggio molto interessante. Lui pensa di essere una persona semplice, degno dell'ammirazione di nessuno, forse anche un po' ignavo. Ma ovviamente non è così, altrimenti di che stiamo a parla'? Mentre Murakami ce lo racconta scopriamo un uomo con profonde ferite, che è riuscito a superare "il mare buio in cui l'avevano gettato", uno che alla fine ce l'ha fatta.

O quasi.

Come sempre il finale è lasciato all'immaginazione del lettore, alla sua predisposizione e ai suoi desideri. Non sappiamo realmente se Tsukuru abbia trovato finalmente un suo equilibro, ma quello che è certo è che alla fine facciamo il tifo per lui e speriamo di sì.

Sara è la donna con cui il protagonista ha una storia. Spesso nei libri di Murakami le donne non sembrano avere un ruolo importante, sempre lasciate un po' ai margini. Eppure è proprio grazie a lei e alle sue (poche) parole che Tsukuru si scuote dal torpore in cui si era costretto a vivere e risolve finalmente le questioni della sua vita lasciate in sospeso. Con due semplici frasi, due brevi apparizioni, riesce a dire esattamente la cosa giusta, quella che serve a lui per prendere una decisione e riprendersi la sua vita. E' un bellissimo personaggio, molto riflessivo, intuitivo e molto indipendente.

Forse dalle protagoniste femminili dei suoi romanzi e racconti, si può intuire quanto Murakami ammiri le donne, spesso più degli uomini. Sono quasi sempre loro a fornire un dettaglio, a dire una frase, a fare un gesto per sbloccare la situazione, a mettere il protagonista smarrito sulla strada giusta, oppure a perderlo definitivamente. Hanno una forza e una capacità di amare e una empatia fuori dal comune e sono sempre fondamentali per l'uomo.

Il passo che ho preferito del libro è una specie di intermezzo che non c'entra quasi nulla con la storia principale (almeno apparentemente).
Ad un certo punto Tsukuru frequenta un ragazzo della sua università, diventano amici e confidenti. Lui si chiama Haida. Haida gli racconta una storia che a sua volta gli è stata raccontata dal padre. Ecco, quella storia è piena zeppa di Murakami. Una storia sospesa in un posto che è reale eppure non lo è. Una storia a metà strada.
Mi sono commossa, quando l'ho letta, perché non me l'aspettavo e mi sono rassicurata (in qualche modo) che il sensei che tanto amo era ancora lì.

Perché leggere questo romanzo?

Ognuno di noi a un certo punto della propria vita si è trovato a un punto di svolta, in un momento critico, esattamente come succede al protagonista. Quando sembra che non ci possa essere via d'uscita.
Questo libro ci sussurra che l'aiuto di cui abbiamo bisogno viene da direzioni diverse: da chi non ce l'aspettiamo e da noi stessi.

Anarchic Rain