giovedì 20 febbraio 2020

Riflessioni e vita in un Paese perduto: una tetralogia

TITOLO: L'amica geniale - Tetralogia
AUTORE: Elena Ferrante
EDIZIONE: Edizioni E/O
PAGINE: 1647
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6



Dentro non c'è un granché, Elena. Sotto amoretti e smanie di ascesa sociale nascondi proprio ciò che varrebbe la pena di raccontare.

Mi sembra un buon punto di partenza per parlare di questa tetralogia, che in realtà è un libro unico diviso in quattro parti, che racconta la vita di due bambine-ragazze-donne.
Questi libri hanno avuto un successo planetario, tanto più che non in Italia ma in America è stata decisa la sua serializzazione in varie miniserie (probabilmente tante quanti sono i volumi) e nientepopodimenochè prodotte dalla HBO, grandissima casa di produzione delle cause perse (vedi Sex&theCity agli albori della prima stagione, quando nessuno voleva produrlo e poi si è rivelato il successo che è), ma io non capisco appieno il motivo.

O meglio, adesso non voglio fare il bastian contrario a tutti i costi, ma diciamo che ci sono molti altri libri che avrebbero meritato quanto questo e sono stati bellamente ignorati.
E allora, perché proprio questo?
Vorrei dire la mia.
Molto ha fatto l'anonimato dell'autore/autrice: chi è Elena Ferrante? Un grande BO. Nessuno tranne la casa editrice sa chi sia, se sia maschio o femmina, se sia qualcuno già famoso per altre cose o una sconosciuta. Ovviamente le ipotesi si sprecano. Ecco, questo è un giochino che attira, che incuriosisce, che fa vendere se vogliamo. Ovviamente non c'è solo questo: la Ferrante, chiunque sia, sa scrivere, non c'è dubbio al riguardo. Ho letto la tetralogia (che comunque consta di volumi corposi) in due settimane nette, è un piacere leggere un bell'italiano e non è più così scontato.
Ma al di là della correttezza sintattica ci ho trovato molto poco, come riassume bene la citazione più su.
Ci sono tantissimi spunti sia di riflessione che di narrazione, sparsi qua e là...ma nessuno è davvero sviluppato al meglio delle sue potenzialità, è come se ci fosse un freno, una linea al di là della quale l'autore non va.

Il rapporto di Lenù e Lila, per esempio: grandioso. Due persone diverse, due facce di una stessa medaglia che insieme si completano e si alimentano a vicenda, che separate non possono vivere (anche se alla fine lo fanno).

Sono troppo sicura che sai fare meglio, voglio che tu faccia meglio, è la cosa che desidero di più, perché chi sono io se tu non sei brava, chi sono?

Durante questo sfogo, Lila tocca finalmente il tema portante che dà il titolo alla saga: Lenù è la sua amica geniale, lei DEVE essere brava, per se stessa ma soprattutto per Lila, che avrebbe tanto voluto studiare e non ha potuto per via dei suoi genitori, che avrebbe fatto grandi cose se la vita gliel'avesse permesso. Ma è poi così vero? Lila ci viene presentata da Lenù come il vero genio: probabilmente è così ma ha un carattere talmente incostante che dubito che nella vita sarebbe riuscita come Elena ha fatto. Elena, l'eterna seconda, che si nascondeva nella sua ombra, che non osava parlare se non interrogata, che non ha mai pensato fuori dagli schemi.

Ho faticato tanto sui libri, ma li ho subiti, non li ho mai veramente usati, non li ho mai rovesciati contro se stessi. Ecco come si pensa. Ecco come si pensa contro. Io - dopo tanta fatica - non so pensare.

Tutto quello che ha raggiunto ci ha pensato Lila a metterglielo in testa, una pulce nell'orecchio giusto. Ogni input partiva da lei, dalla sua anima cattiva, come si definiva. Senza Lila Elena si sarebbe arresa molto prima e non sarebbe arrivata dove è arrivata. E questo è assolutamente vero. Ma al di là del suo "compito" di fornire lo stimolo necessario a Lenù, la loro amicizia non è sviscerata, non è approfondita, c'è tanto di non detto e mai saputo. Certo, chiaramente il libro è raccontato da Elena in prima persona che quindi non è un narratore onnisciente, ma io credo che così abbia perso qualcosa.
Non a caso il libro più bello della serie è il terzo, Storia di chi fugge e di chi resta. E' un romanzo introspettivo, nonostante succedano anche molte cose, il più duro anche. E' proprio qui che si capisce quanto siano complementari le due donne: per Lila la "smarginatura" come la chiama lei, il lasciarsi andare, non avere più confini netti è un dramma, un male assoluto che va evitato a ogni costo, pena la perdita della ragione; invece Lenù non vede l'ora di perdersi nel mondo, nelle altre persone, nell'aria, perché pensa che ogni cosa intorno a lei aggiunga colore alla sua vita, perdersi in qualcosa o qualcuno non è non ritrovarsi, ma proprio il contrario.

Lasciamo un attimo le due confuse protagoniste e spostiamoci ai luoghi, nota positiva: Pisa, Firenze, ma soprattutto Napoli. Le prime due non pervenute, ma vabbè, ci sta, in fondo sono solo sporadiche apparizioni geografiche come Genova e Milano.
Invece Napoli la fa da padrona, naturalmente, anche se dobbiamo aspettare l'ultimo libro, Storia della bambina perduta, per leggere il bellissimo capitolo 42 che parla della sua storia (è Lila che si è momentaneamente appassionata alla sua città e ce la racconta attraverso Elena in modo vivido e pieno d'amore); il centro, caotico e ricco, è solo un elenco di vie, mentre invece tutta la "poesia" (se vogliamo chiamarla così) è condensata nelle descrizioni del "rione", il luogo che ha visto la nascita di entrambe le donne e della maggior parte dei personaggi del libro. Il rione è descritto molto bene, riusciamo a essere lì presenti, a tastare quasi la sua povertà, la sua turpitudine, probabilmente perché viene descritto soprattutto attraverso i comportamenti delle persone che lo abitano.

Gli altri personaggi potrebbero essere notevoli, ma anche qui è come se l'autore si fosse trattenuto nel crearli e li avesse lasciati come incompleti o appena abbozzati.
Nino Sarratore per esempio, ossia cronaca di un personaggio mancato: poche volte nella mia vita di lettrice ho odiato un personaggio quanto ho odiato lui, un presuntuoso pallone gonfiato pieno solo delle sue speranze infrante e capace solo di mettere le corna (quello spesso e volentieri) alla povera scema che se l'è sposato e usare le altre donne come pioli della sua scala di arrampicamento sociale. Quando Elena ci casca con lui, giuro che avrei voluto prenderla a sberle (Lila c'ha provato, ma l'ha fatto troppo fiaccamente). La scena madre tra Nino e Lenù quando lui tenta di giustificarsi per non aver lasciato la moglie dopo averglielo giurato è davvero tra le cose più disgustose che mi è capitato di leggere. Mi sentivo addosso lo schifo anche se non c'entravo nulla!!
I fratelli Solara che dovrebbero essere i camorristi del rione fanno la figura dei deficienti tre volte su quattro, specie quando Lila ci mette lo zampino. Totalmente irrealistici. Michele leggermente meglio di Marcello quando riesce a "vivere" in qualche modo segreto la sua storia con Alfonso, ma poi alla fine viene risucchiato nel rione, nei traffici del fratello e finisce come finisce. Che pena.
Di Stefano, Pinuccia e compagnia non vale la pena parlare, sono di carta velina.
Enzo sarebbe un bel personaggio, se fosse trattato senza paura di frantumarlo: un ragazzo intelligente, che la vita ha preso spesso e volentieri a schiaffi, che ha il coraggio di studiare quando nessuno l'avrebbe fatto e si risolleva dalla sua condizione originaria. Certamente, anche Lila ha giocato un ruolo importante nella sua vita, indirizzandolo a volte e studiando con lui (non per spirito da crocerossina, ovviamente, ma perché anche lei voleva farlo), ma mi sarebbe piaciuto sapere di più su Enzo "da solo", senza Lila.
Le figlie di Elena sono una peggio dell'altra, non sono riuscita a farmele piacere.
Pietro invece come Enzo aveva ottime potenzialità, subito soffocate anche a causa dell'ingombrante moglie. Ma lui c'ha visto lungo in molte occasioni (parla poco ma quando parla colpisce), solo che Elena è troppo assorbita in se stessa (o in Lila) per accorgersene. Probabilmente non avrebbero dovuto sposarsi ma avrebbero potuto trarre molti benefici dall'essere amici.
La madre di Elena purtroppo l'abbiamo scoperta troppo tardi (sempre per colpa della figlia), io l'ho rivalutata molto, all'inizio ero stata tratta in errore dalle emozioni di Elena stessa, che ovviamente è la voce narrante e tutto è filtrato attraverso di lei.

Ultimo ma non ultimo, quello che mi ha disturbato molto è stata l'ambientazione temporale: mi è sembrato una specie di plagio intellettuale dei Promessi sposi, cioè io ti racconto il mio tempo pur raccontandoti il 1600. Ecco, qui siamo in Italia tra gli anni '50 e oggi e onestamente sono stufa di sentir parlare di quel periodo storico: e gli anni di piombo e le università occupate e i nuovi fasci e i socialisti e i comunisti che mangiano bambini e mettono bombe e Aldo Moro e i sequestri famosi. Va bene, abbiamo capito, hai studiato, ma se non vuoi usare la politica ai fini della trama perché me la dovrei sorbire??? Elena si ritrova femminista poco convinta, comunista poco convinta, anti-socialista convinta ma cosa ha a che fare questo con il libro? Nulla. Marginalia.

In conclusione, cosa mi ha lasciato questa saga? Mah, devo dire non moltissimo, al di là di un fugace senso di rabbia e una pena profonda. Rabbia sia per la storia in sé, inconcludente e soprattutto inconclusa, sia perché l'Italia e gli italiani ne escono malissimo, stereotipi meschini che ci sono in qualunque film americano di bassa lega: mafia, popolino, terrorismo anni '60 e stop. Questo vogliamo essere nella letteratura del nuovo Millennio? Uno stereotipo? Vabbè.
Chi è secondo me Elena Ferrante? Anche qui, poco mi importa di chi, quanto di che genere. Io penso che sia una saga scritta a quattro mani, da un uomo e una donna: non posso assolutamente credere che sia stato un solo genere a scrivere certe frasi e descrivere certe situazioni. Non ne faccio una questione di capacità, ma di sensibilità. Sia maschile che femminile.
La consiglio? Ni. Se siete curiosi leggetela, almeno è scritta bene e vi porterà via poco tempo. Se siete in dubbio non sarò certo io a persuadervi.

Anarchic Rain