martedì 31 agosto 2021

Ogni tanto due chiacchiere, ma sempre sui libri

 Bentrovati a tutt* quell* che ancora mi seguono, anche se suppongo non siano poi così tant*! Siamo sempre stati poch*, ma visto che ho un po' abbandonato il blog per tantissimi motivi (primo tra tutti, il lavoro) credo siamo ancora meno di prima 😅

Userò questo nuovo post per aggiornarvi sui libri che ho letto e sulle avventure (sempre librose) che ho in corso.

E' stato un anno abbastanza proficuo, perché nonostante il lavoro sono riuscita a leggere molto e molto differenziato! Dal Giappone all'Italia, all'America (nord e sud), alla Russia. E ancora non ho finito, anzi!

Per prima cosa vorrei raccontarvi dei gruppi di lettura a cui sto partecipando (e di cui sono a dir poco entusiasta!): 

- primo tra tutti, il #GenjiBookclub di Dafne (se amate il Giappone seguitela sui social, è fantastica!): in pratica leggiamo un capitolo a settimana del romanzo più famoso (e antico) del Giappone, il Genji Monogatari (La storia di Genji) e lo commentiamo su discord, poi il sabato Dafne fa una live sul suo canale youtube (mai una soya) in cui riassume il capitolo e risponde alle nostre domande. E' un gruppo molto interattivo e assolutamente non noioso, nonostante le 1300 pagine del tomo! Io lo sto amando, abbiamo superato ampiamente la metà e lo finiremo entro fine anno. Non mi è mai capitato di essere così tanto coinvolta in un gruppo di lettura;

- Filomatheis Alexandrou, ossia il gruppo nato su instagram e continuato su telegram, in cui leggiamo libri su Alessandro Magno, che siano fiction o saggi biografici; grazie a questo gruppo, sto smaltendo i libri accumulati sullo scaffale Alessandro;

- Racconto è bello, un gruppo telegram in cui ogni mese si legge un libro di racconti, di solito snobbati in favore dei romanzi! Ho scoperto in questo modo un autore di cui poi ho recuperato anche i romanzi, Maugham (sì, lo so, arrivo sempre in ritardo!!);

- l'ultimo ma non ultimo, anche se non si può chiamare propriamente book club, essendo composto solo da me (!), è quello su Dostoevskij: sto leggendo in ordine cronologico tutta la sua opera e le lettere (altro tomone di 1300 pagine pubblicato un annetto fa dal Saggiatore); sto apprezzando tantissimo ogni sfumatura dello zio Fedor, lo amavo prima ma ora lo sto vivendo in maniera diversa.

Su ognuno di questi gruppi, farò dei post a parte, perché ognuno lo merita! Per adesso mi limiterò a fare una carrellata veloce sui titoli che ho letto finora, sperando di incuriosirvi almeno con qualcuno di questi:

Haruki Murakami: Abbandonare un gatto, un brevissimo racconto autobiografico sulla figura paterna;

Andrea Kerbaker: Lo scaffale infinito, bellissimo saggio sui VERI collezionisti di libri;

Pier Vittorio Tondelli: Camere separate, che racconta la storia di un uomo gay negli anni '80, struggente, amaro, ma bellissimo;

William Somerset Maugham: Storie ciniche, racconti per palati sarcastici, assolutamente imperdibili;

Queen-Opera Omnia: la storia delle canzoni dei Queen, stupendo, ogni amante dei Queen dovrebbe leggerlo;

Flannery O'Connor: Il cielo è dei violenti, ossia il volto oscuro di dio, molto bello;

Qui giace un poeta: sessanta racconti di scrittori che visitano le tombe di scrittori famosi;

Zadie Smith: Questa strana e incontenibile stagione, brevissimi saggi sul 2020;

Samuel Fisher: Il camaleonte, un libro scritto da un libro! Divertente e dolce, leggetelo!

Katharina Volckmer: Un cazzo ebreo, un libro che è strepitoso e che va letto assolutamente, rimarrete estasiati, a bocca aperta, con le lacrime agli occhi.

Giancarlo Pastore: Un giorno uno di noi, altro libro a tema lgbtq+, che a me non ha preso, scritto bene ma niente di più;

David Graeber: L'utopia pirata di Libertalia, ossia un altro titolo di Eleuthera, che è diventata una delle mie CE preferite! Ci sono tantissimi saggi su anarchia, clima, acqua, sociologia, storia...qualcosa che vi interessa lo trovate per forza!

Chiara Deiana: La stagione più crudele, primo romanzo di formazione letto nel 2021, è l'esordio di una scrittrice che secondo me ha un sacco da dire e sa pure come farlo, quindi leggetelo!

Stefan Zweig: L'obbligo, ossia non potevo lasciar correre un anno senza Zweig, non scherziamo. La mia copertina di Linus per i tempi bui; anche con questo racconto mi ha preso al cuore;

Rossana Soldano: Come anima mai, un romanzo abbastanza lungo e scorrevole, una storia d'amore tormentata tra due ragazzi in clima seconda guerra mondiale, molto toccante;

Marghanita Laski: Sulla chaise-longue, un breve racconto gotico di possessione, coinvolgente, scorrevole, una lettura ultra piacevole;

Morten Brask: La vita perfetta di William Sidis, uno dei libri migliori del 2021, sul podio, di certo; l'ho divorato, mi ha fatto piangere, ridere, incazzare, leggetelo senza se e senza ma!

Stephen King: di King e su King ho letto tre saggi, ossia Guns, un suo saggio sul problema (gravissimo) delle armi in USA, Dentro al nero che sono tredici letture di IT da parte di altrettanti scrittori italiani, Negli States con SK un bellissimo e troppo breve saggio di Orazio Labbate che fa un po' un excursus dei libri più famosi del Re;

Jan Brokken: Nella casa del pianista, ecco se esistesse un premio per il libro più struggente del 2021 lo vincerebbe lui a mani basse; leggete questa meraviglia, è bellissimo;

Libri, istruzioni per l'uso: un saggio sui libri perch,é sì, ok, noi li leggiamo, ma sappiamo veramente come sono fatti?!

Philip Roth: Il professore di desiderio, eccomi qua al mio esordio con Roth...non mi ha convinta particolarmente, ma non demordo, è chiaro che devo leggere altro per capirlo meglio;

Shahram Khosravi: Io sono confine, un saggio di nuovo targato Eleuthera sulla migrazione, visto con gli occhi di un migrante, che dall'Iran fugge in Svezia e diventa professore universitario di antropologia, da leggere e far leggere;

Colin Ward: L'anarchia, un approccio essenziale, idem come sopra, il titolo è auto-esplicativo, se siete interessati/incuriositi leggetelo, ha una bibliografia di tutto rispetto;

Tiffany McDaniel: L'estate che sciolse ogni cosa, ossia il caso editoriale dell'anno (quasi), a me non ha convinto fino in fondo...troppa carne al fuoco, poca gestione dei personaggi e della storia, descrizioni troppo lunghe e ripetitive; ma la storia cattura eccome, quasi 400 pagine che se ne sono andate in 2 giorni, scorre e bene, ma speravo in qualcosa di più;

Anja Trevisan: Ada brucia, porca miseriaccia che libro! Una storia atroce ma raccontata benissimo, non so come fare a consigliarlo, ma non so come fare a NON consigliarlo!

Maurizio Fiorino: Macello, ossia ahio che dolore queste poche pagine; una storia nuda e cruda, che puzza e fa malissimo, ma da leggere assolutamente.


Ecco qua, carrellata finita!! Di Dostoevskij parlerò quando finirò di (ri)leggerlo, idem di Genji e Alessandro.

Spero non vi siate annoiati troppo, prometto di tornare a fare post singoli più dinamici!

Anarchic Rain

giovedì 4 marzo 2021

Quando l'unica cosa di cui essere grati è essere riuscita a finire il libro...

TITOLO: Grazie per il fuoco 
AUTORE: Mario Benedetti 
EDIZIONE: La Nuova Frontiera 
PAGINE: 263 
VERSIONE LETTA: cartacea 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 5--
Premessa doverosa: a me gli scrittori sudamericani non piacciono e questa è una verità che devo per forza, universalmente, riconoscere. Saranno bravi, saranno geni, ma per me sono noiosi da morire e quello che devono dire lo dicono anche altri e pure meglio.

Detto questo, non sia mai che non ci provi almeno una volta. O anche più di una. Perché io c'ho provato, e manco poco: ho tentato innumerevoli volte di leggere Marquez e la Allende, per esempio, partendo dai loro capolavori riconosciuti, passando per quasi tutti gli altri loro libri...ebbene, non ne ho concluso uno, perché santocielo che pa**e! Però io sono cocciuta, non demordo e, ascoltando il consiglio del mio libraio preferito, ho comprato questo libro. E l'ho letto. Dalla prima all'ultima pagina.
Mi ci sono impegnata tantissimo e sono giunta a questa conclusione: gli scrittori sudamericani non fanno per me. Ora veniamo al romanzo. Ci sono punti positivi, punti molto positivi e molti, troppi punti negativi.

La storia: positivo. Un uomo medio, Ramon, è succube (lui e l'intera nazione, a quanto pare) di un padre despota, fascista e insensibile. Mettiti in fila, caro. Ma è comunque una storia universale. Per liberarsi dal suo giogo, decide (o almeno sembra decidere) di ucciderlo. Ovviamente nel mezzo c'è tutta una vita (o molte vite), tra flashback, sogni e speranze (tutte infrante).

La scrittura: molto positivo. Se sono riuscita ad arrivare alla fine è perché la scrittura comunque prende, è scorrevole ma non semplice, ci sono periodi complessi e quasi stream of consciousness, ma sempre comprensibili e mai troppo surreali. Alcune descrizioni sono davvero toccanti e i dialoghi tra Ramon ed Edmundo (suo padre) così realistici e ben costruiti che li ho riletti parecchie volte, solo per apprezzarli nella loro vera interezza.

Poi, ahi ahi, arriviamo alle note dolenti: i personaggi femminili. Non pervenuti. E' vero che noi leggiamo la storia dal punto di vista di Ramon (tranne l'ultimo capitolo e uno nel mezzo), ma possibile che la moglie sia capace solo di prendere corna e la moglie del fratello di trovare Ramon irresistibile?! Ma dove?! Il discorso che le fa lui per convincerla ad andare a letto insieme è ridicolo (come poi ci riesca davvero rimane un mistero della fede, io fossi stata in Dolores l'avrei mandato all'inferno in tre nanosecondi). Capisco che è un libro ambientato nei primi anni '60 e scritto nel 1965, ma mi disturba parecchio la visione del femminile che ne fa Benedetti (pur attraverso un pusillanime come Ramon). 

Tralasciando le donne, veniamo alla trama: forse sto per dire l'eresia delle eresie, ma a me sto libro ha ricordato troppo Rebecca di Daphne Du Maurier. Ramon vuole ammazzare il padre perché questi l'ha messo di fronte a se stesso e ai suoi difetti, alle sue ipocrisie. Non difetti ed ipocrisie gravi, ovviamente, ma quando qualcuno punta il dito su quel particolare che ci dà più fastidio, tutto si ingigantisce. Ebbene, Ramon non sopporta di essere deriso dal padre e, incapace di difendersi a parole o semplicemente di distaccarsi mentalmente da questa figura ingombrante, decide non solo di ucciderlo, ma addirittura di farlo in nome di suo figlio se non del suo Paese. Sì, vabbè, è arrivato mister De Winter dei poveri. L'onore di Manderley non può essere infangato da una donna di facili costumi, nè da un divorzio, meglio un uxoricidio impunito. Riecco che mi sale il crimine.

Le uniche cose sensate del romanzo, paradossalmente, le dice proprio il mostro da uccidere, Edmundo. Quando dice al nipote che è abbastanza ridicolo con le sue idee rivoluzionarie perché "voi credete che la rivoluzione sia andare in giro senza cravatta": frase di un'attualità assurda, in un mondo in cui tutti cercano di essere diversi senza capire che anche questa è omologazione. Oppure quando si confessa a Gloria, dicendo "da ragazzo pensavo di voler sapere dove si trovava il fondo di questo paese, perché solo sapendo dove c'è il fondo vero ci si può appoggiare": ma il fondo non esiste perché troppo forte è l'avidità umana (che lui ovviamente ha continuato a sfruttare e continuerà forse negli anni a venire).

La disanima che fa del figlio è impietosa eppure è l'unico ad averci visto giusto su di lui. Indovina persino l'idea di assassinarlo e anche che non la metterà in pratica, nonostante quasi ci speri. Perché? Perché Ramon secondo lui è una grande occasione mancata, una persona intelligente che non ha sfruttato le sue doti. Ramon stesso non è poi così diverso da suo padre quanto crede. Ama il denaro quanto lui, l'unica differenza è che lui non si vuole "trasformare in un latifondista o speculare in Borsa". Ah beh, allora.
Purtroppo anche Edmundo scade nel patetismo alla fine, dicendo che il Paese va in malora perché nessuno tira fuori le pa**e per ucciderlo, che persino suo figlio ha preferito suicidarsi per non macchiarsi di parricidio e affrontarne le conseguenze: "se muoio tranquillamente [...] vorrà dire che questo paese è fregato". Se lo dici tu.
A me questi personaggi sbruffoni, che si arrogano il diritto di fare il bello e il cattivo tempo e che pensano di essere il bandolo della matassa delle vite di tutti, mi stanno proprio sul groppone, mi piacerebbe dargli una scrollata e dirgli di ridimensionare il loro ego spropositato.
Ho letto la postfazione e ho capito cosa a grandi linee voleva fare Benedetti con questo romanzo, ma onestamente il risultato non mi è piaciuto, soprattutto ho detestato ogni singolo personaggio, forse Gloria un po' di meno degli altri, ma nemmeno troppo. Il titolo poi mi sembra una presa in giro (forse voleva davvero esserlo), perché di fuoco c'è poco o niente, al massimo un po' di cenere bagnata dalla pioggia. Tanto fumo, quello sì, ma niente arrosto. Quindi per me è no, grazie di nulla.

Anarchic Rain

mercoledì 4 marzo 2020

I cinque sensi come non li abbiamo mai sperimentati: parte I

TITOLO: L'annusatrice di libri e La ragazza con la macchina da scrivere
AUTORE: Desy Icardi
EDIZIONE: Fazi Editore
PAGINE: 773
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7 e 8, rispettivamente

I libri si leggono, ma i classici si rileggono.


  

Come tutti voi che mi seguite sapete bene, sono tra quelle persone che si possono definire lettori forti. Per intenderci, nella mia Challenge annuale su Goodreads il mio obiettivo di 30 libri l'ho sempre raggiunto e superato.
E a noi lettori forti piacciono molte cose: storie belle, storie scritte bene, storie con particolari punti di vista, storie che guardano cose ordinarie con occhio straordinario. Ma, soprattutto, a noi piacciono i libri. Proprio come oggetto da venerare. E un libro che parla di libri è una doppia gioia per noi.

I primi due libri di quella che probabilmente sarà una pentalogia rientrano in quest'ultima categoria.
Attraverso le storie di due protagoniste fantastiche (molto diverse, ma straordinarie ognuna a modo proprio), l'autrice ci fa (ri)scoprire l'amore per i libri, semplicemente.

Adelina e Dalia non potrebbero essere più diverse (e lontane temporalmente parlando): la prima è un'adolescente molto timida che abita con sua zia per frequentare il liceo in città, la seconda una simpatica ottantenne con un passato da dattilografa che si occupa di anticaglie; entrambe però hanno un dono: Adelina legge con l'olfatto e Dalia ricorda con le mani.
Entrambe vivono a Torino, che ci viene descritta così come doveva essere negli anni '60 e nei primi anni '40 sotto i bombardamenti inglesi.
Entrambi i libri raccontano due storie, a capitoli alterni: Adelina divide la scena con sua zia Amalia (per quanto più prosaica, anche la sua storia é interessante) e la Dalia ottantenne con una se stessa diciassettenne (separate da un piccolo incidente). Di queste doppie narrazioni, ho preferito sia dal punto di vista della storia in sé che da quello stilistico la seconda, per un motivo preciso: i capitoli della vecchietta ottantenne sono scritti in seconda persona! Non ricordo di aver mai letto un libro con questo stratagemma, ma mi è piaciuto tantissimo, tanto che spero l'autrice lo riutilizzi in futuro.

I due romanzi hanno alcuni personaggi in comune, essendo ambientati nella stessa città, ma coprendo un arco temporale abbastanza ampio li ritroviamo giovani in uno e vecchi nell'altro. Per esempio, Amalia, la zia di Adelina, per un certo periodo negli anni '40 si era avvalsa di una dattilografa per la sua corrispondenza; nel secondo libro scopriamo che essa era proprio Dalia, presentatale da quell'avvocato Ferro che in entrambi i romanzi gioca un ruolo di primo piano per le protagoniste.
Ecco, Ferro è praticamente me stessa (tranne per il fatto che non ha una sua famiglia): vive in mezzo ai libri, vive PER i libri e in ogni attimo in cui se ne allontana prova rimorso di stare sprecando tempo prezioso.

L'avvocato Ferro non calcolava il tempo in ore, giorni o settimane, bensì in libri letti. 

Soprattutto sa consigliarli: il libro giusto al momento giusto, perché non c'è niente di peggio che un libro anche bello ma letto nel momento sbagliato, niente che possa distruggere la vita di una persona in maniera più definitiva.

Il linguaggio dell'autrice è molto semplice, lineare, però d'effetto, capace di farti bere le pagine in un lungo e dissetante sorso. Non sono riuscita a metterli giù, nonostante non ci siano grandi (o piccoli) colpi di scena. Presumo siano proprio le protagoniste a renderti curioso, a farti sperare in qualcosa che poi finalmente accade. E poche cose sono tanto soddisfacenti dopo una lettura bella e avvincente.
Sono bellissime le descrizioni (mai lunghe o fuori luogo) di Torino, sia nel suo momento migliore che sotto i bombardamenti (il particolare dell'intonaco che si deposita su persone e oggetti mentre l'edificio viene scosso da un terremoto che terremoto non è, è particolarmente agghiacciante.

Ci sono circostanze nelle quali non sentirsi soli è praticamente impossibile: quando si è adolescenti, quando si è lontani da casa o quando si è diversi da tutti gli altri.

Questa è Adelina, in breve.

Di Dalia non abbiamo una così esaustiva frase riassuntiva, ma l'incipit è piuttosto anticipatore, oltre a essere la citazione per eccellenza:

È una verità universalmente riconosciuta che una donna in possesso di una lunga storia abbia bisogno di una memoria adeguata.

Lasciatevi catturare da queste due donne e dallo stile con cui le loro storie sono raccontate. Passare una giornata in loro compagnia non può farvi male, di certo vi farà meglio di quanto pensiate.

Anarchic Rain

giovedì 20 febbraio 2020

Riflessioni e vita in un Paese perduto: una tetralogia

TITOLO: L'amica geniale - Tetralogia
AUTORE: Elena Ferrante
EDIZIONE: Edizioni E/O
PAGINE: 1647
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6



Dentro non c'è un granché, Elena. Sotto amoretti e smanie di ascesa sociale nascondi proprio ciò che varrebbe la pena di raccontare.

Mi sembra un buon punto di partenza per parlare di questa tetralogia, che in realtà è un libro unico diviso in quattro parti, che racconta la vita di due bambine-ragazze-donne.
Questi libri hanno avuto un successo planetario, tanto più che non in Italia ma in America è stata decisa la sua serializzazione in varie miniserie (probabilmente tante quanti sono i volumi) e nientepopodimenochè prodotte dalla HBO, grandissima casa di produzione delle cause perse (vedi Sex&theCity agli albori della prima stagione, quando nessuno voleva produrlo e poi si è rivelato il successo che è), ma io non capisco appieno il motivo.

O meglio, adesso non voglio fare il bastian contrario a tutti i costi, ma diciamo che ci sono molti altri libri che avrebbero meritato quanto questo e sono stati bellamente ignorati.
E allora, perché proprio questo?
Vorrei dire la mia.
Molto ha fatto l'anonimato dell'autore/autrice: chi è Elena Ferrante? Un grande BO. Nessuno tranne la casa editrice sa chi sia, se sia maschio o femmina, se sia qualcuno già famoso per altre cose o una sconosciuta. Ovviamente le ipotesi si sprecano. Ecco, questo è un giochino che attira, che incuriosisce, che fa vendere se vogliamo. Ovviamente non c'è solo questo: la Ferrante, chiunque sia, sa scrivere, non c'è dubbio al riguardo. Ho letto la tetralogia (che comunque consta di volumi corposi) in due settimane nette, è un piacere leggere un bell'italiano e non è più così scontato.
Ma al di là della correttezza sintattica ci ho trovato molto poco, come riassume bene la citazione più su.
Ci sono tantissimi spunti sia di riflessione che di narrazione, sparsi qua e là...ma nessuno è davvero sviluppato al meglio delle sue potenzialità, è come se ci fosse un freno, una linea al di là della quale l'autore non va.

Il rapporto di Lenù e Lila, per esempio: grandioso. Due persone diverse, due facce di una stessa medaglia che insieme si completano e si alimentano a vicenda, che separate non possono vivere (anche se alla fine lo fanno).

Sono troppo sicura che sai fare meglio, voglio che tu faccia meglio, è la cosa che desidero di più, perché chi sono io se tu non sei brava, chi sono?

Durante questo sfogo, Lila tocca finalmente il tema portante che dà il titolo alla saga: Lenù è la sua amica geniale, lei DEVE essere brava, per se stessa ma soprattutto per Lila, che avrebbe tanto voluto studiare e non ha potuto per via dei suoi genitori, che avrebbe fatto grandi cose se la vita gliel'avesse permesso. Ma è poi così vero? Lila ci viene presentata da Lenù come il vero genio: probabilmente è così ma ha un carattere talmente incostante che dubito che nella vita sarebbe riuscita come Elena ha fatto. Elena, l'eterna seconda, che si nascondeva nella sua ombra, che non osava parlare se non interrogata, che non ha mai pensato fuori dagli schemi.

Ho faticato tanto sui libri, ma li ho subiti, non li ho mai veramente usati, non li ho mai rovesciati contro se stessi. Ecco come si pensa. Ecco come si pensa contro. Io - dopo tanta fatica - non so pensare.

Tutto quello che ha raggiunto ci ha pensato Lila a metterglielo in testa, una pulce nell'orecchio giusto. Ogni input partiva da lei, dalla sua anima cattiva, come si definiva. Senza Lila Elena si sarebbe arresa molto prima e non sarebbe arrivata dove è arrivata. E questo è assolutamente vero. Ma al di là del suo "compito" di fornire lo stimolo necessario a Lenù, la loro amicizia non è sviscerata, non è approfondita, c'è tanto di non detto e mai saputo. Certo, chiaramente il libro è raccontato da Elena in prima persona che quindi non è un narratore onnisciente, ma io credo che così abbia perso qualcosa.
Non a caso il libro più bello della serie è il terzo, Storia di chi fugge e di chi resta. E' un romanzo introspettivo, nonostante succedano anche molte cose, il più duro anche. E' proprio qui che si capisce quanto siano complementari le due donne: per Lila la "smarginatura" come la chiama lei, il lasciarsi andare, non avere più confini netti è un dramma, un male assoluto che va evitato a ogni costo, pena la perdita della ragione; invece Lenù non vede l'ora di perdersi nel mondo, nelle altre persone, nell'aria, perché pensa che ogni cosa intorno a lei aggiunga colore alla sua vita, perdersi in qualcosa o qualcuno non è non ritrovarsi, ma proprio il contrario.

Lasciamo un attimo le due confuse protagoniste e spostiamoci ai luoghi, nota positiva: Pisa, Firenze, ma soprattutto Napoli. Le prime due non pervenute, ma vabbè, ci sta, in fondo sono solo sporadiche apparizioni geografiche come Genova e Milano.
Invece Napoli la fa da padrona, naturalmente, anche se dobbiamo aspettare l'ultimo libro, Storia della bambina perduta, per leggere il bellissimo capitolo 42 che parla della sua storia (è Lila che si è momentaneamente appassionata alla sua città e ce la racconta attraverso Elena in modo vivido e pieno d'amore); il centro, caotico e ricco, è solo un elenco di vie, mentre invece tutta la "poesia" (se vogliamo chiamarla così) è condensata nelle descrizioni del "rione", il luogo che ha visto la nascita di entrambe le donne e della maggior parte dei personaggi del libro. Il rione è descritto molto bene, riusciamo a essere lì presenti, a tastare quasi la sua povertà, la sua turpitudine, probabilmente perché viene descritto soprattutto attraverso i comportamenti delle persone che lo abitano.

Gli altri personaggi potrebbero essere notevoli, ma anche qui è come se l'autore si fosse trattenuto nel crearli e li avesse lasciati come incompleti o appena abbozzati.
Nino Sarratore per esempio, ossia cronaca di un personaggio mancato: poche volte nella mia vita di lettrice ho odiato un personaggio quanto ho odiato lui, un presuntuoso pallone gonfiato pieno solo delle sue speranze infrante e capace solo di mettere le corna (quello spesso e volentieri) alla povera scema che se l'è sposato e usare le altre donne come pioli della sua scala di arrampicamento sociale. Quando Elena ci casca con lui, giuro che avrei voluto prenderla a sberle (Lila c'ha provato, ma l'ha fatto troppo fiaccamente). La scena madre tra Nino e Lenù quando lui tenta di giustificarsi per non aver lasciato la moglie dopo averglielo giurato è davvero tra le cose più disgustose che mi è capitato di leggere. Mi sentivo addosso lo schifo anche se non c'entravo nulla!!
I fratelli Solara che dovrebbero essere i camorristi del rione fanno la figura dei deficienti tre volte su quattro, specie quando Lila ci mette lo zampino. Totalmente irrealistici. Michele leggermente meglio di Marcello quando riesce a "vivere" in qualche modo segreto la sua storia con Alfonso, ma poi alla fine viene risucchiato nel rione, nei traffici del fratello e finisce come finisce. Che pena.
Di Stefano, Pinuccia e compagnia non vale la pena parlare, sono di carta velina.
Enzo sarebbe un bel personaggio, se fosse trattato senza paura di frantumarlo: un ragazzo intelligente, che la vita ha preso spesso e volentieri a schiaffi, che ha il coraggio di studiare quando nessuno l'avrebbe fatto e si risolleva dalla sua condizione originaria. Certamente, anche Lila ha giocato un ruolo importante nella sua vita, indirizzandolo a volte e studiando con lui (non per spirito da crocerossina, ovviamente, ma perché anche lei voleva farlo), ma mi sarebbe piaciuto sapere di più su Enzo "da solo", senza Lila.
Le figlie di Elena sono una peggio dell'altra, non sono riuscita a farmele piacere.
Pietro invece come Enzo aveva ottime potenzialità, subito soffocate anche a causa dell'ingombrante moglie. Ma lui c'ha visto lungo in molte occasioni (parla poco ma quando parla colpisce), solo che Elena è troppo assorbita in se stessa (o in Lila) per accorgersene. Probabilmente non avrebbero dovuto sposarsi ma avrebbero potuto trarre molti benefici dall'essere amici.
La madre di Elena purtroppo l'abbiamo scoperta troppo tardi (sempre per colpa della figlia), io l'ho rivalutata molto, all'inizio ero stata tratta in errore dalle emozioni di Elena stessa, che ovviamente è la voce narrante e tutto è filtrato attraverso di lei.

Ultimo ma non ultimo, quello che mi ha disturbato molto è stata l'ambientazione temporale: mi è sembrato una specie di plagio intellettuale dei Promessi sposi, cioè io ti racconto il mio tempo pur raccontandoti il 1600. Ecco, qui siamo in Italia tra gli anni '50 e oggi e onestamente sono stufa di sentir parlare di quel periodo storico: e gli anni di piombo e le università occupate e i nuovi fasci e i socialisti e i comunisti che mangiano bambini e mettono bombe e Aldo Moro e i sequestri famosi. Va bene, abbiamo capito, hai studiato, ma se non vuoi usare la politica ai fini della trama perché me la dovrei sorbire??? Elena si ritrova femminista poco convinta, comunista poco convinta, anti-socialista convinta ma cosa ha a che fare questo con il libro? Nulla. Marginalia.

In conclusione, cosa mi ha lasciato questa saga? Mah, devo dire non moltissimo, al di là di un fugace senso di rabbia e una pena profonda. Rabbia sia per la storia in sé, inconcludente e soprattutto inconclusa, sia perché l'Italia e gli italiani ne escono malissimo, stereotipi meschini che ci sono in qualunque film americano di bassa lega: mafia, popolino, terrorismo anni '60 e stop. Questo vogliamo essere nella letteratura del nuovo Millennio? Uno stereotipo? Vabbè.
Chi è secondo me Elena Ferrante? Anche qui, poco mi importa di chi, quanto di che genere. Io penso che sia una saga scritta a quattro mani, da un uomo e una donna: non posso assolutamente credere che sia stato un solo genere a scrivere certe frasi e descrivere certe situazioni. Non ne faccio una questione di capacità, ma di sensibilità. Sia maschile che femminile.
La consiglio? Ni. Se siete curiosi leggetela, almeno è scritta bene e vi porterà via poco tempo. Se siete in dubbio non sarò certo io a persuadervi.

Anarchic Rain

venerdì 31 gennaio 2020

Old Wild West: grumo di sangue su sfondo magnifico

TITOLO: Meridiano di sangue - Blood Meridian or The Evening Redness in the West
AUTORE: Cormac McCarthy
EDIZIONE: Einaudi
PAGINE: 300
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9



Un uomo non riesce a conoscere la propria mente perché la mente è tutto ciò che ha per conoscerla.

Finora, questo è senza dubbio il libro più crudele e visionario di McCarthy. Lungi da me scoraggiare le persone alla lettura, ma non é davvero un libro per tutti. La violenza totalmente gratuita, le descrizioni dettagliate di massacri e mutilazioni, il clima generale di attesa sanguigna, non sono facili da sopportare e digerire. Chi ci riesce viene compensato da passaggi descrittivi di rara bellezza e perfezione (mi é partita la sviolinata, scusate).
Mentre lo leggevo non riuscivo a non pensare alla Trilogia della Frontiera e infatti é stato scritto sette anni prima. Credo sia una sorta di bozza preparatoria.
Comunque magari tutte le bozze fossero di questo calibro!!
Ho scoperto inoltre solo ieri sera, dopo averlo finito, che è basato su un diario reale, My confessions di Samuel Chamberlain.

Il libro si può dividere in due parti: nella prima, che arriva fino a poco più di metà, McCarthy ci fa entrare nel mondo del Vecchio West più attraverso le descrizioni dei paesaggi che per quello che realmente accade ai personaggi. Essi stessi rimangono come sullo sfondo, nonostante la loro scia di violenza ci venga sbattuta in faccia sin dalla seconda pagina.
Il territorio circostante è la cosa più importante, più viva e sicuramente l'unica cosa bella esistente.

Avanzavano, e le stelle si infittivano e tracciavano archi nel firmamento e andavano a morire dietro le montagne nere come l'inchiostro. Finirono per conoscere bene il cielo di notte. Occhi dell'Occidente che scorrevano costruzioni più geometriche dei nomi loro attribuiti dagli antichi.

Oppure:

Il sole nascente sorprese la luna a ovest, cosicché rimasero uno di fronte all'altra ai due capi della terra, il sole di un bianco incandescente e la luna una pallida replica, come le estremità di un unico tubo la cui curva si perdeva nello spazio e i cui sbocchi infiammati bruciavano mondi invisibili.

Potrei davvero continuare per ore solo a citare le meraviglie descrittive di questo libro. Che sotto sotto è un romanzo di formazione, e questo si avverte di più nella seconda parte.
Il protagonista è The Kid, in italiano "il ragazzo", un quattordicenne solo al mondo che si unisce a una banda fuori di testa di "giustizieri", che vanno in giro per il territorio del Texas/New Mexico/California ad ammazzare senza pietà in teoria gli indigeni, in pratica qualsiasi cosa si muova. È così che fa la conoscenza del Giudice Holden, un albino grosso e glabro che sarà una specie di figura paterna ("Io ho parlato nel deserto per te e per te solo"), crudele, sadica e completamente folle.

Qual è il modo giusto per crescere un figlio? 
Quando sono piccoli, disse il giudice, dovrebbero essere gettati in un pozzo con i cani selvaggi. Dovrebbero essere costretti a indovinare da indizi appropriati dietro quale fra tre porte non si nascondano leoni feroci. [...] Se Dio avesse voluto interferire nella degenerazione dell'umanità, non l'avrebbe già fatto? I lupi selezionano i lupi, amico. Quale altra creatura potrebbe farlo? E la razza umana non è ancora più rapace?

Tra i discorsi apparentemente razionali (ma estremamente violenti nel contenuto) del Giudice, la banda va avanti, lasciandosi dietro una scia insensata di violenza e sangue, fino a che si giunge alla resa dei conti.
Il primo climax arriva quando il ragazzo ha la possibilità di uccidere il giudice ma non lo fa, non volendo forse abbassarsi al suo livello.
Ma anche questa sua "non azione" si ripercuoterà sulla sua vita da allora in poi, una vita apparentemente migliore sotto molti punti di vista, ma anche una vita su cui continuerà ad aleggiare un fantasma oscuro.
Che puntualmente si ripresenterà e finirà la sua opera.

L'unica cosa davvero oscura del libro, nel senso di seriamente incomprensibile, è il brevissimo epilogo. Mezza pagina che non si capisce dove voglia andare a parare, non ha né capo né coda. Bella eh, per carità, un'immagine molto metaforica. Ma di cosa non ho proprio idea. E non solo io. Nessuno l'ha capita, e scommetto che il caro Cormac non la voglia spiegare, altrimenti l'avrebbe resa chiara!!

Il romanzo è scritto con il linguaggio duro e senza fronzoli a cui McCarthy ci ha abituati, ma come si capisce dalle citazioni descrittive anche profondamente poetico. Quello che mi stupisce sempre dei suoi libri è il modo in cui fa sembrare facilissimo descrivere una scena sanguinosa e la riga successiva lo spettacolo meraviglioso della natura. Come se le cose degli uomini riuscissero a turbare solo per un attimo la bellezza del paesaggio e questa senza sforzo ricucisse lo strappo il secondo successivo. L'uomo rappresenta l'imperfezione della natura, ma un'imperfezione non duratura: dopo il suo passaggio si ristabilisce l'ordine vero del mondo.

La Trilogia della Frontiera riprende da dove si interrompe Meridiano di Sangue, con due protagonisti adolescenti che crescono man mano, ma che a differenza di The Kid riescono a farlo in maniera decente, in accordo con la natura.

Se posso consigliarvi, leggete prima questo (se ci riuscite) e poi la Trilogia. Vi accorgerete delle differenza sostanziali tra i due e della maturazione diversa e decisiva dei protagonisti.
Spero non vi facciate troppo male.

Anarchic Rain

venerdì 24 gennaio 2020

La perfezione non è di questo mondo, perché l'uomo è un essere imperfetto

TITOLO: I Re della Prateria - Grass Kings
AUTORE: Matt Kindt (testi) e Tyler Jenkins (disegni)
EDIZIONE: OscarVault
PAGINE: 448
VERSIONE LETTA: e-book (anteprima)
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7

*Trasparenza: il libro mi è stato mandato dalla OscarVault in anteprima per una recensione onesta*


I nostri controlli? Quelli che ci permettono di stare al sicuro? Siamo noi. Tutti conoscono tutti. Coltiviamo l'arte di trattarci l'un l'altro da esseri umani.

Se qualcuno vi dicesse che c'è un posto dove non esiste una giurisdizione, dove si può andare e mettersi a lavorare senza più preoccuparsi del mondo esterno, voi che fareste? Lascereste tutto per andare a vedere di cosa si tratta?

Il presupposto di questo graphic novel è l'esistenza di un "regno" in cui uomini e donne vivono lavorando e occupandosi gli uni degli altri, senza ingerenze dai paesi confinanti.
Un posto che apparentemente è un Eden, perduto e ritrovato, dove da secoli la gente va a vivere per essere lasciata in pace.
Ma cosa succede se in un posto magico come questo, apparentemente perfetto, si nasconde un serial killer? Fino a che punto si è disposti ad arrivare pur di salvare tutti gli altri?



A grandissime linee la storia è questa, un giallo alla Agatha Christie, all'inizio in bilico tra "Assassinio sull'Orient Express" dove tutti sono colpevoli e "L'assassinio di Roger Ackroyd" dove lo è il meno probabile.

Ma basta parlare della trama, altrimenti va a finire che il mio viziaccio orrendo di spoilerare tutto mi frega anche stavolta!

Il volume è totalmente a colori, che sono tra le cose che mi sono piaciute di più: acquarellati, definiscono il tratto del disegno che a volte è solo appena appena accennato e danno vita alla vignetta. Ovviamente, ci sono tutti i toni del verde e del blu, erba e cielo, e rosso, come i tramonti che si godono in un posto a inquinamento molto basso.
I disegni sono molto particolari, sono imprecisi e questo dà sempre l'idea di stare per cadere da quel filo del rasoio su cui tutti sembrano muoversi.


Mi consigliava i libri e io li leggevo tutti. Ogni volta che giravo una pagina, ero più vicino a lei.  

I personaggi sono tutti al limite: il confine tra "bene" e "male" così come lo intendiamo noi è molto più labile di quello che si pensa, a volte non esiste nemmeno più: il dolore di un padre che ha perso sua figlia o di un uomo che ha perduto la donna amata, pur se non può giustificare proprio tutto, comunque è un'attenuante per determinati comportamenti. Specie se ci si aggiunge il rimorso e il senso di colpa. Ecco, è proprio il senso di colpa la chiave di lettura di alcuni di loro.

Il dolore e la morte di una vittima durano pochi istanti. Ma la sofferenza di chi resta può durare anni, generazioni. E io l'avrei descritta tutta. Chi altri poteva...essere tanto vicino alle vittime e al delitto?

Chi non si redime, qui, sono quelli considerati "normali", quelli che vivono nel mondo come noi lo conosciamo. La loro ignoranza e la loro "bassezza" sono imperdonabili.
Così come imperdonabile è l'assassino, e come in ogni giallo che si rispetti è solo alla fine che scopriremo la sua identità. Credo che la maggior parte di voi sarà soddisfatta quanto me della punizione che subirà, ma di nuovo devo cucirmi la bocca per non spoilerare!!

Il bello delle macchine? Loro le posso capire. Posso imparare dove mettere un pezzo per farle funzionare. Le persone? Tutta un'altra cosa. Sono incomprensibili. Ho rinunciato a capirle tanto tempo fa.

Mi piace molto il fatto che si parta dal tema "giallo" (chi è l'assassino?) ma che poi lo si metta da parte (come ormai sanno anche i muri, a me i gialli non piacciono affatto) per andare oltre, scavare in profondità nella vita delle persone, portare alla luce la loro parte più putrida e arrivare così a una specie di catarsi, di salvazione. Almeno, quasi per tutti. Per i cuori corrotti non c'è redenzione, non qui e non ora. E io sono perfettamente d'accordo con gli autori.


Cos'è che non mi è piaciuto del libro? Ho trovato la trattazione di alcune storyline troppo superficiale, più adatte probabilmente a un romanzo "scritto" più che disegnato. Come se mancassero dei pezzi a quello che l'autore vuole davvero dirci.

Leggere o non leggere questo romanzo a fumetti? Sicuramente sì se vi piace il genere giallo e se vi piacciono i graphic novel, ma poiché l'ho trovato a tratti poetico e struggente lo suggerisco anche a chi il genere non lo mastica molto (come me).

Anarchic Rain

martedì 21 gennaio 2020

Libri e settima arte. Parte IV: Little Women

Benvenuti lettori, al quarto appuntamento con i libri al cinema! Oggi parliamo di un classico amatissimo, un libro che non ha bisogno di presentazioni e che pur scritto più di un secolo fa ancora ha tantissimo da dire!
Del libro ho già parlato tanto tempo fa qui, adesso mi focalizzerò sul film.



Immagine presa dal sito Be the movie, see the movie

Nemmeno un mese dall'uscita italiana dell'ultimo film ispirato a Little Women - Piccole Donne, il capolavoro di Louisa May Alcott, e già sono fiumi di critiche (fortunatamente non tutte negative).
Io ho visto il film due settimane fa e, onestamente, l'ho trovato il miglior adattamento tra quelli visti finora (mi manca quello recente della BBC, che recupererò al più presto).
Trovo che Greta Gerwig abbia fatto un lavoro stupendo, non soltanto dal punto di vista della sceneggiatura (scritta da lei stessa): il modo in cui il film è girato, la fotografia, la colonna sonora, gli attori scelti, tutto contribuisce a rendere questa nuova pellicola speciale.
Non è fedele? Nello spirito sì, ma non ci possiamo aspettare la completa fedeltà di un film a un libro, proprio per il fatto che sono prodotti diversi. Molte delle descrizioni del libro (vale per questo, ma ovviamente per tutti) non possono essere riprodotte fedelmente nel film, così come i pensieri dei personaggi. Sta ovviamente alla bravura del regista e degli attori sopperire a queste "mancanze" e io credo che Greta e il suo cast ci siano riusciti. 

Prima di vedere nel dettaglio il film, vorrei fare un paio di precisazioni: quando si fa un film da un libro si chiama "adattamento", ossia lo si "adatta" più o meno fedelmente. Ma nella parola adattamento c'è la chiave di lettura del film (scusate il non voluto gioco di parole): se volete il libro, leggetevelo, il film è un'esperienza diversa. Così su due piedi mi viene in mente Shining di Kubrik. Chi ha il coraggio di dire che è un brutto film? Solo King. Perché? Perché secondo lui ha snaturato il libro. Cosa verissima, ma non si può negare che sia un capolavoro oggettivo del cinema. Semplicemente, è basato sul libro, non voleva essergli fedele.
Ci sono altri film che ricalcano il libro in tutto e per tutto e fanno schifo. Sempre parlando di King, mi vengono in mente Le notti di Salem (libro fantastico, uno dei migliori, film meno che mediocre), la miniserie di IT (libro immenso, serie poverissima). Tralasciando King, penso a Orgoglio e pregiudizio (libro stupendo, film tremendo -parlo di quello con la Knightley-) o Jane Eyre (idem, quello con la Wasikovska). Insomma esempi a iosa.

Little women 2019 è un film sicuramente modernizzato rispetto al libro (pubblicato più di un secolo fa, guarda un po') ma che ne conserva i valori e lo spirito. Jo è l'assoluta protagonista, ovviamente, ma Greta ha deciso di dare spazio anche ad Amy, che di solito è il personaggio più "odiato" tra le quattro sorelle, perché viziatella e un po' presuntuosa. Anche io la penso così, ma il film pur mantenendo queste caratteristiche me l'ha fatta vedere in modo diverso, in una luce che mi ha permesso di comprenderla un po' di più. E quando rileggerò il libro (a breve, in lingua originale per la prima volta) terrò presente anche questa chiave di lettura. Meg è la sorella più scialba, secondo me, quella che non è "abbastanza": non abbastanza frivola per le sue amiche, non abbastanza intelligente per essere di supporto vero a Jo, non abbastanza integerrima da essere una moglie ideale (le prime pagine di Good wives o Piccole donne crescono, se ben ricordo, erano sui suoi problemi con John, poi risoltisi). Beth è esattamente la Beth del libro, di salute cagionevole ma con l'animo più incrollabile di tutte. La sua fede la sostiene e le dona una forza che sembra strana associata a lei, così deboluccia e timida vista da fuori. Eppure è quella che si incammina da sola verso la temuta casa dei Lawrence per ringraziare il burbero signore del pianoforte, quella che ha sempre una parola di conforto per le sue sorelle e per gli altri, quella che nonostante non possa fare molto prende e va dai poveri Hummel a portare quel poco che ha. Prendendosi la scarlattina...
Ovviamente il film sviscera il rapporto tra Jo e Laurie, una grandissima storia di amicizia che più in là di quello non può andare. Quando da piccola lessi il libro per la prima volta, mi ricordo benissimo che fui felice che Jo gli rispondesse di no. Trovavo Laurie assolutamente inadatto a lei per la sua pigrizia e poca forza di volontà. Certamente, Jo l'avrebbe aiutato moltissimo, ma lui l'avrebbe uccisa, avrebbe a poco a poco ucciso il suo spirito. Ovviamente non pensavo queste cose così nel dettaglio da piccola, ma ora posso finalmente mettere in parole quella sensazione di inconcludenza che mi ha sempre ispirato lui. Unica nota stonata di un film comunque perfetto è stata il ripensamento di Jo alla fine, quando decide di ricominciare da Laurie, dopo aver visto crollare intorno a lei qualsiasi certezza possa aver avuto. Fortunatamente le sue sorelle la spingono verso Frederich, che invece è assolutamente perfetto per lei. Insieme sapranno fare tantissimo, perché lui è uno che non si limita a osservare la vitalità di Jo e a trarne giovamento: lui vuole migliorarla e insieme migliorarsi. Ah, una fine degna e soddisfacente, non c'è che dire!
Gli attori mi sono piaciuti tutti, primari e comprimari, ma ho trovato Timothée Chalamet leggermente al di sotto delle aspettative. Forse un po' troppo esagerato. O forse è solo perché Laurie mi sta antipatico!!! Non dimenticherò mai una frase del libro che mi ha folgorata (in senso negativo) quando l'ho letta: Laurie parlando con Amy (mi pare, questo dettaglio non lo ricordo bene) dice che lui ha sempre saputo che avrebbe sposato una delle sorelle March. E questo che vuol dire?? Che te ne bastava una, non importa quale?? Oh, quanta leggerezza e immaturità nelle sue parole!! Non a caso, sposa Amy, così infantile lei stessa (nel film un po' meno).

Il film è particolare già dal principio, perché da subito ci mette in chiaro che la timeline non sarà lineare, ma un'alternanza di flashback e flashforward, che non saranno mai fastidiosi, anzi, ci faranno rendere conto ancora di più di quanto tutta la storia sia ben amalgamata tra passato e presente, quanto i personaggi crescano e cambino, pur rimanendo fedeli a se stessi.
Questo è stato il vero colpo di genio della regista. 
Questo e l'aver fatto un film su un libro che evidentemente ha amato molto. E lo dico con una sicurezza assoluta, perché altrimenti non sarebbe riuscita a fare un lavoro del genere. Devi amare davvero quello che fai e l'originale da cui hai tratto ispirazione per ottenere un risultato così bello, vivo, caldo. 

E' un film che ovviamente consiglio a tutti, dopo aver letto il libro (o almeno che vi sia di spinta per leggerlo), scommetto che vi resterà dentro per un bel pezzo. Io sono già pronta a comprare il blu ray appena uscirà!

Anarchic Rain