sabato 23 novembre 2019

72 gradi di separazione

TITOLO: WA - La via giapponese all'armonia
AUTORE: Laura Imai Messina
EDIZIONE: Vallardi
PAGINE: 356
VERSIONE LETTA: cartacea 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9



Per cominciare a parlare di questo libro, bisogna parlare per forza del proprio rapporto con il Giappone, con questo Paese grande (anche se piccolo), affollato (anche se ordinato), misterioso (anche se rivelato). Perché chi legge questo saggio non lo fa a caso, almeno nel 95% dei casi: lo ha comprato di proposito, perché già ha sentito il richiamo del Sol Levante, che sia da anni o da pochi giorni. Fatto sta che se il Giappone chiama, non si può non rispondere. E in questo libro, con queste 72 parole, che sono quante le stagioni giapponesi nell'antico calendario, troviamo non solo l'interpretazione di comportamenti e idee che ci sono lontanissimi, ma anche la possibilità di un viaggio da compiere in noi stessi, verso il cuore di quello che siamo.
Perché dico che non si legge a caso? Perché, se una persona non ha mai provato un interesse specifico per il Giappone e la sua cultura (a ogni livello), non riuscirebbe ad apprezzarlo in pieno, al di là della scrittura molto elegante o di alcune frasi "da citazione".

Io mi reputo un'appassionata di tutto ciò che riguarda il Giappone: dalla cultura pop alla letteratura, dall'architettura alla religione, dalla lingua alla filosofia; anzi, a volte ammetto di andare persino al di là della semplice passione, divento proprio una classica fangirl. Quando ci sono stata la prima volta, dieci anni fa, ero la classica occidentale ignorante, piena di meraviglia e ammirazione sì, ma le esprimevo in maniera completamente errata e persino offensiva. Tornandoci, il mese scorso, l'ho apprezzato di più, perché io stessa ne sapevo di più.
Ma non avevo ancora letto questo libro.
Perché?
Il motivo è il mio difetto spesso emerso dalle pagine del blog, che ancora non ho imparato a correggere: sono una piccola snob. E' dall'anno scorso, anno di uscita del libro, che ci giro intorno quando vado in libreria, lo prendo, osservo la copertina (non l'ho mai aperto) e lo rimetto a posto, rimandando l'acquisto. Perché? Perché non mi fidavo. Ho un problema di fiducia con gli scrittori italiani (chiedo venia per questo).

Ma le cose che ti sono destinate trovano sempre il modo di arrivare a te.

Io e la mia dolce metà andiamo a mangiare spessissimo (almeno una volta a settimana) in un ristorante di cucina giapponese tradizionale; ci piace tantissimo (oltre la cucina in sé) il posto, l'atmosfera che si respira appena si varca la soglia e la gentilezza dei proprietari e dei camerieri (che ormai hanno imparato a conoscerci!!), quel non-so-che di perfettamente giapponese che a noi fa impazzire 💜. Parlando con la proprietaria, ci ha chiesto com'era andato il nostro viaggio in Giappone e, nello specifico, cos'è che ci era piaciuto tanto. La risposta non è facile e infatti ho balbettato qualcosa a proposito dell'atmosfera e del modo di fare delle persone, ma non riuscivo a essere più specifica. Alla fine ho rinunciato e ho detto "Non te lo so spiegare, è una sensazione che non posso dire a parole". Allora lei si è allontanata un momento ed è tornata con questo libro. Me l'ha prestato e finalmente l'ho letto. Ieri siamo tornate al ristorante, mi mancavano ancora una quarantina di pagine alla fine, però le ho detto che mi era piaciuto tantissimo e che gliel'avrei restituito la prossima volta. Era stupita che l'avessi già letto, e in effetti avrei voluto gustarmelo di più anch'io, ma tanto ho già deciso che lo comprerò appena torno in libreria: è il classico libro che una volta finito non vedi l'ora di rileggere.
Con un linguaggio semplice ma elegante, onesto e chiaro, questo saggio ti spiega il Giappone. Le sue contraddizioni, le sue tradizioni, i suoi comportamenti. La sua ideologia.
A partire dal titolo "Wa", quell'armonia che un giapponese considererebbe sacrilego infrangere, quale che ne sia il prezzo. Nonostante venga più volte ripetuto che non bisogna fare confronti con le altre culture, perché non è una gara, non posso fare a meno di pensare a quanto l'occidentale, noi, ne risultiamo distrutti. Il modo di vivere giapponese, la sua filosofia di vita (anche quando non sa di averne una), sono nettamente superiori alla nostra. E non lo dico perché odio il mio Paese o perché voglio fare la filo-nipponica a tutti i costi; chiunque andando in Giappone può constatarlo: se le cose funzionano così bene lì e qui no (questo è innegabile), un motivo dovrà pur esserci. E se fosse tutto racchiuso nel loro comportamento, nella loro gentilezza, nel loro considerarsi prima "tutti" e poi "uno"? Non si tratta di intelligenza, quella non è una loro prerogativa. Ma è una sorta di "spirito civico" che noi non abbiamo, un considerare propria ogni cosa e quindi averne cura. Quando accadono catastrofi naturali come terremoti e tsunami, ci stupiamo sempre dell'efficienza di quel popolo silenzioso. Perché non imparare? Cos'è che ci impedisce di essere come loro? Possibile che siamo così radicati nell'errore che non riusciamo a correggerlo? Evidentemente sì.

Sarebbe bello imparare a guardare il mondo con "positività", capire quali battaglie combattere (pochissime e sempre a poco a poco) e quali no, costruire un rapporto a poco a poco, facendo piccoli ma inesorabili passi verso quella fiducia indistruttibile, curarsi delle cose come ci si cura di sé, liberarsi del superfluo in silenzio ma con gioia, chiedere perdono e dire grazie  sentendoli davvero, imparare la pazienza e rimanere "meravigliati" come bambini.
Leggere questo libro fa riflettere e insegna che non è mai troppo tardi. Ogni giorno, ogni minuto può essere quello buono per cambiare e migliorarsi. E allora perché non subito?

Vorrei che tutti leggessero questo libro, ma vorrei che non lo leggesse nessuno perché ci ho trovato tantissimo di me e delle mie speranze.
Ma i giapponesi insegnano che bisogna condividere, quindi: leggetelo!!

Anarchic Rain

lunedì 4 novembre 2019

Persone, maschere e spaventapasseri. Una storia personale dagli anni '60 ad oggi

TITOLO: In una sola persona
AUTORE: John Irving
EDIZIONE: BUR
PAGINE: 552
VERSIONE LETTA: cartacea 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e 1/2



Ho comprato questo libro a metà dell'estate, ne avevo sentito parlare molto tempo fa e mi incuriosiva il tema. È un libro classificabile come letteratura LGBTI, ma non è un libro per tutti.

A me è piaciuto un sacco, l'ho letto in due giorni, ma ieri sera ho avuto molta difficoltà quando ha iniziato a parlare del decennio 85-95, anzi, quando ha iniziato a fare la telecronaca delle morti per AIDS di quel periodo. Ci vuole coraggio a scrivere di quello. Coraggio e dolcezza, e mi sembra che a Irving non difetti nessuno dei due.

Come dice un personaggio alla fine del libro, in questo libro si parla di gay, lesbiche, bisessuali, trans ed etero come se tutti fossero "normali". E la verità che emerge è che è proprio così.
Se non fosse un libro così crudo, lo consiglierei come lettura di narrativa per le superiori. Ma forse è troppo. O forse mi ricordo delle mie superiori mentre oggi, chissà, è diverso.
Non lo so.
A me sembra che non cambi poi di molto la gente.

Quantomeno oggi se ne parla.

Il linguaggio di Irving è sboccato ma non in modo invadente (tranne quando vuole realmente esserlo) e sono rarissimi i momenti delicati, ma sono lì, come perle in un'ostrica: bisogna essere molto fortunati e saperli cogliere.
L'amore del protagonista per Miss Frost o per Larry, la "strana coppia" formata da Mr Bovary e da suo padre, l'amicizia incredibilmente forte come l'acciaio tra lui e Elaine.

Non mancano i momenti scanzonato, ma sono ancora di meno di quelli dolci e sono concentrati soprattutto nel rapporto di Billy con il nonno e lo zio. Due personaggi, per quanto mi riguarda, grandiosi anche se compaiono come secondari. In effetti è da loro che partono gli stimoli che aiutano Billy a crescere.
Da loro più che dai suoi genitori...il padre desaparecido e la madre con un sacco di turbe non risolte.
Ma il primo grande amore di Billy avrà su di lui un'influenza non solo potentissima, ma anche duratura. Saranno le prime parole che Miss Frost gli rivolge a chiudere (in bellezza e coerenza) il libro.

Non dimentichiamo che tutto il libro è anche una delle più grandi storie d'amore tra un essere umano e la letteratura: mi ha fatto venir voglia di rileggermi tutti i classici che già amo e tutto il teatro di Shakespeare!!

Forse più di tutto mi è piaciuto il senso di completezza che ho provato all'ultima parola, ma in realtà tutta la storia mi ha assolutamente coinvolta, anzi, mi ha avvolta come in una coperta di Linus, i  cui ho potuto essere al sicuro per un po'. E forse un pizzico di quella sicurezza me lo porterò dentro perché ormai è parte di me.

Lo consiglio?
Domanda difficile. Solo se si è pronti a un'immersione totale e a volte dolorosa in un mondo che per molto tempo è stato considerato di serie Z. O non considerato affatto.

Anarchic Rain


venerdì 1 novembre 2019

Ne sentivamo il bisogno? No, non direi proprio, André.

TITOLO: Cercami
AUTORE: André Aciman
EDIZIONE: Guanda
PAGINE: 278
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 2

Penserete che sono una persona crudele. Penserete che stia esagerando. Penserete che non capisco nulla.
Può essere.
Ma vi racconto com'è andata.
Attenzione spoiler su entrambi i libri.

Era una normale giornata lavorativa, quando mi prendo una piccola pausa. Mi metto per inerzia a sbirciare instagram e vedo la notizia: il giorno prima (28/10) è uscito il sequel di Call Me By Your Name, il mio libro del 2018. Un libro che come sapete ho amato, ho letto e riletto, ho visto il film, ho ascoltato l'audiolibro, ho comprato la colonna sonora. Insomma, uno dei miei libri preferiti.
Un libro che, come chi l'ha letto saprà, ha una fine. Una fine che può non piacere a tutti (a me sì), ma una fine. Il racconto dell'estate dei diciassette anni di Elio si conclude con un salto temporale di vent'anni.

Poi, qualche settimana fa, vengo a sapere del sequel. Ho letto la notizia distrattamente, sotto choc. Non avevo capito che era praticamente in stampa. Quindi quando ho letto che era in libreria per poco non ci rimanevo secca. Appena uscita da lavoro, sono andata a "controllare".
Che ne so, magari era uno scherzo ben architettato.
No. Niente scherzi.
L'ho preso, ho guardato la copertina in cerca di un senso di vergogna (che non ho trovato) o di scuse (nemmeno), l'ho girato, ho letto il retro e ho deciso di fare una cosa che non ho mai fatto.
Sono scesa al piano inferiore, dove so che ci sono delle poltrone per i clienti e mentre scendevo ho preso una decisione: se le poltrone fossero state occupate (e di solito lo sono), me ne sarei andata con il libro, altrimenti mi sarei seduta e l'avrei letto.
Delle due, una era libera.
Mi sono seduta.
L'ho letto.
Ho avuto un mancamento quasi fisico.

Allora, piccola premessa: quello che penso di qualsiasi libro (in particolare di quelli che mi piacciono) è che se uno nasce figlio unico, non deve per forza avere un fratellastro dopo anni.
CMBYN è nato più di dieci anni fa e ovviamente era un prodotto finito. Un prodotto stupendo. Solo perché ora c'è stato il boom e tutto lo hanno amato (anche solo grazie al film, nella maggioranza dei casi) non è che devi riesumarlo e cercare di farci altri soldi sopra.
Porcomondo.

Veniamo al libro in sé. E' scritto bene? Certo, ci mancherebbe. La storia è piacevole? A tratti sì. Allora qual è il problema? Il problema è che le riesumazioni non riportano mai in vita l'originale. Quello che voglio dire è che se avesse scritto questo libro con altri nomi, altri luoghi e senza riferimenti al suo altro figlio, nessuno avrebbe potuto dire nulla. Neppure io. Anzi, a lasciare al lettore il compito di sovrapporre le due storie ci avrebbe guadagnato di più. In dignità, se non altro.

Ma, se ancora tutto questo non bastasse, ecco che arrivano le discordanze: quello che viene raccontato in questo sequel si scontra violentemente con l'ultimo capitolo di CMBYN. Ovviamente per esigenze di trama, le cose sono diverse da come ci sono state raccontate.
ALLORA NON LE RI-RACCONTARE!!!
Ok, scusate lo sfogo...mi sono lasciata andare.

Avrebbe dovuto lasciare in pace Elio e Oliver. Loro avevano già avuto tutto quello che potevano avere. Non avrebbero potuto avere un'altra occasione, perché nessuno dei due sarebbe stato in grado di chiederla! Non sarebbe stato coerente con il loro carattere e con la loro storia...che era perfetta così, un primo amore da matti, che rimane addosso una vita, ma che non può essere vissuto per svariati motivi. E VA BENE COSì! Non bisogna cercare di forzare le cose.
Se fosse stato destino che Elio e Oliver sarebbero dovuti finire insieme, l'avrebbero fatto nel primo memoir. Più di dieci anni fa!
Ripeto: non si riesumano cadaveri di dieci anni solo perché il pubblico li ha appena iniziati ad apprezzare.

So benissimo che questa mia opinione sarà impopolare e che tutti diranno che era giusto farli finire insieme, ma a me non è mai fregato nulla di quello che pensa la maggioranza.

Sarebbe stato bello se fossero finiti insieme? Certo! Ma non è successo, per cui facciamocene una ragione. L'autore per primo (visto che l'ha scritto lui).

Anarchic Rain