giovedì 14 dicembre 2017

King a uno dei suoi massimi livelli, che parla di dipendenza e di sopravvivenza

TITOLO: Misery
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 310
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9

The Goddess never dies.



Un po' di goliardia: Paul Sheldon, il protagonista di King che non pensa ad altro che uccidere donne. Prima Misery, l'eroina della sua serie di romanzetti per casalinghe disperate, poi Annie, la sua aguzzina.
Un personaggio, Paul, che è un po' la prostituta per eccellenza: prima si vende a Misery per fama e soldi, poi ad Annie, per rimanere in vita. Poi rischia di morire a causa di entrambe.
Detta così, uno sfigato insomma. Ok, Paul Sheldon non mi è mai stato simpatico, non ho mai fatto il tifo per lui (ma nemmeno per Annie, ci mancherebbe) e non ho gioito alla fine del libro (non per lui, comunque).
Quindi di che parliamo? Io direi che parliamo di un grande romanzo, che non ha necessariamente bisogno di protagonisti amabili e antagonisti eccitanti per esistere, ma che si fa "vita" intorno a due persone reali e malate.
Anche Paul è malato? Secondo me sì.

Ora andiamo nel dettaglio (serio).

Misery è un romanzo sulla dipendenza e già solo per questo dovrebbe essere letto davvero da tutti. Non è assolutamente facile parlare di questo argomento o scriverne, ma King può farlo, perché lui non ci è solo passato, ma in quel periodo ancora ne era schiavo. Droghe, alcol, non faceva distinzione (per sua stessa ammissione). Misery è forse un tentativo di esorcismo.
Annie è droga, è un'ossessione, è dipendenza allo stato puro: Paul dipende da lei in tutto, la sua vita, il suo benessere fisico e mentale dipendono da lei, da come si sveglia la mattina. E' la sua luna e la luna sulla Terra esercita molti effetti: il più visibile di tutti sono le maree. L'acqua si allunga verso di lei, poi si ritira fin quasi a seccarsi totalmente, poi ritorna, quando lei ritorna. Un movimento affascinante, ma per Paul è anche terrificante. Menomato, impossibilitato a muoversi, può contare solo su di lei, sua dea, che come tutti gli dei dell'Olimpo è irascibile, lunatica (scusate il gioco di parole) e molto, molto permalosa. Però pensa di essere gentile o almeno pensa di farcelo credere. I sorrisi, gli "I love you, Paul", le sorprese culinarie: tutto è teso a raggirare il povero drogato che pende dalle sue labbra; il drogato non ci casca da un punto di vista intellettuale, ma dal punto di vista fisico non può farne a meno.
Paul dimostra una grande forza di volontà quando finalmente si libera di lei. E lo fa nonostante grazie a lei sia riuscito a scrivere il romanzo più bello della sua carriera (fino a quel momento, almeno).

Quello che io penso, e che in parte ha causato il mio folle innamoramento per questo libro, è che il secondo tema più importante, dopo la dipendenza, sia l'amore. Non l'amore tra due persone, quello è piuttosto ballerino, non si sa mai quanto durerà, cosa si porterà via e quali cocci ci lascerà. No, l'amore per la scrittura. E lo zio questo amore lo conosce molto, molto bene.
Ci sono volte in cui mi chiedo se quello che davvero lo ha tirato fuori dai guai nei suoi confusi anni '80 non sia stato lo scrivere. Lui ha sempre ringraziato la sua famiglia e sono certa che loro debbano averne sopportate di cotte e di crude da lui, in quel periodo. Ma gli sono rimasti accanto e certamente questo ha contato tanto. Ma quello che mi frulla in testa, e quando leggo Misery non posso che trovarne la conferma, è che in realtà sia stato il suo grande, infinito, perenne amore per la scrittura.
Domande che rimarranno insolute, lo so.

Perché leggere questo romanzo?
E' una storia cruda di quello che può succedere a tutti, se in un momento di debolezza lasciamo che siano le nostre ossessioni a governare la nostra vita. E' un monito e non riguarda solo la dipendenza da droga o alcol. Tutte le dipendenze sono sbagliate, quali che siano i motivi. Guardatevi dalle dipendenze, guardatevi dagli dei.

Anarchic Rain

domenica 26 novembre 2017

Una favola dark tra maghi, re e principi in cerca della loro strada

TITOLO: The Eyes of the Dragon
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Signet Book
PAGINE: 380
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e mezzo

Della serie "Perché non l'ho letto prima?!".
Lo so perché...a volte so essere una piccola snob con la puzza sotto il naso. Sapevo che questo romanzo era una favola fantasy e l'ho snobbato per tutti questi anni.
Ho già fatto i miei cinque (dieci) minuti di vergogna all'angoletto, per questo.
Questo è il libro che lo zio ha scritto per sua figlia, Naomi, quando era piccola, per ribadirle un concetto già espresso nella dedica di It (Magic exists) e per ampliarlo (Real magic is never easy).
E' una favola a tutti gli effetti: c'è un re, un drago, due principi, un mago cattivo ed è ambientata in un regno lontano lontano, in un'epoca lontana lontana.
La cosa dolce è che lo zio strizza l'occhio alla Torre Nera per tutto il libro, pur non nominandola mai, solo avendo ripreso alcuni nomi importanti dalla saga (Roland, Flagg e altri).



Diciamo subito che ho adorato questo libro, non credevo mi sarebbe piaciuto così tanto, ma proprio non riuscivo a staccarmi dalle sue pagine! E ancora adesso, nonostante l'abbia finito da un po' e abbia letto anche altro, non riesco ancora a passare oltre. Perché? Non credo di saperlo bene.

La storia è molto lineare: Roland ha due figli, Peter che adora e Thomas che per lui è invisibile, e un consigliere mago, Flagg, che lavora nell'ombra. King ci mette subito sull'attenti: non dobbiamo farci ingannare dai sentimenti del Re, anche se adora Peter (che è effettivamente un ottimo ragazzo) non dobbiamo credere che Thomas sia cattivo. Mette un accento particolarmente forte in questo: Thomas non è cattivo, è solo un ragazzo triste. Solo e debole anche, ma principalmente triste, che si aggrappa all'unica persona che gli concede un minimo appiglio in quel mare di indifferenza, Flagg. Ma Flagg non lo fa per bontà d'animo ovviamente, non c'è una minima traccia di bontà in lui, questo anche ci viene precisato e sottolineato. E il malvagio mago se ne approfitta in tutti i modi. Fa imprigionare Peter per l'assassinio di Re Roland (che ha commesso in realtà lui stesso) e mette sul trono Thomas che ha dodici o tredici anni ed è alla sua mercé. Peter però è un ragazzo intelligente e paziente e riesce ad escogitare un modo per fuggire.
Lo scontro tra Flagg e Peter è stato emozionante e mi è piaciuto tantissimo che sia stato Thomas a risolvere tutto, è stata la perfetta chiusura del cerchio.

Mi è piaciuto tanto Peter: un bellissimo personaggio ben delineato, forse un po' troppo perfetto per essere vero, ma ricordiamoci che è una favola...
Peter è un Giusto, cerca sempre di fare la cosa opportuna e ama suo fratello ancora di più quando vede che il padre lo ignora (Roland non è cattivo, ma è un sempliciotto e gli riesce più facile amare Peter che è così diverso da lui invece di Thomas, al quale è in realtà profondamente affine). Ma Thomas, anche se ama a sua volta suo fratello, si fa sviare da Flagg, che gli mette sempre la pulce sbagliata nell'orecchio: fa tutto parte del suo piano.
Qual è questo piano e perché vuole che sul trono ci sia Thomas invece di Peter?
E' molto semplice: Flagg esiste per distruggere e il regno di Delain è il suo terreno di caccia preferito. Flagg è immortale o quantomeno ha vissuto molto, molto a lungo, ed è sempre stato in quella parte di mondo. Lui odia e cerca in ogni modo di distruggere quello che gli uomini buoni creano con fatica. Con Roland ha iniziato il suo lavoro, ma sa benissimo che Peter non gli permetterebbe nulla, anzi, lo farebbe scacciare come prima azione da Re. Mentre con Thomas...quindi per togliere di mezzo con un solo colpo Roland e Peter, uccide l'uno facendo ricadere la colpa sull'altro. Un piano perfetto.
Ogni piano malvagio, per quanto sembri perfetto, però, ha una piccola incrinatura. E in questo caso, la piccola incrinatura si chiama Thomas: il principe ha inconsapevolmente visto Flagg che uccideva il padre, anche se sembra scordarsene subito.
Passano quattro o cinque anni, Peter riesce nel suo piano di fuga anche grazie a due amici fidati (mi piace che King abbia affidato la sorte del futuro Re a un contadino e un maggiordomo, come a dire che tutti sono necessari e non è la classe sociale che decide il valore di una persona) e finalmente può affrontare Flagg: un incontro nella stanza dove il Re è stato avvelenato e dove tutti i nodi verranno finalmente al pettine.
Un happy ending, dunque? Ni.
Lo zio ci avverte che anche se il male è stato sconfitto, non significa che ora siano tutti felici per sempre. Nella vita ci sono molte prove che bisogna affrontare, ci sono giorni buoni e giorni meno buoni, e ognuno deve affrontarli come meglio può, con tutte le armi a sua disposizione.

Il personaggio che ho preferito è sicuramente Thomas. E' a lui che King (guarda un po', secondogenito anche lui) dedica le descrizioni più belle, è lui che sembra "proteggere" di più. Innanzitutto all'inizio impiega molto tempo per spiegarci che Thomas non è cattivo, ma solo triste (a volte anche confuso e geloso delle attenzioni che il padre dedica a Peter) e per questo non dobbiamo addossargli alcuna colpa per quello che succede. E' Flagg che manovra tutti i fili e, se è vero che Thomas glielo lascia fare, è anche vero che il mago è l'unico che in vita sua gli ha dato quello che più desiderava: attenzione. Non si può biasimarlo troppo.
King ci tiene a sottolineare che una vita passata all'ombra del fratello non deve essere stata una vita facile, specialmente per un ragazzino sensibile come lui e la descrizione della sua anima è talmente bella che ve la riporto pari pari (in inglese però, visto che è così che l'ho letta io):

People's mind, particularly the minds of children, are like wells - deep wells full of sweet water. And sometimes, when a particular thought is too unpleasant to bear, the person who has that thought will lock it into a heavy box and throw it into that well. He listens for the splash and then the box is gone. Except it is not, of course. Not really. [...] The casket those evil, frightening ideas are buried in may rot, and the nastiness inside may leak out after a while and poison the water and when the well of the mind is badly poisoned, we call the result insanity.

Trovo questo passaggio di una bellezza incredibile: King ancora una volta ci ha inchiodato alla pagina, ci ha mostrato la vera faccia dell'anima di un piccolo principe solitario e ci ha fatto male (perlomeno a me sì). Come si può biasimare Thomas dopo queste parole? E come si può farlo dopo l'atto di coraggio che compie alla fine? Non si può, e infatti Peter gli perdona tutto e lo accoglie a braccia aperte. Ma Thomas sa che quello non è il suo posto, non lo è mai stato, deve andarsene per trovare il suo vero io e per non farsi soffocare dal veleno che è stato dentro di lui così tanto tempo. Flagg è scomparso, ma gli effetti del suo passaggio sono ancora troppo vividi.
E' struggente vederlo allontanarsi, anche se sappiamo che è meglio per lui.

Leggete questo libro e leggetelo ai vostri figli. Ci sono cose che non si riescono a spiegare, ma questa favola racchiude tutto ciò che un ragazzo dovrebbe sapere prima di crescere, così da farlo per bene.

Real friendship always makes us feel such sweet gratitude, because the world almost always seems like a very hard desert, and the flowers that grow there seem to grow against such high odds.

Anarchic Rain

venerdì 3 novembre 2017

Il Club dei perdenti e non solo (ovvero IT parte III)

Immagine presa da Iousushi - DeviantArt


Sono stata velatamente "accusata" di aver fatto una recensione solo parziale e superficiale dei Perdenti e degli altri personaggi di King (e anche di aver voluto 'fare scena' per le frasi in inglese, ma vabbè, una punta di invidia fa anche piacere, ogni tanto XD). Non posso assolutamente ribattere a questa osservazione, perché è vera. Purtroppo, quando un libro dura 1000+ pagine e capita inoltre che è il libro della tua vita, devi decidere di cosa parlare e se non vuoi trascurare nulla o quasi e vuoi includere la maggior parte delle tue impressioni qualcosa devi per forza trattarlo en passant, altrimenti altro che enciclopedia (e poi il lettore si rompe!). Quindi stavo per lasciar cadere nel vuoto il commento di una lettrice.
Poi mi sono bacchettata da sola: ma come? Ho sempre detto che avrei ascoltato i consigli di tutti, e ora che me ne arriva uno lo ignoro? Nonsiamaidetto!

In definitiva, visto che il post precedente era già abbastanza "pregno", ne faccio un altro e spero non vi annoierete.
Ci tengo a precisare (forse per la milionesima volta) che questi miei post non sono assolutamente recensioni (io non le ho mai chiamate così), e che io non ho nessuno strumento per essere un critico letterario (ci mancherebbe altro, già fare il medico è impegnativo, il poco tempo che mi rimane vorrei passarlo a leggere per divertimento!). E infatti, ripetiamolo, non mi paga nessuno per dire quello che dico e infatti dico sempre il caxxo che mi pare, stronco i libri che mi pare e osanno quelli che mi pare XD

Quindi questa sarà una carrellata sui personaggi del libro IT di Stephen King.
Pronti? Via!

-George Denbrough: non potevo ignorare il fratellino di Bill, anche se compare davvero pochissimo, appena le prime pagine (ma aleggia fino alla fine), perché è con lui che inizia tutto, ce lo fa presente anche lo zio. Georgie è un ragazzino di 5 anni, con tre frasi già lo immaginiamo innamorato del fratellone che è il suo eroe, sgambettante per casa e con il sacrosanto terrore della cantina (alzi la mano chi di voi non ce l'aveva!!), ché chissà quali mostri stanno nascosti lì sotto ad aspettarti. Purtroppo Georgie lo incontra davvero, il mostro, ma all'inizio non capisce. Perché? Perché IT è furbo e sa cosa piace ai bambini, allo stesso modo in cui sa cosa li spaventa. Un clown non fa paura a nessuno (almeno finora, per quanto mi riguarda). Georgie si fida, non si chiede cosa ci fa un clown in un tombino, è un bambino e accetta tutto quello che vede per vero. King ha descritto IL bambino, quello che tutti siamo stati, bene o male. Un bambino per crescere non deve solo affrontare i suoi draghi, deve prima sapere che esistono. Forse lui era troppo piccolo ancora o forse It era troppo grande per lui. Comunque sia, per me rimane un inizio folgorante.
-Bill Denbrough: l'eroe del romanzo. Il leader del Club dei Perdenti. Sono cosciente del fatto che non è l'unico protagonista e che i Perdenti per funzionare devono essere uniti, ma Bill è il loro leader. E a ragione. Il primo ad accorgersene è Eddie, ma in maniera inconscia. Per lui è l'amico dietro cui rifugiarsi, quello che ha sempre idee per giochi nuovi, che lo difende (quando può) da Henry e la sua banda di bulli. Ma colui che dà per primo una forma coerente a queste sensazioni è sicuramente Richie. Bill è semplicemente il capo tra loro perché ha quello che a loro difetta: carisma. Se dice una cosa, tutti lo seguono, non per paura o per noia, ma perché sanno di potersi fidare. La fiducia è un concetto aleatorio per un bambino, eppure loro inconsapevolmente ne hanno in Bill e Beverly, a un certo punto del libro, addirittura pensa che sarebbe disposta a morire per lui (a turno, poi lo pensano tutti). Certamente lei prova anche dell'amore per Bill, ma senza saperlo il suo pensiero è condiviso anche dagli altri. Se i perdenti fossero una sola persona Bill sarebbe il cervello.
-Ben Hanscom: è il perdente che di solito si preferisce quando si è piccoli. E' quello che fa il cambiamento più profondo, che dimostra di avere in sé tutta la magia che altri non si aspettano. Ben è intelligente, creativo, simpatico, dolce. Non ha l'apparenza perfetta, è vero, ma questo gli permette di scoprire chi sono i suoi veri amici. King ci mette sempre in guardia contro la superficialità, in qualsiasi campo: è come se volesse dirci "questo ragazzo è grasso, ma non è solo questo, andate oltre, scopritelo, seguitelo!". E' così che si trovano tesori, solo andandoli a cercare, non ci piovono addosso. Inoltre Ben è colui del gruppo che ama per primo, e parlo di "amore" nel vero senso della parola. Non solo quello verso Beverly (che è tanto profondo quanto sembra senza speranza, almeno all'inizio), ma verso Bill e Eddie (iniziato quasi improvvisamente quel primo giorno di vacanza nei Barren, dopo essere sfuggito per un pelo a Henry) e poi tutti gli altri. Amavo Ben, se non altro perché condividevamo il piacere per la lettura e per la poesia. Se i perdenti fossero una sola persona Ben sarebbe il cuore.
-Richie Tozier: Trashmouth è il mio perdente preferito (se proprio fossi costretta a scegliere). E' il più fragile di tutti, ma riesce a nascondersi abbastanza bene dietro la sua trascinante ironia. Richie ha sempre voglia di scherzare, di giocare con i doppi sensi e di sdrammatizzare qualsiasi situazione, anche la peggiore. Non riesce a chiudere la bocca neppure davanti a Henry, proprio non ce la fa e finisce in più guai per questo che per altro. Inoltre ha più paura di It rispetto agli altri e infatti lui è l'unico che non riesce a raccontare a nessuno del suo primo incontro con It (la statua nel centro della città). Nella mia mente è il perdente che dice "se proprio dobbiamo, facciamolo, ma non chiudetemi la bocca": non si tira mai indietro, non ha mai abbandonato Bill o qualcun altro dei perdenti, ed è lui alla fine che, oltre che portare a termine la prova del fumo, insieme a Mike, aiuta Bill durante il Rito di Chud. Perché proprio lui? Perché non è nella sua indole abbandonare qualcosa o qualcuno, nonostante la paura, anzi proprio per vincerla una volta per tutte. Richie è l'incarnazione della frase di King "Si può uccidere il male seppellendolo di risate". Se i perdenti fossero una sola persona Richie sarebbe l'ironia.
-Bev Marsh: permettetemi un paragone che a prima vista può sembrare blasfemo, ma io penso che Beverly sia a metà tra Oscar (sì, quella di Lady Oscar) e Jo March di Piccole Donne. Nonostante sia una femmina, si comporta come un maschiaccio, le riesce bene tirare di fionda e giocare nei Barrens a guardia e ladri senza preoccuparsi dei vestiti, andare al cinema a vedere film dell'orrore e fumare in barba alle regole. Beverly è forse quella tra i perdenti con la peggiore situazione familiare: se Bill e Richie hanno genitori assenteisti, Bev deve fare i conti con una madre che lavora sempre e un padre che è un avanzo di galera violento e ubriacone. Ma lei non è una che si perde d'animo, né che frigna come una donnetta che vuole essere salvata dagli altri. Lei si salva da sola, sempre. E salva anche gli altri nel frattempo. Quando sono nelle fogne e all'improvviso capiscono di essersi persi, lei sa perfettamente cosa fare per ritrovare la strada, per riportarli tutti insieme. Attraverso di lei, attraverso il magico atto dell'unione fisica, riesce a ristabilire il profondo legame spirituale che si stava dissolvendo, permettendole di salvarli tutti. Non scegliamo il momento in cui diventiamo grandi, ma Bev non si è mai fatta cogliere impreparata. Purtroppo andandosene da Derry, per ventisette anni aveva dimenticato questa grande lezione, e si era lasciata abbindolare da Tom (che sicuramente le ricordava suo padre), ma una volta tornata non poteva avere più scuse: infatti se ne va con Ben. Se i perdenti fossero una sola persona Bev sarebbe il coraggio.
-Eddie Kaspbrak: lui è stata la mia riscoperta di questa quinta lettura. Di Eddie non ricordavo molto, onestamente, e credevo fosse più una figura sullo sfondo, come Stan, ma per fortuna ho avuto modo di ricredermi: alcune delle pagine più tenere di questo meraviglioso libro, sono dedicate a lui. Eddie è il primo socio del club dei Perdenti insieme a Bill, che è il suo idolo. E' un ragazzino riflessivo, timido, con un insospettabile lato forte come l'acciaio: quando il dott. Keene gli rivela che le sue medicine sono tutte placebo e che sua madre se ne serve per controllarlo, non crolla miseramente (come era anche giusto fare), non piange né comincia a comportarsi male (come fanno molti bambini). Lui aspetta. Cosa? L'occasione giusta. Perché sa, con il suo fine intuito, che quell'occasione arriverà. E infatti si presenta poco dopo, quando Henry gli rompe un braccio e sua madre lo usa come scusa per impedirgli di vedere i suoi amici perdenti. E anche qui, non è che si fa prendere dalle crisi isteriche. Con molta calma, senza nemmeno che Sonia se ne accorga, porta il discorso dove vuole lui e le dà la stoccata finale: le permetterà di continuare a controllarlo con le finte medicine, solo se lei lo lascerà frequentare i suoi amici. Che è come dire "non potrai mai più controllarmi". Se i perdenti fossero una sola persona Eddie sarebbe l'infanzia.
-Stan Uris: ho sempre avuto un debole per Stan da piccolo, mi sembrava come se avesse bisogno di conforto e protezione, molto più degli altri, persino più di Eddie. Perché in Stan la paura, anzi la Paura, non era tanto per It, quanto per il disordine a lui conseguente. Stan così ordinato, così inquadrato, un ragazzino che poteva stare anche ore nella stessa posizione ad aspettare che arrivasse l'esemplare giusto, da segnare ordinatamente sul quaderno, ma solo dopo essersene accertati al 100%. Non al 99%. King ci dipinge Stan all'inizio come un borghese felice della propria vita, con sua moglie e ancora in attesa di figli (come tutti i Perdenti). La sua vita procede su binari sicuri, come se It non fosse mai accaduto (e in effetti lui non se lo ricorda). Ma la telefonata di Mike gli fa tornare alla mente la sua infanzia, tutta insieme, e lui non può sopportarlo. It agisce su questa paura e fa in modo che lui si uccida. A volte la Paura serve per farci stare più attenti, ma a volte ci frega e basta. Quando Stan aveva undici anni e aveva i migliori amici del mondo, poteva gestirla e sconfiggerla. Ma quando sei grande e non ricordi più cosa potevi fare da ragazzino, ti uccide. Se i perdenti fossero una sola persona Stan sarebbe la cautela.
-Mike Hanlon: è il perdente che ha avuto la vita più difficile, perché ha avuto la sfortuna di essere nero e di essere nato nel dopoguerra in un paesino nordamericano abbastanza sperduto. I suoi genitori avevano già sopportato il Ku Ku Klan del Nord quando erano giovani, ora che Mike è abbastanza grande da capire la sua situazione razziale deve sopportare il suo fardello. E questo fardello ha il nome di Henry Bowers. Henry odia Mike più di tutti gli altri perdenti, come ci tiene a sottolineare lo zio. L'odio culmina nell'uccisione del cane di Mike (dopo aver guadagnato la fiducia della povera bestia, ecco quanto è stronxo Henry) e prosegue con il tormento perenne del ragazzino. Fortunatamente, per così dire, Henry uccide il padre e offre alla polizia di Derry il capro espiatorio che cercavano per gli omicidi di It. Così Mike ha un po' di respiro. Per ventisette anni. Lui è l'unico rimasto in paese, l'unico che ricorda tutto, il guardiano di Derry. E' la persona giusta per stare a guardare e registrare gli eventi, cosa che fa sin dal rito indiano del fumo del loro rifugio segreto, quando resta a guardare Richie che scopre cos'è It. Se i perdenti fossero una sola persona Mike sarebbe la coscienza.
-Henry Bowers: Henry è uno dei cattivi più riusciti di King e lo dico con un brivido, perché tra molti mostri che lo zio ha creato, Henry è umano. Anche lui, come tutti, è segnato dalla famiglia: sua madre se n'è andata lasciandolo con suo padre, un ottimo esemplare di uomo-che-non-avrebbe-mai-dovuto-avere-figli, uno che gli insegna tutte le cose più sbagliate che possano venire in mente. Soprattutto gli insegna l'odio. Henry odia tutti, tranne suo padre. Odia la scuola e gli insegnanti, odia i suoi "amici" (anche se ne ha bisogno per esserne il capo), odia i perdenti (non è solo bullismo fine a se stesso, li odia proprio), odia sua madre. Insomma proprio tutti. La preda perfetta per Pennywise. A un certo punto si è quasi tentati di provare pietà per lui, se non altro in contrapposizione a Patrick, ma per me non c'è pietà né redenzione: nonostante suo padre, Henry avrebbe potuto scegliere una strada diversa e non l'ha fatto, vuoi per debolezza, vuoi per superficialità. Nessuna giustificazione, per me. Ha vissuto una vita (almeno fino ai quindici anni) sregolata e crudele e quello che gli capita dopo l'assassinio del padre a sangue freddo è quanto di più meritato ci sia. Marcisce in galera prima, poi in istituto. Purtroppo It ha raschiato il fondo del barile coi perdenti e ha bisogno anche di lui, quindi gli permette di uscire per tentare di fermarli. E quasi ci riesce. Manda Mike all'ospedale e quasi uccide Eddie. Quanto odio in lui, quanto rancore. Non posso proprio dargli attenuanti. Forse, se si fosse fermato poco prima di uccidere suo padre, avrei potuto riconsiderarlo, ma da allora in poi la sua strada è stata segnata. La cosa che mi ha colpita di più è stata la bravura immensa dello zio nell'immedesimarsi in lui e nei suoi sentimenti e mi riferisco in particolare ad una scena in cui Henry pensa tra sé e sé a come vorrebbe togliere di mezzo i perdenti perché secondo lui hanno la colpa di rovinargli la vita. Non so come faccia a entrare nella mente anche dei cattivi, ma quello che penso è che lui abbia provato su di sé tutte queste sensazioni (per carità non sto dicendo che ha ucciso qualcuno, ma quando parla di "ordine delle cose" dal punto di vista di Henry, penso fosse lui stesso quando era sotto effetto di droghe/alcol). Parafrasando quello che lui stesso ha detto in On writing, si deve scrivere solo quello di cui si ha esperienza.
-Patrick Hockstetter: un pazzo furioso. Lui è il vero folle della situazione. Patrick ha qualcosa che non va a livello patologico. Viene da una famiglia normale ma normale non è mai stato. Quando nasce il suo fratellino, la sua follia si slatentizza e lui inizia a discendere la china. Uccidere il fratellino per riacquistare l'attenzione dei genitori è solo il primo passo. Poi c'è il frigo abbandonato dove rinchiude gli animali. Quello che facevano i nazisti, in pratica. Non fa propriamente parte della banda di Henry, perché anche lui segretamente lo teme, ma saltuariamente li aiuta a tormentare i più piccoli. E la fine che fa è più che meritata (oltre ad essere una delle scene più gore del libro).
-Padre di Mike: è raro incontrare un buon genitore in questo libro, ma lui lo è. Si preoccupa per suo figlio, gli insegna la differenza tra giusto e sbagliato ma nello stesso tempo gli insegna anche a combattere per le cause davvero importanti, lasciando sullo sfondo tutte le altre. Inoltre il suo doloroso passato è più simile a quello che Mike e i perdenti stanno vivendo ora di quanto non sappia, e Mike lo comprende appieno quando gli racconta del Black Spot e di cosa è accaduto dopo l'incendio, mentre scappava dalla baracca in fiamme.
-I genitori di Bill e Georgie: non pervenuti. Avrebbero potuto essere buoni genitori, ma la morte prematura di Georgie li ha bloccati, congelati, con una forza tale da non riuscire a uscirne neppure per amore dell'unico figlio rimasto.
-Sonia Kaspbrak: la madre di Eddie è tra i personaggi più spaventosi del libro. Ma a livelli di Henry Bowers eh...il troppo amore non è mai giusto o apprezzabile, si possono soffocare i bambini in più modi che non premendogli un cuscino sulla faccia. Se un abbraccio è troppo forte, si spezzano le ossa. Sonia è una madre che crede di dare tutto per suo figlio, mentre invece non si accorge del profondo egoismo che c'è nel suo comportamento soffocante. Eddie non farebbe nulla, se fosse per lei, tranne stare dentro casa a guardare la tv a fianco a lei. Lo controlla con false medicine e ancora più false malattie, addirittura coinvolgendo il farmacista. Sono stata crudelmente contenta quando Eddie le ha detto finalmente qual è il suo posto.
-Al Marsh: il contrario di Sonia è Al. Padre di Bev, è un violento, sostanzialmente vede Bev come una schiava e non come sua figlia e ora che sta crescendo lo zio ci fa quasi capire che inizia a vederla come una donna. E questo va ben oltre l'orrore.
-Tom Rogan: marito di Bev, accomunabile a suo padre. Tom è uno che vuole avere il controllo di tutto, ma soprattutto della vita di Bev, che è la sua "gallina dalle uova d'oro". Non è stupido, purtroppo, sa benissimo come ottenere quello che vuole, ha capito al volo cosa si cela dietro la maschera che Bev indossa: fragilità. E lui ne approfitta come una sanguisuga. Bev glielo lascia fare perché dopo aver vissuto per anni con Al non sa cosa sia l'amore vero (o meglio, l'ha dimenticato) e, addirittura, pensa di meritarselo per qualche oscura ragione. Tom sarebbe potuto essere la migliore risorsa di It, fortunatamente lo usa solo per imprigionare Audra.
-Pennywise the dancing clown/It: il capolavoro di King. Pur non essendo il mio cattivo kinghiano preferito, è sicuramente il meglio caratterizzato. It (che in realtà è una she) è il male primordiale, alieno, che si è insinuato miliardi di anni fa nel sottosuolo di quella che sarebbe poi diventata Derry. It controlla gli abitanti della cittadina, pur svegliandosi ogni ventisette anni. Si nutre delle paure della gente e quale miglior ricettacolo di paure che la mente di un bambino? Prima li avvicina camuffandosi da clown, una maschera che di solito piace ai bambini, che li fa ridere, poi si rivela per quello che è: la loro peggiore paura, un mostro affamato. Il suo unico errore è stato sottovalutare i perdenti e il loro legame. L'amicizia e l'amore sono due legami che, quando sinceri, sono indissolubili e molto potenti, forse i più potenti al mondo. E in teoria avrebbe dovuto saperlo, visto che stava per diventare "madre". Ma evidentemente il Male non riconosce altro da sé e non si ferma davanti a nulla.
-Tartaruga (Maturin): rappresenta il Bene. Un bene che quando è in buona è sonnacchioso, quando è catastrofico è morto. Non so se sia la visione di King di Dio o chi per lui, ma so benissimo che è la mia: quando il Male è libero di scorrazzare senza freni (anche ogni ventisette anni), vuol dire che il Bene non è molto interessato a quello che succede. Il Male ha bisogno degli esseri umani per prosperare, il Bene ha bisogno solo di sé. Eccetto poi morire soffocato nel momento di maggior bisogno. Ma evidentemente qualcosa rimane, se poi Bill (e Richie) riescono comunque a sconfiggere It nel rito di Chud. Quindi, alla fine, cos'è il Bene? Una Tartaruga lenta, morente, che se ne sta per i fatti suoi e ogni millennio parla per enigmi, oppure qualcosa che è insito in ognuno di noi, che non ha bisogno di un nome o una rappresentazione fisica, che pur morendo non muore mai? Onestamente non so dare una risposta, né so cosa King abbia voluto dire. Forse non c'è una risposta giusta, forse ognuno di noi può scegliere, senza temere di sbagliare.
-The Other: nella cosmogonia di King, l'Altro è Colui che ha creato tutto, compresi It e Maturin. Non si manifesta mai, se non in fugaci sensazioni e in un lieve senso di gratitudine quando It è finalmente sconfitto.

Spero di aver in qualche modo colmato le lacune del mio precedente post.
Parlare dei perdenti e degli altri personaggi  non è facile, almeno per me. Sono i miei amici da sempre, mi hanno accompagnata durante l'adolescenza, che notoriamente è il periodo più burrascoso dell'essere umano. Mi hanno insegnato che è importante ricordare sempre chi siamo e da dove veniamo e che gli amici che abbiamo a dodici anni non li avremo mai più (concetto più che caro allo zio, espresso magnificamente anche in Stagioni Diverse, altro piccolo gioiello della sua produzione).

Anarchic Rain

domenica 22 ottobre 2017

Le riletture, quelle belle

TITOLO: IT
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Hodder
PAGINE: 1376
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 10

Avevo quindici anni la prima volta che l'ho letto e ora, a distanza di (ehm) anni, è stato meraviglioso riscoprirlo e rigustarmelo, finalmente in lingua originale. Lo so che ho già fatto un'altra chiacchierata su questo libro, ma tutto quello che c'è da dire potrebbe riempire i tomi della Treccani, figuratevi cosa sono due misere parole su un blog...

Ho aperto il libro (un'edizione della Hodder che ho preso a Londra, con una copertina molto suggestiva) e di nuovo è successa la magia: mi è bastata la prima frase per essere catapultata a Derry, Maine. Non c'è niente di meglio che un ottimo inizio per invogliarti a leggere un libro. Se poi seguono mille+ pagine, una più meravigliosa dell'altra, si può gridare al capolavoro. E questo libro lo è. Non voglio fare la fan sfegatata (la Numero Uno non sono certo io!), ho letto quasi tutti i suoi 67 libri e non mi sono piaciuti tutti (la maggior parte sì, però), ma questo libro è a se stante.

Forse sarà una chiacchierata atipica rispetto alle altre, ma magari qualcuno arriverà persino all'ultima parola.
SPOILER COME SE PIOVESSE.



The terror, which would not end for another twenty-eight years -if it ever did end- began, so far as I know or can tell, with a boat made from a sheet of newspaper floating down a gutter swollen with rain.

Una frase e capisci tutto del libro: sai che sarà una storia di terrore (anche se poi si rivelerà Altro), sai che durerà molti anni, che forse finirà o forse no (quindi se non ami i finali aperti magari lasci perdere ora, altrimenti dopo bestemmi tutte le pagine che hai letto) e che si parla di infanzia (cosa ci farebbe infatti un adulto con una barchetta di carta che galleggia (!) in un canale di scolo gonfio di pioggia?).
Personalmente, a me i ragazzini nelle storie di terrore fanno paura più del mostro stesso (non riesco a sentire le filastrocche, per esempio, e ovviamente in quasi tutti i libri/film horror ci sono filastrocche, maledette!), quindi le premesse per un libro terrificante c'erano.
Poi non so, lo zio ha un modo di scrivere che mi cattura da subito, anche quando i suoi libri non sono meravigliosi, c'è sempre qualcosa nella scrittura che mi spinge a leggerlo (tranne Il talismano, ma quello è scritto a quattro mani e io sono convinta che la noia sia tutta uscita da quelle di Straub!!) e che mi piace, nonostante magari la storia.
Certo, la suddetta frase è stata resa ancor più famosa e, soprattutto, "scenica" dalla miniserie tv degli anni '90: chi non ha mai visto, anche di sfuggita, il bimbetto con l'impermeabile giallo che rincorre la suddetta barchetta sotto il diluvio universale? Ah, l'America, che Paese dei Balocchi! Mia madre mi avrebbe scuoiato se mi avesse vista fare una cosa del genere, già me la sento "Dove vai con quella pioggia!! Fa freddo!! Poi ti ammali!!!". Ah, l'Infanzia, che storia tragicomica.

Una delle trovate che mi piace molto del libro è il continuo "avanti e indietro" nel ritmo narrativo. Un momento sei a Derry nel 1958, quello dopo sempre lì nel 1985 (ma '58 e '85 come '48 e '84?). Ma non è mai confusionario, riesci sempre a capire in quale salto temporale ti trovi e non senti il disorientamento a cui una brutta scrittura potrebbe portarti.

I temi del libro. 
Lo zio ha pensato bene di scrivere un compendio all'infanzia, o meglio all'infanzia che diventa adulta e millemila cose si potrebbero dire su ogni frase, ma ho fatto una specie di selezione di quelle che mi hanno colpita di più e prenderò spunto da queste.

He look around at her. She thought the look on his face was one of gentle abstraction, perhaps mixed with minor annoyance. It was only later, replaying the scene in her mind again and again, that she began to believe it was the expression of a man who was methodically unplugging himself from reality, one cord at the time. The face of a man who was heading out of the blu and into the black.

Siamo in casa Uris e Stan ha appena ricevuto la telefonata di Mike che lo avverte che It è tornato e quindi deve tornare anche lui, perché così ha promesso.
Quando Stan si uccide perché non riesce a razionalizzare quello che ha finalmente ricordato (la sua infanzia), mi ha ricordato una cosa che ho sentito fin da quando sono piccola: se fosse un adulto a dover mettere la prima dentizione, impazzirebbe dal dolore. I bambini (perfino i neonati), nonostante così piccoli e apparentemente indifesi, sono in realtà più forti di noi adulti, hanno più capacità di sopportare il dolore di noi. Perché? Da un punto di vista anatomico è presto detto: hanno meno connessioni neurali che veicolano gli impulsi dolorosi. Da un altro punto di vista però, è King stesso che ci spiega perché: i bambini sono gli unici che credono ancora nella magia, nella possibilità non che il drago esista o meno, ma che si possa sconfiggere con le proprie forze. O magari con l'aiuto di un amico o due. Successivamente King dice "kids were also better at incorporating the inexplicable into their lives" e credo che questo spieghi tutto quello che ho detto prima.
Stan sembra non ricordare la forza che ha avuto quando era undicenne. Oppure It non gliel'ha permesso (questo è più il mio pensiero onestamente).

Kids don't make serious promises when they're eleven, for Christ's sake!

Sbagliato. Quello che l'agente di Richie gli sta dicendo per convincerlo a non andarsene a Derry, è completamente sbagliato. I ragazzini sono i soli a comprendere il potere che c'è dietro una promessa fatta agli amici. Non c'entra il dovere e nemmeno l'onore per come lo vediamo noi adulti. C'entra quello che si è davvero, nel profondo, superata la barriera del corpo fisico. E fortunatamente Richie se lo ricorda ancora. E parte.

Sometimes home is where the heart is, Eddie thought [...] Unfortunately, it's also the place where, once you're in there, they don't ever want to let you out. [...] Home is the place where when you go there, you have to finally face the thing in the dark.

Ed Eddie questo lo sa perfettamente. Poco importa che siano mostri millenari o la propria madre. Un ragazzino, se vuole davvero crescere, deve lottare con tutte le sue forze contro tutto ciò che rappresenta il nido d'infanzia. Non si può crescere altrimenti. Non si possono dimenticare le proprie radici, ma si deve essere in grado di spingere i rami al cielo.

A child blind from birth doesn't even know he's blind until someone tells him. Even then he has only the most academic idea of what blindness is; only the formerly sighted have a real grip on the thing. Ben Hanscom had no sense of being lonely because he had never been anything but.

Ben incarna il prototipo del perdente (almeno superficialmente). E' grasso, è un topo di biblioteca e non ha amici. Il bersaglio perfetto per i bulli come Henry Bowers e compagnia. Invece lo zio ci dice di fare attenzione: Ben è molto più di quello che sembra, così come tutti i bambini/ragazzi che subiscono il bullismo (ma quanto è attuale questo libro?) avranno di certo doti che aspettano solo di venir fuori. Ben si è ripreso la sua vita, la prima volta quando ha incontrato i Perdenti, la seconda quando ha affrontato il suo insegnante di educazione fisica al liceo. In realtà la battaglia non finisce mai e l'avversario a volte è, come dice Ben, molto più vicino di un bullo qualsiasi. Può essere persino un genitore. Da Ben abbiamo imparato tantissime cose (una per tutte: Choosing books is serious business. You had to be careful) e abbiamo imparato quanto sia bello esprimere il proprio amore a qualcuno (Your hair is winter fire - January embers - My heart burns there too). Ben è il più coraggioso dei sette. Dobbiamo imparare da lui.

Guys like Henry and his buddies were an accident waiting to happen; the little kids' version of floods or tornadoes or gallstones.

Lo zio ci mette in guardia: non tutti i bambini sono buoni, o meglio innocenti, come tutti vogliono farci credere. Vero che Henry e altri possono avere delle attenuanti (genitori, cattive compagnie, qualcuno anche un fratello maggiore delinquente e così via), ma bisogna lo stesso tracciare una linea tra quelli che sono recuperabili e quelli che non lo sono. Perché purtroppo questi ultimi esistono. E bisogna starci attenti, guardarsi le spalle, perché se iniziano a prenderti di mira possono farne una ragione di vita. O di morte.

A silence fell amid the three of them. It was not an entirely uncomfortable silence. In it they became friends.

Questa per me è una delle frasi più belle del libro. Ci sono cose di cui è inutile parlare, che è inutile puntualizzare. Si sa che sono così e basta. Essere amico non significa di più solo perché lo dici ad alta voce. Per essere o diventare amici, basta anche star bene in silenzio gli uni con gli altri. E questa è una regola che vale per qualsiasi tipo di rapporto.

We lie best when we lie to ourselves.

Davvero c'è bisogno di commentare questa enorme, spaventosa verità?

Who knows how long a grief may last? Isn't it possible that, even thirty or forthy years after the death of a child or a brother or a sister, one may half-waken, thinking of that person with that same lost emptyness, that feeling of places which may never be filled...perhaps not even in death?

Lo zio e la morte. Quante volte ha affrontato nei suoi romanzi questo argomento? In ogni suo libro si fa riferimento a qualcuno che non c'è più, a un lutto e a come il protagonista (di solito) si pone nei suoi confronti. Ma chi dice che deve esserci un giusto o sbagliato quando si tratta del sentimento del lutto? Ognuno ha il diritto di reagire come crede opportuno, l'importante (penso io) è andare avanti con la propria vita. Nessun deceduto per quanto caro deve interferire con la vita dei vivi. E non significa dimenticare o essere insensibili o non aver amato, significa solo non farne una malattia.
E ci porta subito dentro l'altra citazione, una grande verità, ma una verità che non è per tutti:

His dying scared me and enraged me, but it embarassed me, too; it seemed to me then and it seems to me now that when a man or woman goes it should be a quick thing. The cancer was doing more than killing him. It was degrading him, demeaning him.

Questo è Mike che parla della morte del padre. Sono assolutamente d'accordo con lui. Nella morte ci vuole dignità, come nella nascita. E' vero che forse parlo più da medico che da profana, ma se penso a come voglio morire io stessa, posso solo augurarmi una morte rapidissima. E se mai dovessi scoprire che non mi è andata così bene, cercherò di andare in posti che mi aiuteranno ad esaudire il mio desiderio. Lo ripeto, deve esserci dignità nella morte.

I happen to think, this is just my personal opinion, that the only lower form of life than a man who would beat up a woman is a rat with syphilis.

Ecco, vagli a dire che non è vero. E oggi più che mai quanto è attuale questo pensiero?
A forza di pensare a quanto è attuale IT, mi sono ricordata che un altro dei miei scrittori preferiti, Italo Calvino, ha detto che un classico è un libro che non smette mai di dirci qualcosa. Traslato, un libro che è sempre attuale. IT è nato nel 1985, ma oggi, a trentadue anni di distanza è più vero che mai.

There was something in their gratitude which made him want to hate them. Would he never be able to express his own terror, lest the fragile welds that made them into one thing should let go?

La solitudine dell'eroe. Big Bill è considerato fin dall'inizio il leader dai Perdenti, ma ogni ruolo ha il suo bagaglio morto. E Bill in fondo è un ragazzino della loro stessa età, con i loro stessi problemi, che si ritrova a essere capo senza saper bene cosa significa. Chi mai potrà spiegarglielo? Nessuno, la risposta la conosce. Deve trovare la forza in sé. E non è forse questo che fanno gli eroi?

We're on the border. But what's on the other side? Where are we going? Where?

La disperazione di non sapere chi siamo e dove stiamo andando, cosa troveremo girato l'angolo, è soffocante, ma immagino che sia molto diffusa. La paura dell'ignoto, la più atavica paura dell'uomo.

There aren't any such things as good friends or bad friends - maybe there are just friends, people who stand by you when you're hurt and who help you feel not so lonely. Maybe they're always worth being scared for, and hoping for, and living for. Maybe worth dying for, too, if that's what has to be. No good friends. No bad friends. Only people you want, need to be with; people who build their houses in your heart.

IT è proprio questo, alla fine. Un inno all'amicizia. E chi non ha pianto a dirotto leggendo le ultime cinquanta pagine, non solo è un cuore di pietra, ma non merita nemmeno questo libro.
Ecco, è uscita la nazista che è in me!

Not all boats which sail away into darkness never find the sun again.

Speranza. Non c'è altro al mondo, alla fine. Mai perderla, mai smettere di cercarne un pezzetto in qualsiasi momento.

I Protagonisti.
Dio, come faccio a parlare dei Perdenti? Sono stati i miei migliori amici per molto tempo e, se mi guardo bene dentro, sono ancora là, dove le cose più preziose sono rinchiuse.
In ordine sparso:
-Stan Uris (Stan the Man): povero Stan. Non ho mai capito perché King ha voluto farlo fuori subito, così, come fosse un monito a noi fedeli lettori. Era uno di loro e meritava almeno di tornare a Derry e cercare di affrontare le sue paure. Poi non è detto che ci sarebbe riuscito, ma nel tentativo sta la vittoria ogni tanto.
-Eddie Kaspbrak (Eds): ma quanto è tenero Eddie da piccolo? Un agnellino, un gattino fradicio di pioggia, un cucciolo smarrito. Certo con una madre-padrona così...ci lamentiamo tanto (e a ragione, eh) del padre di Bev, ma caxxo, la madre di Eddie gli avrebbe dato del filo da torcere. Questi due sono gli estremi che nessun genitore dovrebbe mai raggiungere: troppo affetto o troppo poco affetto sono in realtà la stessa cosa, e soprattutto nascono dallo stesso egoismo. Infatti, insieme a Tom Rogan, sono i personaggi che più odio del libro.
-Richie Tozier (Trashmouth): non fatemi parlare di Richie, l'ho adorato fin dalla prima volta! E' divertente, simpatico, anche serio quando serve, ma soprattutto io adoro i personaggi che sanno sdrammatizzare e lui lo fa divinamente! In un certo senso è il più fragile di tutti, persino di Stan o Eddie, ma non si direbbe mai a vederlo dall'esterno. Si traveste da Trashmouth (Boccaccia) e riesce ad affrontare (quasi) tutto. E da lui ho imparato una grande verità: per far ridere, devi conoscere bene l'animo umano. Lui è un grande osservatore e lo dimostra per tutto il romanzo, cogliendo quello che gli altri non colgono subito, per primo e meglio.
-Ben Hanscom (Haystack): dolce orsacchiotto da adolescente, fusto da grande. Una grande trasformazione, soprattutto nel carattere, che è la cosa che conta, poi. Ben è il Perdente a cui mi sento più vicina, così timido (sì, ero timida da piccola, ai limiti dell'asociale...ora lo sono -asociale- per altri motivi XD), con i suoi libri sotto braccio e il suo amore per gli haiku. Coraggioso, sempre, ma con tanto tanto cuore.
-Bill Denbrough (Stuttering Bill ma anche Big Bill): il capo indiscusso del gruppo. A un certo punto Richie si chiede come mai è stato tacitamente eletto proprio Bill e decide che è per via del suo carattere, della sua intelligenza (anche del suo bell'aspetto, certamente, un eroe non può essere brutto!) e di quel certo non-so-che che gli sfugge (carisma, ci suggerisce King stesso) che emana da lui come una luce. Ben è il cuore del gruppo, ma Bill ne è indiscutibilmente il cervello.
-Beverly Marsh (Bev): l'unica ragazzina (poi donna) dei Perdenti, una che, nonostante la sua intima fragilità, alla fine ha l'animo d'acciaio. Beverly è un esempio, per me lo è stata, un po' come Jo March (un'altra eroina, col cognome molto simile e con i capelli ramati anziché rossi), una che ti può indicare la strada da seguire. Si perde, per un attimo, da adulta, quando non ricorda più chi è in realtà. Poi riesce a ritrovarsi, nel momento più importante, per fortuna.
-Michael Hanlon (Mike): lo studioso, il diligente del gruppo. Mike, il guardiano, colui che, a causa delle vicissitudini della sua famiglia, rimane a Derry e diventa l'osservatore. Perché dentro di sé sa bene, come anche lo sapevano tutti gli altri la prima volta, che It non è morto, si è solo ritirato a leccarsi le ferite. Ma tornerà, forse più feroce di prima, e vorrà stanarli uno a uno e rendergli pan per focaccia moltiplicato per un milione. Mike rimane in attesa, vigila e, quando capisce che tutto è ricominciato, telefona.

Le descrizioni.
Lo zio ci regala descrizioni meravigliose, non solo dei luoghi o dei mostri, tanto che sembra di respirare l'aria di Derry o di trovarti faccia a faccia con il licantropo di Neibolt Street; sono soprattutto le descrizioni degli stati d'animo, non solo dei Perdenti, che ti fanno entrare nel libro. Ogni personaggio grazie alla sua penna diventa persona.
C'è un passaggio da brivido che vede Henry Bowers come protagonista, che mi ha massacrato moralmente e mi ha fatto sorgere una domanda: King, per descrivere così bene il pensiero di un altro, si è mai trovato nei suoi panni o è semplicemente un fine conoscitore della psicologia umana? Credo che non potrò mai dare una risposta a questa domanda, ma se lo incontro glielo chiedo, eh!

I luoghi.
Il modo in cui Derry sembra un sistema chiuso, in cui nessuno può entrare, un sistema che si chiude ancora di più quasi come se diventasse invisibile durante gli attacchi di It, è spaventoso. Ma in King ci sono molti esempi di questa "chiusura", altri paesi che sembra siano tagliati fuori da tutto quando sta per succedere qualcosa che coinvolge la comunità intera, qualcosa di fondamentale, quasi "storico". Ovviamente mi riferisco a libri come La tempesta del secolo o Salem's lot o Desperation (perché no) e racconti come La nebbia. Lo zio sembra dare il meglio di sé quando racconta di e fa parlare persone che si muovono e vivono in un ambiente ristretto. Come se li capisse a fondo. Di conseguenza la loro descrizione più che accurata è totalmente realistica e noi riusciamo a percepirli come persone in 3D.
A parte Derry, King crea un'intera cosmologia con questo libro (che in parte si fonde, ovviamente, con La Torre Nera): the Other, creatore della Tartaruga e di It, che fanno parte di un Macroverso appena accennato, di cui Bill e Richie sperimenteranno solo di striscio gli orrori e l'immensità. In questo Macroverso It, che si crede immortale, pretende di fare il bello e il cattivo tempo, non capendo invece che if the wheels of the universe are in true, then good always compensates for evil - but good can be awful as well. Persino la Tartaruga muore (di una morte piuttosto stupida poi), It avrebbe dovuto capire che poteva succedere anche a lui. Quando inizia a farsi due domande, è troppo tardi.

I riferimenti.
IT è pieno di riferimenti ad altre opere dello zio. A partire ovviamente da quel capolavoro che è la Torre. A parte la Tartaruga, a un certo punto dice che esistono mondi in cui le rose cantano. Ora, io sono una sentimentale con le lacrime in tasca, e questo posso anche accettarlo, ma come si fa a non farsi venire le lacrime agli occhi su questa frase? Come?? E infatti non è stato possibile. Inoltre in un altro punto dice che Eddie somiglia a un folle pistolero malnutrito con una strana pistola (era l'aspiratore) e anche qui, strizzatina d'occhio e lacrimuccia.
Avevo scordato il riferimento a Becka Paulson, che sarà protagonista di un episodio del libro The Tommyknockers, ambientato a Haven, un paese vicino Derry (nell'immaginario Maine di King).

Un pensiero a parte vorrei spenderlo sulla scena più complessa e chiacchierata del libro.
L'unione dei Perdenti attraverso Beverly.
Sui forum americani non si può nemmeno iniziare a parlarne che subito scatta il flame: non tollerano proprio quello che succede tra i ragazzi.
Io ho letto la scena per la prima volta quando avevo quattordici anni e devo dire che non ne sono rimasta traumatizzata, anzi, l'ho davvero presa per quel che era, per quel che lo stesso King ce la descrive: They were falling away from each other. Siamo nelle fogne, i Perdenti hanno sconfitto It, forse per sempre o forse no, ma questo non è più un loro problema. Al momento ne hanno uno maggiore. Devono tornare in superficie. Eddie, che è un po' la bussola del gruppo, si perde e non sa più cosa fare. Sono tutti in confusione (quale adolescente non lo è sulla via per la crescita?) e stanno per cedere al panico. Forse questo addirittura è l'ultimo regalino di It, quella stronxa. Comunque sia devono darsi una mossa o moriranno di morte lenta e atroce. Beverly, dolce, piccola, innocente Beverly, suggerisce una soluzione. Devono ritrovarsi, ritrovare il loro legame perduto, e lei ha la risposta: attraverso di lei, attraverso il legame più primitivo dell'uomo, possono fondersi di nuovo, tornare a essere uno da molti. Non lo dice King, ma la parola ka-tet è scritta a lettere incandescenti su tutta la scena. A turno, quindi, fanno l'amore con lei. E a questo punto lo zio ci regala due delle più stupende immagini letterarie: this essential human link between the world and the infinite, the only place where the bloodstream touches eternity, così Beverly sente l'atto che stanno facendo; here there was love, desire, and the dark. If they didn't try for the first two they would surely be left with the last. Quest'ultima è un po' difficile da capire, ma penso che voglia dire che se al mondo non rimangono altro che amore, desiderio e oscurità, bisogna assolutamente cercare di trovare le prime due, altrimenti quello che rimane è l'oscurità (dell'anima) e non sarebbe compatibile con la vita.
In definitiva ho amato questa scena al pari di tutto il libro, non l'ho trovata né stonata né orgiastica né immorale. E' una scena di una delicatezza disarmante, commovente.

Quando ho letto IT da adolescente, non conoscevo un altro libro di un altro scrittore, molto caro a King. Il popolo dell'autunno di Ray Bradbury. Ora lo conosco e ho capito a chi deve il suo capolavoro lo zio. Questo libro è ispirato all'altro, ne è l'ampliamento e il completamento, si spinge oltre e crea universi che l'altro può solo sognarsi. Ma non dimenticherò mai dove sono le sue radici. Come ho scritto nell'altra chiacchierata, ho finalmente capito la frase di King (Si può uccidere il male seppellendolo di risate) solo dopo aver letto Bradbury. E ogni volta che in IT un perdente ride, una luce si accende dentro di me (e si spegne per It).

Scusate se ho ciarlato così a lungo. Considerate che non ho nemmeno detto tutto, ma come potrei? IT è davvero troppo. Impossibile esaurire i suoi tesori. Quindi mi fermo qui.

Be brave. Be true. Stand. All the rest is darkness.

Anarchic Rain

domenica 10 settembre 2017

Come baci al buio da uno sconosciuto

TITOLO: Scheletri
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Pickwick
PAGINE: 560
VERSIONE LETTA: cartacea e kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9-

Seconda raccolta di racconti del Re, dopo A volte ritornano.
Nonostante la prima sia ancora la mia preferita, Scheletri non è assolutamente da meno per qualità, secondo me. E' un libro da cui difficilmente riesci a staccarti, di cui non puoi fare a meno e di cui devi spizzicare un racconto ogni tot altrimenti senti che ti manca qualcosa.
Anche qui farò un piccolo resoconto per ogni racconto, anche per fissare le mie emozioni indelebilmente.
Iniziamo il tour.



Introduzione: quando leggi un libro dello zio, non puoi (ripeto, per i duri d'orecchio, NON PUOI) saltare l'introduzione. E' un gioiello, non meno del libro stesso, e molto spesso contiene dichiarazioni d'amore più o meno esplicite a noi constant readers, e questa è una cosa che ci fa sempre emozionare, vero? E poi in questa in particolare c'è una delle frasi più iconiche di King: Un racconto è come un bacio veloce, nel buio, da uno sconosciuto [...] un bacio può essere dolcissimo, e nell'intrinseca brevità del gesto risiede la sua speciale attrazione.
La nebbia: forse il racconto più famoso della raccolta, sicuramente uno dei più famosi in assoluto, anche considerando la serie tv che ne è stata tratta. A me è piaciuto tantissimo, mi ha messo addosso paura (sì, proprio paura) e angoscia. Quando lo zio decide di descrivere una piccola comunità dà il meglio di sé, e questo credo di averlo detto un milione di volte. Mi correggo: non solo una piccola comunità, ma una comunità in pericolo. Noi non ci pensiamo, perché non siamo abituati a farlo, ma cosa succederebbe se un evento incontrollabile e spaventoso costringesse in uno spazio ristretto molte persone? Verrebbero fuori simpatie, antipatie, idiosincrasie, rancori. E da qualche parte, a un certo momento, ci sarebbe un grilletto (reale o metaforico) premuto, per mettere fine in un modo o nell'altro. In questo racconto ci ho visto l'embrione de La tempesta del secolo, anche se si è sviluppato in maniera diversa (d'altra parte un bacio al buio non è un matrimonio, no?). In definitiva l'ho amato molto, nonostante alcuni piccoli difetti qua e là (troppe righe dedicate a David e Amanda, quest'ultima un personaggio abbastanza inutile, e troppo poche, anche se efficaci, alla signora Carmody, uno dei personaggi più spaventosi dello zio).
Tigri!: un perfetto intermezzo horror tra il primo e il terzo racconto. Un bambino che a scuola si trova ad affrontare una prova ben più importante di un compito di matematica. E ne esce con un sorriso (sinistro, ma pur sempre un sorriso).
La scimmia: altro piccolo gioiello di questa raccolta. Stavolta il male non è dentro di noi, ma fuori e va affrontato una volta per tutte. Non è possibile fuggirlo ancora. Brividi e tristezza corrono su binari paralleli, fino al finale a cui arrivi stremato, col fiato corto e un capello bianco in più. 
Caino scatenato: altro piccolo intermezzo, grazie al quale andiamo in un campus universitario, dove sta succedendo qualcosa di strano a uno dei migliori studenti. Il male è dentro di noi, ancora una volta, e ancora una volta siamo impotenti di fronte alla sua lucida logica. Questo racconto (molto breve) mi ha ricordato tanti tristi fatti di cronaca, ma lo zio riesce sempre a dare il suo tocco inconfondibile e a creare dettagli familiari eppure non notati finché non ci punta lui il dito.
La scorciatoia della signora Todd: stupendo. Mi è piaciuto tantissimo, forse perché anch'io, come la signora Todd, amo guidare e scovare nuove strade. Fortunatamente (o no?) le mie sono sempre piuttosto "sicure", ma mi sono divertita a seguirla e a intuire quello che le succedeva (lo zio è troppo furbo per sbattercelo in faccia nero su bianco, meglio stuzzicarci con piccoli scorci, come durante un lampo di notte). E Non ci resta che piangere è sempre in un angolino (divertito) della mente...
Il Viaggio: terrificante. Il primo dei due racconti di fantascienza di questa raccolta è davvero terrificante. Entri a poco a poco nell'atmosfera della storia, i particolari si svelano uno ad uno e sono uno più spaventoso dell'altro. Un viaggio nello spazio può essere pericoloso, ma mai quanto uno raccontato dallo zio.
Marcia nuziale: a parte le due poesie, è il racconto che mi è piaciuto meno. La scrittura è sempre bella, ma non mi ha preso, forse perché non amo molto i racconti di mafia e affini. King ha fatto di molto, molto meglio con La morte di Jack Hamilton (anche se lì non era proprio mafia, ma quasi) contenuto in Tutto è fatidico.
Ode del paranoide e Per Owen: sono le due poesie della raccolta. Niente, a me lo zio quando vuole fare il poeta (per finta, eh, non le prendo mai sul serio) non ci riesce proprio!
La zattera: tipico racconto horror alla Lovecraft, ma scritto molto meglio (scusa Howard, ma io dopo un po' non ti reggo!)...tra l'altro è uno degli episodi di Creepshow, che ricordo sempre con affetto, essendo uno dei film della vecchia serie Notte horror (quanti ricordi adolescenziali, accidenti!).
Il word processor degli dei: il racconto più crudele del libro. Bellissimo. Ti lascia con una soddisfazione che poche volte si prova. Al diavolo il solito politically correct americano! Bravo zio!
L'uomo che non voleva stringere la mano: con questo si torna a casa. Torniamo al Club che abbiamo conosciuto in Different seasons, in quell'ultimo racconto snobbato da molti, ma che io adoro. Un'altra storia davanti al camino, corroborata dai bicchieri serviti da Stevens, il custode, questa figura misteriosa che sta sullo sfondo ma che cattura più di tutto il resto.
Sabbiature: altro racconto di fantascienza. Meno bello, secondo me, dell'altro, ma ad alto livello di ansia.
L'immagine della Falciatrice: questo mi è sembrato molto stile Poe, quindi mi è piaciuto molto. La paura più atavica dell'uomo. Nessuno scrittore horror (e non) ne è immune.
Nona: wow. Ripeto: WOW. Un racconto superbo, scritto con maestria (solita, è vero, ma con qualcosa in più stavolta), un ottimo plot-twist finale e atmosfere micidiali. Ami? Ci è piaciuto, zio, bravo!
L'arte di sopravvivere: una goduria. Insomma, lo so che mi sto ripetendo, ma questa raccolta è davvero uno scrigno da pirati, solo che invece di dobloni d'oro ci sono perle di racconti. Cosa si è disposti a fare pur di sopravvivere? E magari accantoni quell'idea di crociera che ti frullava in testa da un po'...
Il camion dello zio Otto: un po' sotto il livello degli altri, ma non troppo. Una bella storia vecchio stile, con la fantasia che diventa reale e può fare male.
Consegne Mattutine (Lattaio n. 1) Quattroruote: la storia dei bei lavanderini (Lattaio n. 2): il primo è delizioso, la follia che si nasconde in persone insospettabili, il secondo, vagamente collegato al primo, un po' zoppicante per me, ma sempre godibile.
La nonna: aiuto. Questo è davvero terrore allo stato puro. Insomma, mi ha fatto per un secondo tremare al pensiero della mia dolce nonnina e non pensavo sarebbe mai successo. Forse è quello che mi ha fatto più paura dei ventidue. Sì, confermo (dopo un'attenta riflessione di cinque minuti). Leggetelo e ditemi se non è così!
La ballata della pallottola flessibile: un altro racconto nel racconto. La storia di una lenta discesa negli inferi della paranoia. Molto toccante.
Il braccio: ecco, questo è il perfetto racconto finale. Chiude un cerchio, mette il punto dove va messo, è elegante e tenero.

Perché leggere questo libro? Se siete fan di King, questa domanda non esiste neppure (vogliamo parlare dei suoi soliti riferimenti al suo universo? Cujo? La Torre Nera e le rose che cantano?), alcune frasi vi faranno venire le lacrime agli occhi e sarà sempre bello tornare da lui (un po' come tornare in luogo che conosci e ami). Se non conoscete il Re, potrebbe essere un buon punto di partenza (anche se io consiglio comunque di partire dall'inizio, da Carrie), si capisce subito che stiamo parlando di uno scrittore vero, di quelli che vorresti conoscere per poterlo chiamare al telefono e parlare dei suoi personaggi (semi-cit.).

Anarchic Rain

giovedì 17 agosto 2017

Un classico che non ha superato la prova del tempo

TITOLO: Rebecca
AUTORE: Daphne Du Maurier
EDIZIONE: Il saggiatore
PAGINE: 383
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 5-

Ecco, lo sapevo io. Mi tremano un po' le dita a parlare di questo romanzo.
Come faccio a esprimere la mia onesta opinione quando la maggioranza la pensa diversamente da me?
Ma poi ognuno deve pensarla come vuole e avere il diritto di dire quello che pensa (con le dovute motivazioni, senza straparlare per il gusto di farlo), e quindi eccomi qui.



Per me questo romanzo, in una scala da uno a dieci, sta sul 5 meno.

Perché? Ora ve lo racconto.

Partiamo dalla cosa che mi è piaciuta di più, anzi, dall'unica cosa che mi è piaciuta, che poi è il motivo per cui è riuscito ad arrivare a quel quasi cinque: lo stile. La Du Maurier sa come scrivere, accidenti. Il romanzo da quel punto di vista è perfetto, il ritmo è perfetto, un'opera d'arte. Le descrizioni: sembra di stare a Manderley, di camminare per i giardini, di vedere il rosso quasi soffocante di quei rododendri, di respirare la salsedine che soffia dal mare a ponente. Pare quasi di potersi perdere nei boschi dei dintorni, salvo poi trovare i sentieri battuti e arrivare alla piccola baia, dove da lontano si vede quella casetta di legno, così pittoresca, così apparentemente innocua. Sono rimasta a bocca aperta leggendo questi passi, e devo ammettere che se non ci fossero stati forse avrei abbandonato il libro.

E ora le note dolenti: se non volete spoiler, fermatevi qua, per favore.
La protagonista: ma si può?! Una lagna dall'inizio alla fine, santo cielo! E non sono all'altezza, e lui ama solo Rebecca, e la governante mi odia, e non so come comportarmi, e povera me sono un'idiota (Sì, per la cronaca), e tutti ridono di me (se non lo fanno, dovrebbero), e Maxim tra poco mi odierà (io sono stupita che ti abbia sposata, guarda). E via dicendo, per quasi quattrocento pagine. No, dico, quattrocento, pronto?!
Io l'avrei affogata nella baia al secondo giorno di inettitudine, per la miseria.
A Monte Carlo ammetto che ancora ancora poteva sembrare una personcina timida e carina, da crescere bene, ecco. Ma poi no, insomma, si capisce subito che è una povera decerebrata coi complessi di inferiorità.

Ah, ma poi c'è il colpo di scena! Ed arriviamo alla peggiore svolta narrativa di cui ho mai letto (sto esagerando? Ditemi voi...): la decerebrata viene a sapere che il maritino superperfetto ha ucciso a rivoltellate la prima moglie (Rebecca) e cosa fa, secondo voi? Fugge terrorizzata? Chiama la polizia? No, ma scherziamo? Altrimenti a Manderley ci rimane da sola!! Ma pure voi, che pensieri osceni, eh. No, lo giustifica perché Rebecca era una poco di buono che se la spassava col primo che capitava.
Ora, sono d'accordo che una donna di facili costumi non debba avere un marito che si occupi di lei con amore e la ricopra di soldi e cose del genere (a meno che il suddetto marito non sia d'accordo e complice della moglie, quelli sono affari loro), ma che debba essere uccisa per quello? Andiamo, ma che ci stiamo raccontando?
Il maritino come si giustifica? E' dispiaciuto per l'azione commessa? Per il delitto a bruciapelo (non premeditato, questo glielo concedo, diciamo che è stato più un impulso)? Macché, non siate sciocchi! Non solo non se ne dispiace e non paga per questo (il finale è proprio ad arte, eh, poi ne parliamo), ma secondo lui ha agito al meglio, nell'interesse di Manderley, una casa così bella e così apparentemente immacolata che non poteva mica essere insozzata da quella donnaccia o (diocenescampieliberi) da un divorzio!! Non sia mai, meglio un delitto!
Per addolcire la pillola, per sollevare in parte le colpe, che cosa ti escogita poi la cara Daphne? Rebecca era malata terminale di cancro.

Ora. IO MI RIBELLO. Ma porca la miseria, ma davvero fate? E questo sarebbe un classico del gotico?? Manco alla mente malata e alcolizzata di Poe sarebbe venuta in mente una cosa del genere: lasciar impunito un crimine del genere CON UNA MOTIVAZIONE DEL GENERE? Ma stiamo scherzando?
I matti, proprio.

E veniamo a noi: a chi è piaciuto sto libro? E' un classico, è famoso, è straletto. Hitch ci ha pure fatto un film (che ho visto, ma purtroppo non ricordo, saranno passati più di vent'anni)!
Vorrei sentire le opinioni degli estimatori. Magari sono io che non ho capito niente. Con un classico non si può mai dire.

Comunque non mi sento di consigliarlo a nessuno. E mi fa rabbia perché, al contrario di altri "cosi" che sapevo già sarebbero stati tremendi, da questo  mi aspettavo tanto. Tantissimo. E quando le mie aspettative di lettrice sono così deluse quando sono al loro apice, mi sento davvero abbattuta.

Vado a leccarmi le ferite.
E a cercare un bel libro da leggere per dimenticare.

Anarchic Rain

lunedì 17 luglio 2017

Dlin-dlon. Pubblicità. Regali per un lettore D.O.P.

Immagine presa da Google


Molti di voi leggendo il titolo del post avranno riso o sbuffato: quale regalo migliore per un lettore se non un libro.
SBAGLIATO!
Non vi azzardate a comprare un libro a un lettore D.O.P. a meno che non lo siate voi stessi e conosciate a memoria la biblioteca del suddetto lettore. Altrimenti incapperete SICURAMENTE in uno di questi imbarazzi (partiamo dal più facile):
1) Ha già il libro. Diciamo che questa è la cosa più frequente che capita e a volte è anche quella che fa meno danni: il libro si può cambiare (avendo lo scontrino, e voi lo conservate SEMPRE vero? Appunto).
2) Lo avete preso a un mercatino. Ora, io capisco tutto, oggi si cerca di andare sempre a risparmio (e non è assolutamente un male), ma dovrete essere certi che il ricevente non abbia da ridire sui libri usati: spesso ci sono orecchie, scritte (a matita, A PENNA), segni sulla copertina...ecco, diciamo che alcuni di noi lettori possono essere un po' "perfezionisti".
3) Voleva quel titolo (lo avete sentito di sfuggita, dite la verità a zia), ma purtroppo in un'edizione diversa (quella che gli avete regalato voi ce l'ha già oppure ha una brutta copertina).
4) Voleva quell'autore (forse è il suo preferito), ma quel titolo lo ha già.
5) Avete scelto il titolone del momento e PURTROPPISSIMO gli fa schifo (capita, oh, se capita).

Insomma, diciamocelo, è una caciara.

Invece, se volete essere sempre ben accetti, se non volete vedere il vostro regalo restituito, vi propongo alcune idee (anche molto economiche) e vi giuro che farete sempre una bella figura.
Torno ai numeri perché mi è piaciuto il sistema.

1) La sempreverde: la mitica, unica, ambitissima Carta Regalo. Ormai ogni libreria ce l'ha. Ed è il sogno proibito di ogni lettore entrare in libreria, uscirne con cinque o sei (mila) libri senza aver dovuto pagare. Già mi brillano gli occhi, guarda.
2) Se sapete che il lettore a cui state per fare un regalo è un appassionato di tè/caffè, non esitate: comprate una tazza: gigante per il tè (intendo DAVVERO gigante) e una particolare per il caffè (con abbinato piattino). Se il lettore ama il caffè americano, la tazza gigante va bene pure per lui. Non c'è niente di meglio che bere qualcosa di bollente in una tazza adorabile, mentre si legge, seduti sul divano in inverno. E, pensate, non importa quante tazze possiede già: è stupendo usarne una diversa ogni volta che ti gira.
3) Segnalibri: oggi ce ne sono una marea e per tutte le tasche, sbizzarritevi! Anche questi sono sempre ben accetti, non se ne hanno mai abbastanza.
4) Un plaid con le maniche: per leggere sul divano o a letto anche d'inverno tenendo le mani calde (importantissimo se si regge un libro).
5) Se sapete che ha un lettore (dovete anche sapere il tipo di lettore ma questo è facile), potete regalare (oltre alla sempre ben accetta carta regalo) una nuova custodia, per cambiare "abito" ogni tanto.
6) Ferma-libri: di solito chi non ha solo librerie, ma anche scaffali, ha sempre il problema della caduta accidentale (di solito di notte, con tanto di brusco risveglio e annesso infarto), ma questi oggetti sono utilissimi e anche carini, ne esistono di tutte le forme e le taglie, alcuni sono ispirati a saghe famose, insomma ci si può sbizzarrire anche con questi.
7) Luce da lettura portatile: di quelle che si attaccano ai libri e non disturbano eventuali compagni a letto.
8) Leggìo: ok, questo è un po' particolare come oggetto, ma credetemi, ogni lettore ha un libro enorme che vorrebbe far vedere a tutti ma non può perché non sa come metterlo!
9) Gadget a tema autore, libro o saga: per fare alcuni esempi, penna e calamaio a tema Shakespeare, Funko pop (pupazzetti di vari personaggi), penne e agende (ce ne sono a migliaia praticamente).
10) Non dimenticate MAI di scrivere un biglietto di accompagno al suddetto regalo. MAI. Amicizie sono state sepolte per molto meno.

Spero di essere stata un minimo d'aiuto, anche se mi sono mantenuta sul generico andante...
Fatemi sapere cosa regalereste/vorreste in regalo voi!

Anarchic Rain

Il grande sogno americano (famiglia, lavoro, amici) non è che un'illusione amara

TITOLO: Revolutionary Road
AUTORE: Richard Yates
EDIZIONE: Minimum fax
PAGINE: 457
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 8 e mezzo

Un libro difficilissimo da commentare.
Yates ha iniziato la sua carriera di romanziere con una storia triste, vera e dolorosa. Ha descritto uno spaccato di vita americana come nessuno in America amerebbe leggere. Non più il Grande Sogno Americano, ma un piccolo incubo abbastanza comune.
Ci sono due persone, Frank e April Wheeler, che dal di fuori sono interessanti, eccentriche senza essere ghettizzate, divertenti. Innamorate.
Hanno due bei bambini (una femmina e un maschio), una bella casa in periferia e Frank ha un lavoro stabile che non gli piace ma gli permette di mantenere dignitosamente la sua famiglia, come ogni maschio americano dovrebbe fare. E hanno anche degli amici, più o meno interessanti, che li adorano per quello che rappresentano: il successo del sistema.

Ma il libro non ci permette di farci illusioni: inizia malissimo, aprendo falle nel sistema già dalla prima scena.
E tutto sembra destinato a sfasciarsi molto presto, come poi effettivamente accade. Niente sorprese in queste pagine.
Eppure è comunque uno choc leggere fino alla fine.

Ammetto di non sapere per chi dei due parteggiare (se Frank con tutte le sue illusioni borghesi, nascoste sotto una patina fintissima di anticonformismo o April, con le sue nevrosi e alternate lucidità). Penso che parteggerò per John Givings, un personaggio che sembra secondario, ma funge da catalizzatore a tutta la vicenda (sua madre non ha tutti i torti dicendo che "rovina le persone", ma non nel senso che intende lei).
John è l'unico a dire la vera verità in tutto il romanzo, e infatti paradossalmente è lui a essere rinchiuso in manicomio, perché "non sa gestire i rapporti con le persone". Vero, non sa gestirli perché a un certo punto della sua vita (non si sa quando, Yates non ha ritenuto necessario dircelo) ha deciso che lui non ci stava più a fare la parte del bravo soldatino e agli occhi degli altri è dunque "impazzito".
Mi sento spesso dire che parteggio sempre per i personaggi maschili (sia di un libro che di un film) più che per quelli femminili, nonostante sia il mio sesso.
Beh, non è questo, ma donnicciole come April Wheeler o come Milly Campbell, che sanno solo essere depresse e lamentarsi, proprio non mi vanno giù. Non ne vedo la forza, se non in negativo. Però April alla fine mi ha stupita, non con il suo gesto sciocco (e mortale), ma con la sua appena precedente analisi della loro vita così com'è, senza finzioni. Peccato che è riuscita a dirlo solo a se stessa e non a Frank. Forse ci sarebbe stata un'altra via d'uscita.

E' un romanzo sullo sgretolamento delle certezze più profonde dell'essere umano: Frank voleva essere diverso, un filosofo, un eterno cercatore, invece si è ritrovato a diventare esattamente il tipo di "piccolo borghese" che aveva sempre fatto finta di disprezzare; April si è costruita da sola una vita infelice, semplicemente mettendo una bugia in fila all'altra; Shep Campbell dopo aver vissuto la sua avventura ad occhi aperti dal vivo si è reso conto che è meglio una moglie che ogni tanto puzza di sudore e che non è molto intelligente, ma che sia viva dentro e dolce e adorante; Milly è un personaggio troppo scialbo per poter aver avuto certezze da sgretolare, ma è una pettegola che riesce a trarre argomento di conversazione anche da una tragedia che dovrebbe averla colpita trattandosi di una sua amica; Helen Givings si era illusa di poter riabilitare il figlio John attraverso i Wheeler (così eccentrici, ma simpatici), ma involontariamente accelera la tragedia (non che non fosse annunciata, eh).

Che posso dire. Bellissimo. La scrittura di Yates mi ha catturata fin dalla prima riga e mi ha invischiata nel mondo borghese di Revolutionary Road e Revolutionary Hill (che ironia...), e sono sicura che mi perseguiterà ancora per un bel pezzo.

Anarchic Rain

sabato 10 giugno 2017

Una stagione per ogni emozione, una vita per ogni stagione

TITOLO: Different Seasons
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Hodder
PAGINE: 679
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9 e mezzo

Finalmente la mia lettura in ordine cronologica mi ha (ri)portato a questo libro! Non vedevo l'ora, giuro! E' sempre stato uno dei miei preferiti, sicuramente tra le raccolte di novelle è il primo, e ora ce l'ho fatta a leggerlo in lingua originale. Peccato che io non abbia gli strumenti per cogliere le sfumature grammaticali del Re. Cioè leggo e capisco ma non sarei in grado di fare un confronto con altri scrittori di narrativa contemporanea, non arrivo a quel livello.



Cos'è questo libro? E' una raccolta di novelle. Cos'è una novella? E' (come ci dice King stesso nella postfazione) uno scritto più lungo di un racconto e più breve di un libro.
Si compone di quattro novelle ognuna ispirata a una stagione dell'anno. Iniziamo in primavera con Shawshank redemption (Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank in italiano), passiamo all'estate con Apt pupil (Un ragazzo sveglio), poi all'autunno con The body (Il corpo) e finiamo a Natale con Breathing method (Il metodo di respirazione).
Dei primi tre hanno fatto dei film, due ottimi (Le ali della libertà e Stand by me-Ricordo di un'estate) e uno nella media (L'allievo).
A chiunque io abbia detto che sono tratti da un libro di King, mi ha riso in faccia, come se King non potesse scrivere altro che di vampiri e alberghi stregati.
Quando poi mostro le prove di quanto dico, la faccia di solito è incredula e la bocca piegata in una smorfia, come se fosse uno scherzo di cattivo gusto orchestrato su grande scala.
Ormai ci rido sopra, ma quando ero piccola mi si gonfiavano le vene del collo per l'incaxxatura, perché io sapevo quanto King valesse e non potevo sopportare che gente ignorante lo liquidasse con una smorfia.

Vabbè, parliamo del libro va', che se no mi sale la bile di nuovo.

The Shawshank Redemption
La storia di un'ingiustizia, di un'amicizia e di una libertà guadagnata.
Cosa c'è di bello nel racconto di un'evasione? Forse il raggiro dell'ingiustizia giudiziaria. Forse l'intelligenza che vince sull'oppressione. Diciamocelo, se avessimo incontrato Andy Dufresne a un party ci saremmo tenuti lontani il più possibile da lui: troppo freddo, troppo rigido, troppo esternamente noioso. Ma King ci mette in guardia contro l'apparenza. Non è sufficiente per accusare un uomo di omicidio. In America capitano casi di errore giudiziario e spesso non si può porre rimedio perché lo si capisce troppo tardi. Da qui, lo zio ha tirato fuori un personaggio che oserei definire leggendario, un uomo freddo e calcolatore persino quando la sua stessa vita è in gioco, un uomo che ha capito bene che nella situazione in cui si trova perdere il controllo non ha senso. Forse Andy è l'essere umano più somigliante a un robot di cui abbia mai letto, però quando ho finito il libro (per la millesima volta) come sempre ne ho dubitato. Perché? Non so rispondere alla domanda in maniera diretta, ma credo sia la sua "specie di amicizia" con Red che fa crollare il pregiudizio. Red è l'unico (forse l'unico al modo) che in carcere riesce ad andare oltre l'apparenza di Andy, fino a conoscerlo un poco, fino quasi a diventargli amico. Intuisce che Andy ha un carattere particolare ma che questo è solo il guscio esterno, c'è tutto un mondo da esplorare, dentro. E quando trovano il buco nella sua cella, un buco che ha richiesto diciannove pazienti anni per essere completato, Red ne è certo. Andy è molto di più di quello che sembra. Ed è felice di poterlo ritrovare, felice di avere una seppur flebile traccia che può condurlo a quell'uomo furbo e intelligente.
Trovo molto commovente il fatto che Andy si sia fidato di Red al punto da rivelargli il suo segreto, ma questo la dice lunga sul suo vero carattere. E la dice lunga anche la lettera che non ha dimenticato di lasciargli, unitamente ai soldi per attraversare la frontiera, che dimostrano una fiducia ancora più sconfinata. E' questo che mi fa dubitare (o devo dire "che mi convince del tutto"?) che Andy in realtà sia una persona buona, affettuosa e soprattutto bisognosa di calore umano.
Per tutto il libro facciamo il tifo per lui e per fortuna non restiamo delusi.
L'unico confronto che mi viene da fare è con Il miglio verde, altro capolavoro del Re. In quest'ultimo, le guardie carcerarie (a parte Percy, ma lasciamolo stare l'idiota) sono persone più che umane, mentre tutte le guardie dello Shank sono dei bastardi sadici e corrotti e la differenza nella gestione delle due prigioni è tangibile. E' vero che il Miglio è il braccio della morte, ma penso che anche in una prigione di massima sicurezza si debbano unire una certa rigidità di polso a un'umanità di base.
La storia di Andy però non è una storia di Redenzione vera e propria (come invece in parte è Il miglio verde), è la storia di un uomo che pezzetto dopo pezzetto si riprende la sua vita, una vita che gli era stata tolta senza un vero motivo.

The body
Forse la novella più famosa del libro e forse la più famosa di King, soprattutto grazie al bel film degli anni '80. Una storia di amicizia e di crescita, quattro ragazzi che senza neppure accorgersene passano dall'infanzia all'età pre-adulta nel giro di due giorni. E King dà sempre il meglio di sé quando ci racconta di ragazzi che crescono, ci mette un'attenzione, una passione, un amore, particolari.
Quattro amici decidono di andare a vedere il cadavere di un coetaneo morto pochi giorni prima e ancora non trovato dalle autorità. Due giorni di cammino, una notte fuori nei boschi e poi l'incontro. L'impatto visivo scioccante di un cadavere della loro età.
Nel frattempo i ragazzi chiacchierano, scherzano, raccontano storie. Non lo sanno ma stanno crescendo, stanno entrando nel mondo degli adulti da una porta laterale, poco o niente usata da altri, nascosta. Forse anche pericolosa. E infatti non tutti ce la faranno.
Una volta tornati a casa, dopo quell'avventura di inizio autunno, i quattro non sono più gli stessi e le loro vite si sono in un certo senso divise, in un punto impreciso di quei giorni. Teddy e Vern si metteranno sulla strada che altri avevano già deciso per loro, senza preoccuparsi di dove li avrebbero portati. Gordie stesso, il narratore, il classico bravo ragazzo, va al college e finisce per insegnare. Colui che davvero cerca di cambiare la sua vita, Chris, è il più beffato: ce l'ha quasi fatta, quando viene ucciso senza motivo.
Sarà che la prima volta che ho letto questo libro ero appena quindicenne, sarà che avventure così uno le sogna fin da piccolo, ho amato questa fiaba (perché tale la vedrò sempre), fin nei minimi particolari, le chiacchiere senza capo né coda dei ragazzi, le foglie che brillano al sole, i rumori notturni della foresta, la disavventura con le sanguisughe. Persino il ritrovamento del cadavere è emblematico, ci mette davanti alla morte, che può prendere chiunque, a qualsiasi età, anche alla nostra, anche noi. Nessuno è immune. Nonostante la novella sia pervasa dal fantasma della morte, non è una storia triste (almeno fino alle ultime due pagine), è magica, come sospesa nel tempo. E sospeso è anche il giudizio: giusto o sbagliato, buono o cattivo, non importano più molto.

The apt pupil
Todd Bowden è un ragazzo sveglio. Il prototipo del ragazzo americano di buona famiglia con tutte le strade spianate avanti a sé. E' intelligente, bello (a tredici anni si capisce già), carismatico.
Ma non tutto quello che si vede in superficie è il riflesso quello che c'è sotto.
Todd ha un pallino: la soluzione finale applicata agli ebrei dai nazisti. E un giorno ne incontra uno che vive sotto falso nome, nascondendosi da tutti.
Dal giorno in cui bussa alla sua porta tutto cambia, tutto quello che poteva essere non esiste più e Todd si ritrova invischiato in una morbosa spirale di violenza e sangue che lo porterà alla pazzia.
La novella è inquietante non tanto per l'argomento trattato e per gli accenni alle mostruosità commesse dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, quanto perché è come uno specchio: non è una cosa così inverosimile da non poter mai accadere. O meglio, forse è inverosimile trovare un criminale nazista nascosto in America (gli anni passano per tutti...), ma che una persona possa "appassionarsi" alla politica di Hitler è perfettamente nell'ambito del possibile. Magari non un ragazzino di tredici anni, ma uno più grande perché no. E non è così inverosimile che qualcosa di malato scatti nel suo cervello e inizi a comportarsi come Todd. E' la perfetta verosimiglianza di questa novella a renderla così disturbante, ancora più di Pet sematary, a mio avviso.
Vite vanno a rotoli per molto meno.

The breathing method
Di solito questa è la novella più sottovalutata del libro. A me invece piace molto. Ha elementi horror nel vero senso della parola rispetto agli altri e sembra che non c'entri niente. E quando mi si dice così io di solito rispondo: "Perché, cosa c'entrano un'evasione, un mitomane filonazista e un'avventura pre-adolescenziale?". Sembra l'inizio di una barzelletta scadente.
L'ultima novella parla di una ragazza nubile che viene messa incinta e che muore la notte in cui partorisce, anzi, proprio mentre partorisce. Questa storia viene raccontata da un anziano ginecologo in un club abbastanza esclusivo, in presenza degli altri membri (a volerli chiamare così).
La storia è macabra nel finale, in cui il corpo decapitato della ragazza riesce comunque a espellere il bambino, ma la cosa che a me piace più di tutte è il luogo in cui si svolge l'azione: un club apparentemente normale, di vecchi signori con sigaro e brandy, gestito da un uomo che sembra senza tempo in perfetto stile inglese. Ma il club di normale non ha nulla. E' come se non potesse esistere, con i mobili di una marca inesistente, scaffali di libri di autori mai esistiti e case editrici impossibili. Persino il vecchio Stevens, il gestore o qualsiasi cosa sia, sembra non poter esistere o essere sempre esistito. La sede stessa del club sembra scomparire ogni volta che l'ultimo ospite è andato via. Cosa mai ci sarà lì dentro, in quelle stanze in cui nessuno va mai, dove si sentono rumori strani, dove forse qualcuno si è perso e da cui non è più tornato? E se scompare, dove va? E come fa a tornare?
Non è affascinante un posto così? Ma non bisogna chiedere nulla. Possiamo solo godere della sua presenza.

Di solito consiglio questo libro a coloro che mi dicono che non hanno mai letto King perché non sono interessati al genere horror. Credo sia un ottimo esempio di narrativa, senza essere per forza classificato rigidamente. E di solito le persone di cui sopra mi ringraziano, perché hanno scoperto un bel libro. E hanno scoperto che King non scrive solo horror, nonostante sia il genere che l'ha reso famoso.
Quindi se non l'avete ancora letto fatelo, perché è un piccolo gioiello che vi darà emozioni da vendere, alcune piacevoli, altre meno. Ne vale assolutamente la pena.

Anarchic Rain

venerdì 9 giugno 2017

Cosa faresti se potessi giocare la Morte?

TITOLO: Pet Sematary
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Sperling&Kupfer
PAGINE: 417
VERSIONE LETTA: cartacea e kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9

Quello che ottieni a qualsiasi costo è tuo, e quello che è tuo prima o poi torna da te.




Parlare di King per me è sempre un piacere, specie quando posso farlo raccontando uno dei libri della mia top 5.
Non vi fate ingannare da tutti gli zombie moderni. Pet è speciale.
Come quasi sempre, il libro inizia bene, con una famiglia felice, in una nuova casa, con tutte le possibilità del mondo davanti.
Louis Creed è un medico appena assunto all'università, Rachel è una casalinga, Ellie è la seienne più adorabile del mondo e Gage è un fagottino di delizia. E poi c'è Winston Churchill, Church, il loro gatto adorato, un pelosone giocherellone.
Appena arrivano nella casa nuova, li aspetta una coppia di anziani che più fantastici non si può, pronti a far loro da genitori (visto che con quelli naturali gli è andata male parecchio), specialmente Jud, un ottantenne con la verve di un sessantenne.

È qui che esplode la tragedia.
Ed è qui che entra in scena King, il pittore di anime.

Partiamo con le domande. Cosa faresti se un tuo caro morisse all'improvviso, troppo presto? Le reazioni sarebbero le più disparate, dipendendo dal carattere della persona coinvolta, ma la maggior parte comunque andrebbe sull'autostrada della disperazione.
Qui entra in gioco il primo lampo genio di King: se ne avessi la possibilità, riporteresti in vita il suddetto caro, a qualsiasi condizione? Anche qui, andando per probabilità, la maggior parte di noi probabilmente non lo farebbe, per paura o per religione o per altro. Ma qualcuno invece scommetto che ci proverebbe.
E qui parte il secondo lampo di genio (superiore al primo) del Re: se ti rendessi conto che quella che è tornata indietro non è la persona che ricordavi, saresti disposto a rimediare al tuo errore di giudizio?
In questo romanzo ci sono entrambi i tipi di persone: Jud, che da ragazzino riportò indietro il suo cane grazie al cimitero Micmac, imparò la lezione quando scoprì l'effetto che aveva su persone morte da troppo tempo (qualche giorno) e quando morì sua moglie non ci pensò proprio a tentare l'impossibile. Louis, invece, non avendo sperimentato di persona quell'orrore, non si era mai potuto rendere conto della devastazione che avrebbe causato e tentò l'esperimento prima con il suo gatto, poi con suo figlio. In ultimo con sua moglie.
Purtroppo, in entrambi i casi, ciò che torna non è più quello che era e la sua vita tranquilla subisce un'inversione a 360°.

Ancora una volta siamo al cospetto di un libro-gioiello, che scava nelle profondità dell'animo umano, riuscendo a trasportarci in un tranquillo paese universitario del Maine, nella vita di un medico bravo ma non ambizioso e in quella di tutta la sua famiglia. Quando Church viene investito (fatalità?) soffriamo perché sappiamo che la piccola Ellie ne sarà distrutta e quando Louis tenta l'esperimento avvertiamo il sentore di tragedia, così come lui avverte il puzzo di putrefazione del gatto ritornato.
Quando muore la moglie di Jud ci chiediamo se lui tenterà di riportarla con sé e forse tiriamo un sospiro di sollievo e uno di delusione quando non lo fa.
Ma Louis non è Jud e la morte di Gage lo sconvolge così tanto che tenta l'impossibile. Ed è con un brivido che leggiamo di quella notte passata a scavare nel cimitero Micmac, con i fantasmi che gli turbinano intorno e dentro.
Gage non è più lo stesso e quando la seconda tragedia esplode, pensiamo che ormai Louis ha imparato la lezione. E invece no. C'è quel "se" che è come un tarlo nella sua mente: e se per il suo bambino fosse passato troppo tempo? Forse sua moglie appena morta si risveglierebbe in altre condizioni...forse non tutto ciò che torna è marcio dentro... "E se ci provassi?".
E Louis ci prova di nuovo.
Ma il romanzo si interrompe lì, non sappiamo cosa sia successo subito dopo quelle parole piene di terra.

Il finale lasciato in sospeso è uno dei miei preferiti di sempre. E per una volta non immagino il disastro. Secondo me Louis ci ha visto giusto e col tempo riusciranno ad adattarsi a vivere insieme.
Mi chiedo solo cosa ne pensi Ellie, una bimba intelligente per i suoi sei anni, come tutti i bambini di King.

Anche in questo libro c'è tutto King: il Maine, l'infanzia, il terrore, l'amicizia e l'amore.
Il tutto è soffuso in una luce piuttosto disturbante, perché per tutto il tempo, anche se ti dispiace tantissimo per Louis che in fondo è una bravissima persona, ti rendi conto che le sue scelte sono sbagliate e che se non si ferma succederà qualcosa di orribile. Ma lui non si ferma e qualcosa di orribile succede, ma lui ancora non si ferma. Per questo spero tanto che la mia interpretazione sia quella giusta, che alla fine sia riuscito a farcela. Ma non ne sono sicura al 100%.

Leggete questo libro, anche se non mi sento di consigliarlo a persone troppo sensibili o impressionabili. Non è un libro per tutti, è macabro e colpisce dove fa in genere molto male.
Però è superbamente scritto e penso ne valga la pena.

Come sempre, grazie-sai King, per le tue storie e anche per come le racconti.

Anarchic Rain