lunedì 2 novembre 2015

Cronache marziane di Ray Bradbury

Un genio. Come si potrebbe definire altrimenti quest'uomo che ha creato mondi lontani in modo così realistico, da farti alzare la testa al cielo e credere di vedere qualcosa muoversi lassù?
Mea grandissima culpa, non ho mai letto Asimov, non ancora, quindi non posso fare paragoni con il padre della fantascienza, ma leggere Bradbury è come guardare uno strano album di fotografie.

Tutti i capitoli che compongono il libro sono superbi, ma due in particolare mi hanno toccato corde interne. Ylla, per la sua dolcezza espressiva, come di una musica di sottofondo, che senti in continuazione ma non dà mai fastidio. Povera Ylla, se il capitano York fosse sopravvissuto magari le cose sarebbero andate diversamente.
Usher II ovviamente non poteva non coinvolgermi totalmente, omaggio com'è al grande Poe. Un mini-racconto davvero suggestivo, con mille riferimenti al grande scrittore americano, molto semplice nella sua struttura ma pieno di citazioni che chi non ha letto Poe non può naturalmente cogliere e di conseguenza può trovarsi spaesato, quasi deluso anche, dal racconto stesso. In Bradbury i personaggi di Poe hanno nuova vita.

Così come hanno vita anche quelli inventati da zero dallo stesso Bradbury. Ylla a parte, ci sono le tre spedizioni terrestri su Marte, i fantasmi dei marziani stessi che aiutano o ostacolano i colonizzatori.

Ma soprattutto le Cronache mi sembrano una critica aspra e profonda al genere umano, che per sua natura non costruisce ma distrugge ciò che trova, illudendosi di migliorarlo. Triste alla fine, il messaggio di questo libro, mi è sembrato piuttosto senza speranza: l'uomo ha distrutto la terra, ha trovato per sua immensa fortuna un altro posto dove stare e cosa fa? Distrugge anche quello. A poco a poco, inesorabilmente.

Oggi come oggi è davvero inevitabile fare il paragone col disastro ecologico a cui stiamo assistendo sul nostro pianeta e davvero viene da chiedersi se, un giorno, più o meno lontano, saremo davvero così sciocchi e vani da mandare all'aria una seconda possibilità. Distruggere un secondo pianeta. Una nuova speranza.
Bradbury sembra non avere dubbi su questo, sul fatto che la cupidigia e la stupidità (in definitiva solo di stupidità si tratta) ci porterebbero alla rovina in ogni caso, in ogni pianeta, dopo ogni infinita possibilità che ci fosse regalata.
E forse a pensarci bene ha persino ragione. In fondo l'uomo ha dato prova di non saper fare altro che distruggere --> lamentarsi del fatto che le cose si distruggono --> tentare di aggiustarle quando ormai è troppo tardi --> maledire qualsiasi cosa non sia se stesso per non aver potuto rimediare.
Mi sembra un circolo vizioso dal quale non si riesce ad uscire.

Anarchic Rain

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