giovedì 4 marzo 2021

Quando l'unica cosa di cui essere grati è essere riuscita a finire il libro...

TITOLO: Grazie per il fuoco 
AUTORE: Mario Benedetti 
EDIZIONE: La Nuova Frontiera 
PAGINE: 263 
VERSIONE LETTA: cartacea 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 5--
Premessa doverosa: a me gli scrittori sudamericani non piacciono e questa è una verità che devo per forza, universalmente, riconoscere. Saranno bravi, saranno geni, ma per me sono noiosi da morire e quello che devono dire lo dicono anche altri e pure meglio.

Detto questo, non sia mai che non ci provi almeno una volta. O anche più di una. Perché io c'ho provato, e manco poco: ho tentato innumerevoli volte di leggere Marquez e la Allende, per esempio, partendo dai loro capolavori riconosciuti, passando per quasi tutti gli altri loro libri...ebbene, non ne ho concluso uno, perché santocielo che pa**e! Però io sono cocciuta, non demordo e, ascoltando il consiglio del mio libraio preferito, ho comprato questo libro. E l'ho letto. Dalla prima all'ultima pagina.
Mi ci sono impegnata tantissimo e sono giunta a questa conclusione: gli scrittori sudamericani non fanno per me. Ora veniamo al romanzo. Ci sono punti positivi, punti molto positivi e molti, troppi punti negativi.

La storia: positivo. Un uomo medio, Ramon, è succube (lui e l'intera nazione, a quanto pare) di un padre despota, fascista e insensibile. Mettiti in fila, caro. Ma è comunque una storia universale. Per liberarsi dal suo giogo, decide (o almeno sembra decidere) di ucciderlo. Ovviamente nel mezzo c'è tutta una vita (o molte vite), tra flashback, sogni e speranze (tutte infrante).

La scrittura: molto positivo. Se sono riuscita ad arrivare alla fine è perché la scrittura comunque prende, è scorrevole ma non semplice, ci sono periodi complessi e quasi stream of consciousness, ma sempre comprensibili e mai troppo surreali. Alcune descrizioni sono davvero toccanti e i dialoghi tra Ramon ed Edmundo (suo padre) così realistici e ben costruiti che li ho riletti parecchie volte, solo per apprezzarli nella loro vera interezza.

Poi, ahi ahi, arriviamo alle note dolenti: i personaggi femminili. Non pervenuti. E' vero che noi leggiamo la storia dal punto di vista di Ramon (tranne l'ultimo capitolo e uno nel mezzo), ma possibile che la moglie sia capace solo di prendere corna e la moglie del fratello di trovare Ramon irresistibile?! Ma dove?! Il discorso che le fa lui per convincerla ad andare a letto insieme è ridicolo (come poi ci riesca davvero rimane un mistero della fede, io fossi stata in Dolores l'avrei mandato all'inferno in tre nanosecondi). Capisco che è un libro ambientato nei primi anni '60 e scritto nel 1965, ma mi disturba parecchio la visione del femminile che ne fa Benedetti (pur attraverso un pusillanime come Ramon). 

Tralasciando le donne, veniamo alla trama: forse sto per dire l'eresia delle eresie, ma a me sto libro ha ricordato troppo Rebecca di Daphne Du Maurier. Ramon vuole ammazzare il padre perché questi l'ha messo di fronte a se stesso e ai suoi difetti, alle sue ipocrisie. Non difetti ed ipocrisie gravi, ovviamente, ma quando qualcuno punta il dito su quel particolare che ci dà più fastidio, tutto si ingigantisce. Ebbene, Ramon non sopporta di essere deriso dal padre e, incapace di difendersi a parole o semplicemente di distaccarsi mentalmente da questa figura ingombrante, decide non solo di ucciderlo, ma addirittura di farlo in nome di suo figlio se non del suo Paese. Sì, vabbè, è arrivato mister De Winter dei poveri. L'onore di Manderley non può essere infangato da una donna di facili costumi, nè da un divorzio, meglio un uxoricidio impunito. Riecco che mi sale il crimine.

Le uniche cose sensate del romanzo, paradossalmente, le dice proprio il mostro da uccidere, Edmundo. Quando dice al nipote che è abbastanza ridicolo con le sue idee rivoluzionarie perché "voi credete che la rivoluzione sia andare in giro senza cravatta": frase di un'attualità assurda, in un mondo in cui tutti cercano di essere diversi senza capire che anche questa è omologazione. Oppure quando si confessa a Gloria, dicendo "da ragazzo pensavo di voler sapere dove si trovava il fondo di questo paese, perché solo sapendo dove c'è il fondo vero ci si può appoggiare": ma il fondo non esiste perché troppo forte è l'avidità umana (che lui ovviamente ha continuato a sfruttare e continuerà forse negli anni a venire).

La disanima che fa del figlio è impietosa eppure è l'unico ad averci visto giusto su di lui. Indovina persino l'idea di assassinarlo e anche che non la metterà in pratica, nonostante quasi ci speri. Perché? Perché Ramon secondo lui è una grande occasione mancata, una persona intelligente che non ha sfruttato le sue doti. Ramon stesso non è poi così diverso da suo padre quanto crede. Ama il denaro quanto lui, l'unica differenza è che lui non si vuole "trasformare in un latifondista o speculare in Borsa". Ah beh, allora.
Purtroppo anche Edmundo scade nel patetismo alla fine, dicendo che il Paese va in malora perché nessuno tira fuori le pa**e per ucciderlo, che persino suo figlio ha preferito suicidarsi per non macchiarsi di parricidio e affrontarne le conseguenze: "se muoio tranquillamente [...] vorrà dire che questo paese è fregato". Se lo dici tu.
A me questi personaggi sbruffoni, che si arrogano il diritto di fare il bello e il cattivo tempo e che pensano di essere il bandolo della matassa delle vite di tutti, mi stanno proprio sul groppone, mi piacerebbe dargli una scrollata e dirgli di ridimensionare il loro ego spropositato.
Ho letto la postfazione e ho capito cosa a grandi linee voleva fare Benedetti con questo romanzo, ma onestamente il risultato non mi è piaciuto, soprattutto ho detestato ogni singolo personaggio, forse Gloria un po' di meno degli altri, ma nemmeno troppo. Il titolo poi mi sembra una presa in giro (forse voleva davvero esserlo), perché di fuoco c'è poco o niente, al massimo un po' di cenere bagnata dalla pioggia. Tanto fumo, quello sì, ma niente arrosto. Quindi per me è no, grazie di nulla.

Anarchic Rain