Dopo un primo tentativo fallito in secondo superiore, ho tentato di nuovo e stavolta ho vinto io!
Sapevo già la storia narrata, a grandi linee, e mi ha sempre fatto pensare a tre grandi romanzi, molto diversi fra loro: Ritratto di Signora di James, L'esclusa di Pirandello (ovviamente) e Emma della Austen. Flaubert certo non poteva conoscere i primi due (successivi cronologicamente) e probabilmente nemmeno il terzo, sebbene lo preceda di quasi 40 anni.
Chi è Emma Bovary?
Una giovane viziata? Sfortunata? Una donna del suo tempo?
La prosa di Flaubert è dettagliata, bellissima e non tralascia niente e nessuno: il paese (prima Tostes e poi Yonville), gli interni delle case, i personaggi, tutti splendidamente dipinti. Emma entra in scena in sordina, dopo qualche pagina e di lei veniamo a sapere subito che è una persona un po' frivola. Man mano che la narrazione va avanti, Emma non solo risulta frivola, ma si spinge addirittura oltre, una donnetta vana e piena di idee. Idee prese un po' dai libri, un po' partorite dalla sua immaginazione, ma distorte e basate sul nulla. Insomma, mi è sembrata la classica bimbamin*hia dei giorni nostri, che legge Tuailait e vuole farsi mordere dal vampiro sbrilluccicoso. Sì, l'ho trovata abbastanza antipatica ma, cosa peggiore, l'ho trovata anche stupida. Cosa che invece non mi è successo con Emma Woodhouse, anzi: è vero che lei è bella e ricca e abita in un villaggio molto simile a Yonville, ma la deliziosa Jane Austen ci fa sapere che è anche intelligente. Ed è questo che la salva. Ed è la mancanza di intelligenza che condanna Emma Bovary.
Forse era proprio questo ciò che l'autore voleva.
Parliamo dei suoi amanti. Il primo in senso biblico, Rodolphe, l'ha usata per un po' e poi l'ha abbandonata senza se e senza ma. Il secondo (ma il primo in senso platonico) sarebbe stato buono se l'avesse preso subito, ma quando si decide secondo me è troppo tardi. Però devo ammettere che il giro in carrozza con l'elenco di tutte le vie, quasi fosse una preghiera, mi ha fatto davvero ridere (posso capire perché i benpensanti di allora si fossero scandalizzati: solo il pensiero di quella voce "infuriata" -o "affannata", "imperiosa"?- che urlava "Vada avanti!" per permettere ai due amanti di consumare doveva essere davvero troppo per l'epoca!). Insomma l'unico uomo che l'abbia veramente amata, nonostante la conosca a malapena e l'abbia troppo idealizzata, è quel poveraccio del marito, ma ovviamente è l'unico che lei non degna di uno sguardo.
Il suicidio finale poi. Mamma mia, mi sembra di sparare sulla croce rossa, ma comunque non posso non considerarlo come l'atto finale (piuttosto in linea con il carattere del personaggio, se non altro) più pusillanime che esista. Non posso non fare paragoni con il finale di Ritratto di Signora, in cui lo stesso non è presente la protagonista, ma per tutt'altro motivo: Isabel non cerca di fuggire con disonore dalla situazione che lei stessa si è creata, non cerca soluzioni da dramma, accetta quello che è diventata la sua vita e se ne assume la responsabilità. Emma Bovary non ha idea di cosa sia una responsabilità. Non dico verso suo marito (ci sta che ami un altro di più), ma verso sua figlia.
Purtroppo l'ovvio anacronismo della scrittura (i riferimenti al sesso sono nascosti con quelli alla natura, vedi "le foglie frementi" e compagnia) e della storia (oggi una ragazza non deve sposarsi per forza, non ha le limitazioni che aveva all'epoca) fa sì che questo romanzo sia "invecchiato male".
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se siete appassionati di classici, non potete esimervi, altrimenti lasciate stare e passate ad altro.
Anarchic Rain
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