È il lato oscuro. Più civilizzati diventiamo in superficie, più le altre forze trovano pretesti. [...] La gente sente che sta morendo in un brutto ambiente [...] Cantiamo, balliamo, intoniamo le nostre cantilene, facciamo musica per curare questa malattia, per riportare armonia nel mondo.
È la prima volta che leggo una biografia del Re Lucertola. Non avevo idea di quello che sarebbe successo.
Durante la lettura di quelle pagine, che raccontano una vita molto più affascinante di una qualsiasi storia inventata, mi sono ritrovata catapultata agli anni del liceo, quando in un momento di ribellione (più interiore che dichiarata, in realtà) comprai il mio primo cd dei Doors, il loro primo album.
Avevo sentito parlare di loro, naturalmente, del loro carismatico leader, Jim Morrison, le sue frasi doverosamente già scritte sui miei diari di scuola, come assiomi inconfutabili di un guru evanescente.
L'amore che provai per quelle canzoni è stato immediato, come solo un'adolescente può fare. Anche se non mi descrivevano e non rispecchiavano la mia vita esteriore (ero una ragazzina timida, che non parlava molto, col naso sempre nei libri), le sentivo dentro, mi rimbombavano nella mente e anche nelle vene, per quanto le ascoltassi non me ne riuscivo a stancare.
Ho comprato questo libro anni fa, decidendomi a leggerlo solo ora.
Ho provato lo stesso colpo al cuore che provavo allora.
Questa biografia fa il suo porco lavoro. Fa quello che ogni biografia dovrebbe fare. Fa venire voglia non solo di andare di corsa a comprare tutti gli album dei Doors, ma anche di costruire una macchina del tempo e andare da Jim Morrison per farci quattro chiacchiere. Sono sicura che l'autore sia un grande fan di Jim, perché questo libro è ispirato e appassionato.
Forse non è completamente obiettivo nei confronti di quel ragazzo che non era solo uno scapestrato. Ma riassume in quasi seicento pagine non solo una vita, ma un'epoca intera.
Il "mito" americano del "sex, drugs and rock and roll" è spiegato in questo libro nei minimi dettagli. Non veniamo solo a sapere di Jim, Pamela, Ray, John, Robbie, Jac, Babe e tutti quelli dell'entourage di Jim, delle sue amichette, delle groupies, delle sue conquiste (Nico per esempio) e della sua presunta omosessualità. Ci addentriamo nel mondo dello show-business di quell'epoca sconclusionata, un mondo fatto perlopiù di gente fumata o bevuta o peggio, che non cercava di "proteggere" in qualche modo i suoi artisti, anzi, quasi li incoraggiava a "viaggiare" pensando di poterli sfruttare di più. Non che Jim Morrison si sarebbe fatto fermare da uno qualsiasi di loro, il ritratto che ne esce è quello di un ragazzo estremamente intelligente e cocciuto, ma sicuramente le cose avrebbero potuto essere diverse.
Una figura quasi totalmente negativa (che non mi aspettavo) è quella di Pamela Courson, la leggendaria fidanzata di Jim, che probabilmente fu responsabile (o almeno complice) della distruzione di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi. Ma Jim la amava davvero, almeno da quello che risulta da queste pagine...la amava di un amore tenero e violento, che alternava fasi di tranquillità a fasi isteriche. Un amore consumante, a dir poco. Forse da adolescente lo avrei apprezzato. Oggi no.
A parte l'immensa cultura di Jim e la sua energia e le sue inquietudini, una cosa che mi ha fatto sorridere è che il suo poeta preferito è anche il mio. Arthur Rimbaud. Quando avevo 16 anni, ho passato giorni interi a cercare di capire il suo "ragionato disordine di tutti i sensi". Jim non solo l'ha capito: l'ha messo in pratica come io non avrei potuto fare mai. Anche solo per questo potrei venerarlo.
Anarchic Rain
PS: c'erano i bagarini anche nel 1968 -.-
mercoledì 31 agosto 2016
sabato 27 agosto 2016
Doctor Sleep di Stephen King
Posso proprio dire che queste sono state le Olimpiadi dello zio!
Ne sono felice.
E sono felice che DS non sia la sonora schifezza che mi ero immaginata, quando uscì con l'immancabile etichetta di "sequel" di Shining. Come se lo zio al momento avesse bisogno di etichette.
E comunque mi sono accorta che non è nemmeno un seguito vero e proprio.
Come ci tiene a dire lo stesso King nella sua postfazione, DS è soltanto una sbirciatina a quello che è successo al piccolo Danny e alla sua luccicanza una volta adulto. E a Tony, ovviamente.
Insomma una storia che con Shining non c'entra molto, se non di striscio. Chiude un cerchio, ecco.
Cose che mi sono piaciute del libro: Dan (il vecchio Danny Torrance), perché è simpatico e tenero e perché riesce a rialzarsi anche quando sembra non avere più un briciolo di fiducia in se stesso; Abra (lei sarebbe la prima della classifica), perché King sa esattamente (ma va'?) come descriverci i turbamenti di una ragazzina che ha un grande potere (da piccola è come un gioco, poi man mano che cresce lo sente pericoloso, ma soprattutto come una vergogna, da nascondere, finché almeno non incontra Tony -e Dan- un altro come lei); l'atmosfera generale (mi piace lo zio quando scrive romanzi di crescita, per carità non come IT o The body, ci mancherebbe, ma si è impegnato con i due protagonisti di DS, e chiudere i conti con il passato non è mai facile né indolore); l'Overlook o quello che ne rimane (il piccolo Danny è scappato da quel posto quando aveva 5 anni, ora che ne ha quasi quaranta, cosa farà?).
Cose che mi hanno lasciata un po' perplessa: il Vero Nodo. Posso anche ammettere che il potere di Abra è talmente forte che nemmeno loro (che sono vecchi di centinaia di anni) ne abbiano mai affrontato uno simile e quindi lo sottovalutino e quindi ne paghino tutte le conseguenze, ma mi sono sembrati un po' ridicoli e caricaturali. Anche la malvagità di Rose (nonostante in un paio di occasioni io sia saltata dal divano) mi è sembrata tutta fuffa. O forse lei è stata troppo presuntuosa, nonostante ci fossero molti segni ad indicarle che con Abra era meglio non scherzare.
Altra cosa che più che lasciarmi perplessa mi ha fatto storcere il naso è quando King, per farci capire che la ragazzina, a parte il dono, è esattamente come tutte le ragazzine di tredici anni del mondo, le appioppa dei gusti musicali e letterari da bimbaminchia (non mi viene un altro termine): va pazza per le boyband del momento (arrivando a scrivere i loro nomi centinaia di volte su un foglio) e per...ehm...Tuailait. Ecco, capisco che non sarebbe stato verosimile se avesse preferito Jeff Buckley o Janis Joplin, oppure Mary Shelley o Anne Rice, ma tra la m*rda e la cioccolata, ci sono altre gradazioni, no? O magari è stato il senso dell'umorismo di King (che stavolta mi è sfuggito)...
La piccola Abra mi ha ricordato subito qualcuno, ma non capivo chi. Poi, l'illuminazione: Kira di Mucchio d'ossa. A quel punto, potevo non amarla? No, ovviamente. E mentre Kira la conosciamo solo da piccola, vediamo Abra crescere negli anni più difficili, l'adolescenza, quel mostro a 75 denti che sembra non volerti mai più lasciar andare. E invece poi succede.
Leggetelo, ma non senza aver letto Shining: vi perdereste un mucchio di riferimenti e poi un libro del genere a cosa serve se non a farti venire la nostalgia?
Anarchic Rain
Ne sono felice.
E sono felice che DS non sia la sonora schifezza che mi ero immaginata, quando uscì con l'immancabile etichetta di "sequel" di Shining. Come se lo zio al momento avesse bisogno di etichette.
E comunque mi sono accorta che non è nemmeno un seguito vero e proprio.
Come ci tiene a dire lo stesso King nella sua postfazione, DS è soltanto una sbirciatina a quello che è successo al piccolo Danny e alla sua luccicanza una volta adulto. E a Tony, ovviamente.
Insomma una storia che con Shining non c'entra molto, se non di striscio. Chiude un cerchio, ecco.
Cose che mi sono piaciute del libro: Dan (il vecchio Danny Torrance), perché è simpatico e tenero e perché riesce a rialzarsi anche quando sembra non avere più un briciolo di fiducia in se stesso; Abra (lei sarebbe la prima della classifica), perché King sa esattamente (ma va'?) come descriverci i turbamenti di una ragazzina che ha un grande potere (da piccola è come un gioco, poi man mano che cresce lo sente pericoloso, ma soprattutto come una vergogna, da nascondere, finché almeno non incontra Tony -e Dan- un altro come lei); l'atmosfera generale (mi piace lo zio quando scrive romanzi di crescita, per carità non come IT o The body, ci mancherebbe, ma si è impegnato con i due protagonisti di DS, e chiudere i conti con il passato non è mai facile né indolore); l'Overlook o quello che ne rimane (il piccolo Danny è scappato da quel posto quando aveva 5 anni, ora che ne ha quasi quaranta, cosa farà?).
Cose che mi hanno lasciata un po' perplessa: il Vero Nodo. Posso anche ammettere che il potere di Abra è talmente forte che nemmeno loro (che sono vecchi di centinaia di anni) ne abbiano mai affrontato uno simile e quindi lo sottovalutino e quindi ne paghino tutte le conseguenze, ma mi sono sembrati un po' ridicoli e caricaturali. Anche la malvagità di Rose (nonostante in un paio di occasioni io sia saltata dal divano) mi è sembrata tutta fuffa. O forse lei è stata troppo presuntuosa, nonostante ci fossero molti segni ad indicarle che con Abra era meglio non scherzare.
Altra cosa che più che lasciarmi perplessa mi ha fatto storcere il naso è quando King, per farci capire che la ragazzina, a parte il dono, è esattamente come tutte le ragazzine di tredici anni del mondo, le appioppa dei gusti musicali e letterari da bimbaminchia (non mi viene un altro termine): va pazza per le boyband del momento (arrivando a scrivere i loro nomi centinaia di volte su un foglio) e per...ehm...Tuailait. Ecco, capisco che non sarebbe stato verosimile se avesse preferito Jeff Buckley o Janis Joplin, oppure Mary Shelley o Anne Rice, ma tra la m*rda e la cioccolata, ci sono altre gradazioni, no? O magari è stato il senso dell'umorismo di King (che stavolta mi è sfuggito)...
La piccola Abra mi ha ricordato subito qualcuno, ma non capivo chi. Poi, l'illuminazione: Kira di Mucchio d'ossa. A quel punto, potevo non amarla? No, ovviamente. E mentre Kira la conosciamo solo da piccola, vediamo Abra crescere negli anni più difficili, l'adolescenza, quel mostro a 75 denti che sembra non volerti mai più lasciar andare. E invece poi succede.
Leggetelo, ma non senza aver letto Shining: vi perdereste un mucchio di riferimenti e poi un libro del genere a cosa serve se non a farti venire la nostalgia?
Anarchic Rain
martedì 23 agosto 2016
La casa per bambini speciali di Miss Peregrine di Ransom Riggs
Finalmente ho letto questo libro così chiacchierato, contravvenendo un po' ai miei principi (aspettare che l'onda primaria del successo passi per vedere se era tutta fuffa), ma ho una sfida in corso (olimpionica) e quello che ho a casa deve bastare...
E allora? Era tutta fuffa?
Difficilissimo rispondere a questa domanda. O meglio, per essere difficile, forse la risposta è no, altrimenti che ci vorrebbe a dire "che libro ridicolo!".
Partiamo dalle cose facili (e non sempre ovvie, specie nel panorama editoriale odierno): è scritto bene. C'ho messo circa sette ore a leggerlo da capo a piedi (non è lunghissimo, ma raggiunge il dignitosissimo numero di trecentoottantaquattro pagine, se ne togliamo una ventina per le foto, che sono la parte più interessante, comunque è un discreto numero) e devo dire che la lettura in sé è stata piacevole. Nonostante degli anacronismi intrinseci (secondo me l'età del nonno a un certo punto si confonde, da dodici anni che dovrebbe avere, se ne ritrova almeno venti, suppongo per esigenze di copione, ma è un po' incasinato questo punto, o sono io che non ho capito bene), è anche una buona storia, centrata su Jacob e sui "bambini" speciali che trova in una casa-orfanotrofio seguendo le indicazioni del nonno defunto.
Sono anche un po' curiosa di vedere ciò che Tim Burton ne ha fatto, ma non muoio di curiosità ecco.
A parte questi due punti a favore, ci sono cose che non sono proprio nelle mie corde: quello che fanno i bambini speciali è totalmente fine a se stesso, non serve a niente e a nessuno, nemmeno a loro. Sono nati così e si porteranno per sempre questa croce dietro. Inoltre, nonostante quello che si afferma nel retrocopertina, questo romanzo non è un incrocio tra Harry Potter e David Lynch (poi mi spiegate che razza di accostamenti sarebbero, eh, forse sono troppo stupida per capirlo), sembra più vicino a Labyrinth.
Le storie di maghi e simili non mi hanno mai affascinato, nonostante possa aver trovato piacevole leggere le loro storie quando scritte bene. Nemmeno da piccola, in effetti. E ripeto, questa passione per le trilogie proprio non la capisco. Non so se leggerò gli altri due, questo poteva essere carino perché novità, ma altri due così, mah. Forse gli darò il beneficio del dubbio.
Leggero sì o leggerlo no? Se avete tredici anni probabilmente vi potrebbe appassionare, se ne avete...diciamo, più di trenta...magari no.
Anarchic Rain
PS: la cosa buffa è che anche in questo libro, come nel precedente di King, ho trovato un riferimento a Jeffrey Dahmer, un serial killer americano, che in questa finzione sarebbe uno Spettro. Non è una buffa coincidenza?
E allora? Era tutta fuffa?
Difficilissimo rispondere a questa domanda. O meglio, per essere difficile, forse la risposta è no, altrimenti che ci vorrebbe a dire "che libro ridicolo!".
Partiamo dalle cose facili (e non sempre ovvie, specie nel panorama editoriale odierno): è scritto bene. C'ho messo circa sette ore a leggerlo da capo a piedi (non è lunghissimo, ma raggiunge il dignitosissimo numero di trecentoottantaquattro pagine, se ne togliamo una ventina per le foto, che sono la parte più interessante, comunque è un discreto numero) e devo dire che la lettura in sé è stata piacevole. Nonostante degli anacronismi intrinseci (secondo me l'età del nonno a un certo punto si confonde, da dodici anni che dovrebbe avere, se ne ritrova almeno venti, suppongo per esigenze di copione, ma è un po' incasinato questo punto, o sono io che non ho capito bene), è anche una buona storia, centrata su Jacob e sui "bambini" speciali che trova in una casa-orfanotrofio seguendo le indicazioni del nonno defunto.
Sono anche un po' curiosa di vedere ciò che Tim Burton ne ha fatto, ma non muoio di curiosità ecco.
A parte questi due punti a favore, ci sono cose che non sono proprio nelle mie corde: quello che fanno i bambini speciali è totalmente fine a se stesso, non serve a niente e a nessuno, nemmeno a loro. Sono nati così e si porteranno per sempre questa croce dietro. Inoltre, nonostante quello che si afferma nel retrocopertina, questo romanzo non è un incrocio tra Harry Potter e David Lynch (poi mi spiegate che razza di accostamenti sarebbero, eh, forse sono troppo stupida per capirlo), sembra più vicino a Labyrinth.
Le storie di maghi e simili non mi hanno mai affascinato, nonostante possa aver trovato piacevole leggere le loro storie quando scritte bene. Nemmeno da piccola, in effetti. E ripeto, questa passione per le trilogie proprio non la capisco. Non so se leggerò gli altri due, questo poteva essere carino perché novità, ma altri due così, mah. Forse gli darò il beneficio del dubbio.
Leggero sì o leggerlo no? Se avete tredici anni probabilmente vi potrebbe appassionare, se ne avete...diciamo, più di trenta...magari no.
Anarchic Rain
PS: la cosa buffa è che anche in questo libro, come nel precedente di King, ho trovato un riferimento a Jeffrey Dahmer, un serial killer americano, che in questa finzione sarebbe uno Spettro. Non è una buffa coincidenza?
lunedì 22 agosto 2016
Tutto è fatidico di Stephen King
Ammetto di aver iniziato questo libro con sentimenti contrastanti. Anzi, forse contrastanti è fin troppo diplomatico per quello che provavo due giorni fa: le ultime due raccolte del Re che ho letto, Il bazar dei brutti sogni e Notte buia niente stelle, mi avevano lasciato con l'amaro in bocca e il timore che provavo mentre aprivo il libro a pagina 1 dell'introduzione era poco meno che reverenziale.
C'avevo già provato con Notte buia ed era andata male, ma stavolta già al primo racconto ho fatto un salto. Di gioia. Finalmente! Ecco il Re che tutti conoscono, amano e si aspettano.
Una raccolta molto bella, molto variegata, scritta con la solita impeccabilità di King, che stavolta era ispirato come non mai. Così a caldo mi vengono in mente i riferimenti alle sue altre opere (la Torre Nera su tutti, con due racconti di cui in uno il protagonista è Roland stesso, nell'altro è Dinky Earnshaw) e i due accenni a JFK (è sempre stato il tuo pallino, eh, zio?)
Tra le cose più belle del libro ci sono anche l'introduzione generale e le mini-introduzioni che precedono ogni racconto spiegandone la genesi (a volte sono dei post-scriptum).
Grazie-sai.
Vediamo racconto per racconto questo gioiellino.
AUTOPSIA 4: si inizia con un racconto molto classico sulla morte apparente; invece della sepoltura prematura (Poe, anyone?), abbiamo un'autopsia prematura, che sta per essere eseguita su un uomo che non è morto, è solo stato morso da un serpente con un veleno paralizzante. Non so dirvi perché questo racconto è geniale, ma forse è un po' nell'insieme: è in prima persona, ha scatti di ironia inaspettata, colui che sembra solo un idiota alla fine risolve la faccenda, e poi il finale, assolutamente e deliziosamente "nero": nonostante il malcapitato si salvi, la sua vita non può riprendere a scorrere come prima e ci tiene a farci sapere che ormai è impotente a meno che la donna non indossi dei guanti di gomma! Ho troppo riso, mi sono immaginata lo zio seduto al suo computer che metteva il punto alla storia e scoppiava in una risata (un po' isterica, forse, un po' emozionata, come quando si finisce qualcosa e non era così sicuri che ce l'avremmo fatta).
L'UOMO VESTITO DI NERO: altro classicone dello zio, un ragazzino che incontra il diavolo, ne rimane paralizzato, poi affascinato e poi terrorizzato. Un incontro che non dimenticherà mai più. Mi ha ricordato molto Riding the bullet, ma più horror.
TUTTO CIO' CHE AMI TI SARA' PORTATO VIA: bellissimo! Mi è piaciuto un sacco, davvero, l'ho trovato decadente ma tenero, assolutamente reale. Un uomo come ce ne sono tanti, ma con qualcosa in più, una curiosità forse, che supera la media delle persone della sua età, un uomo che ha deciso di farla finita, che pensa che ormai la sua vita non vale niente e, attraverso una strada tortuosa (che passa attraverso molte strade d'America), che invece la ritrova e se la tiene stretta stretta. Mi ha commosso, piuttosto profondamente.
LA MORTE DI JACK HAMILTON: basato su una storia vera, quella di John Dillinger e della sua banda, negli ultimi fuochi della loro "carriera". Mi è sembrato un racconto molto personale, anche se lontano dagli standard del Re, molto sentito. E mi sono un po' immedesimata anch'io, che con una banda di "ladri" non ho mai avuto niente a che fare, per un secondo mi è persino dispiaciuto per tutti loro, per i loro sogni infranti e la loro amicizia spezzata. E perché no?
LA CAMERA DELLA MORTE: un racconto claustrofobico, in cui tutto quello che c'è si vede sotto una patina grigia e in qualche modo dura, in cui si sa che finirà male. Il punto è che lo farà, ma non per chi pensiamo noi. Al di là del modo in cui King sa raccontare le storie, questa non l'ho capita molto bene, cioè non ho capito dove volesse andare a parare, qual era il significato recondito. Rimane una storia scritta benissimo e con suspance a secchi, ma se dovessi fare una classifica di tutti e quattordici i racconti, probabilmente starebbe in ultima o penultima posizione.
LE PICCOLE SORELLE DI ELURIA: come dire...tornare nel mondo di Roland Deschain è sempre un piacere supremo, anche se la storiella delle vampire zingare e blatte inside non è proprio entusiasmante. Roland sta per arrivare nel deserto che segna l'inizio del suo cammino come noi lo conosciamo e si trova a "lottare" (se così si può dire, essendo completamente immobilizzato e drogato) contro una setta di vampire un po' sui generis, che ti curano prima di spolparti vivo e hanno un sistema gerarchico che fa acqua da tutte le parti.
TUTTO E' FATIDICO: splendido. Non solo perché è davvero scritto bene e ha una storia "forte", ma anche perché è un prequel a un episodio della Torre, ossia la guerra di Algul Siento. Il protagonista della storia è Dinky Earnshaw, lo stesso Dinky "frangitore" che insieme a Ted Brautighan e Sheemie figlio di Stanley aiutano Roland a stabilizzare uno degli ultimi due Vettori per non far crollare la Torre. Questa è la storia di come Dinky è stato assoldato da uno degli uomini bassi (bastardi!).
LA TEORIA DEGLI ANIMALI DI L.T.: messaggio della storia: non regalate mai un animale a qualcuno! Messaggio di King: fatelo, tanto le cose andranno sempre come devono andare, specie tra marito e moglie.
IL VIRUS DELLA STRADA VA A NORD: spettacolo! Questo è il vero racconto horror della raccolta. Spettrale, inquietante, da brivido! Cosa fareste se un quadro particolarmente inquietante iniziasse a vivere di vita propria e ad uccidere le persone che incontrate? Per poi arrivare da voi...
PRANZO AL GOTHAM CAFE': esilarante. Un giorno di ordinaria follia per un maitre in un caffè di Manhattan. Anche qui ci sono un paio di non-sense, ma in definitiva un racconto godibilissimo!
QUELLA SENSAZIONE CHE PUOI DIRE SOLTANTO IN FRANCESE: altra personale interpretazione dell'inferno secondo King. Diversa da tutte le altre! Inferno è ripetizione, essere costretti a rivivere il momento cruciale senza poter fare niente per cambiare le cose.
1408: finalmente ora posso vedere il film. Una stanza di albergo che è più stregata della 217 dell'Overlook Hotel. Ma davvero? Entrare per credere.
RIDING THE BULLET: un racconto che lessi nel 1999 quando uscì con il CD-ROM in allegato e che mi colpì come una bomba. Mi ha colpito con la stessa forza dopo quasi venti anni e credo che tra vent'anni mi colpirà ancora più forte. Chi sceglieresti tra te stesso e tua madre in caso un autostoppista zombie ti chiedesse chi deve morire per primo?
LA MONETA PORTAFORTUNA: io avrei concluso il libro con il racconto precedente, tipo "la botta finale", questo mi è sembrato troppo modesto (e anche molto breve) per una raccolta che ha dei piccoli capolavori. Ma tant'è, non ci possiamo fare niente, ormai. La madre che fa la cameriera e a cui viene lasciata in mancia una presunta moneta fortunata la userà o no?
Dunque! Leggere o non leggere questo libro? Leggerlo, ovviamente, e anche un paio di volte, almeno alcuni dei racconti. Non sempre ultimamente la buona scrittura del Re si associa a una buona storia, ma qui ci sono tutti gli ingredienti.
Anarchic Rain
C'avevo già provato con Notte buia ed era andata male, ma stavolta già al primo racconto ho fatto un salto. Di gioia. Finalmente! Ecco il Re che tutti conoscono, amano e si aspettano.
Una raccolta molto bella, molto variegata, scritta con la solita impeccabilità di King, che stavolta era ispirato come non mai. Così a caldo mi vengono in mente i riferimenti alle sue altre opere (la Torre Nera su tutti, con due racconti di cui in uno il protagonista è Roland stesso, nell'altro è Dinky Earnshaw) e i due accenni a JFK (è sempre stato il tuo pallino, eh, zio?)
Tra le cose più belle del libro ci sono anche l'introduzione generale e le mini-introduzioni che precedono ogni racconto spiegandone la genesi (a volte sono dei post-scriptum).
Grazie-sai.
Vediamo racconto per racconto questo gioiellino.
AUTOPSIA 4: si inizia con un racconto molto classico sulla morte apparente; invece della sepoltura prematura (Poe, anyone?), abbiamo un'autopsia prematura, che sta per essere eseguita su un uomo che non è morto, è solo stato morso da un serpente con un veleno paralizzante. Non so dirvi perché questo racconto è geniale, ma forse è un po' nell'insieme: è in prima persona, ha scatti di ironia inaspettata, colui che sembra solo un idiota alla fine risolve la faccenda, e poi il finale, assolutamente e deliziosamente "nero": nonostante il malcapitato si salvi, la sua vita non può riprendere a scorrere come prima e ci tiene a farci sapere che ormai è impotente a meno che la donna non indossi dei guanti di gomma! Ho troppo riso, mi sono immaginata lo zio seduto al suo computer che metteva il punto alla storia e scoppiava in una risata (un po' isterica, forse, un po' emozionata, come quando si finisce qualcosa e non era così sicuri che ce l'avremmo fatta).
L'UOMO VESTITO DI NERO: altro classicone dello zio, un ragazzino che incontra il diavolo, ne rimane paralizzato, poi affascinato e poi terrorizzato. Un incontro che non dimenticherà mai più. Mi ha ricordato molto Riding the bullet, ma più horror.
TUTTO CIO' CHE AMI TI SARA' PORTATO VIA: bellissimo! Mi è piaciuto un sacco, davvero, l'ho trovato decadente ma tenero, assolutamente reale. Un uomo come ce ne sono tanti, ma con qualcosa in più, una curiosità forse, che supera la media delle persone della sua età, un uomo che ha deciso di farla finita, che pensa che ormai la sua vita non vale niente e, attraverso una strada tortuosa (che passa attraverso molte strade d'America), che invece la ritrova e se la tiene stretta stretta. Mi ha commosso, piuttosto profondamente.
LA MORTE DI JACK HAMILTON: basato su una storia vera, quella di John Dillinger e della sua banda, negli ultimi fuochi della loro "carriera". Mi è sembrato un racconto molto personale, anche se lontano dagli standard del Re, molto sentito. E mi sono un po' immedesimata anch'io, che con una banda di "ladri" non ho mai avuto niente a che fare, per un secondo mi è persino dispiaciuto per tutti loro, per i loro sogni infranti e la loro amicizia spezzata. E perché no?
LA CAMERA DELLA MORTE: un racconto claustrofobico, in cui tutto quello che c'è si vede sotto una patina grigia e in qualche modo dura, in cui si sa che finirà male. Il punto è che lo farà, ma non per chi pensiamo noi. Al di là del modo in cui King sa raccontare le storie, questa non l'ho capita molto bene, cioè non ho capito dove volesse andare a parare, qual era il significato recondito. Rimane una storia scritta benissimo e con suspance a secchi, ma se dovessi fare una classifica di tutti e quattordici i racconti, probabilmente starebbe in ultima o penultima posizione.
LE PICCOLE SORELLE DI ELURIA: come dire...tornare nel mondo di Roland Deschain è sempre un piacere supremo, anche se la storiella delle vampire zingare e blatte inside non è proprio entusiasmante. Roland sta per arrivare nel deserto che segna l'inizio del suo cammino come noi lo conosciamo e si trova a "lottare" (se così si può dire, essendo completamente immobilizzato e drogato) contro una setta di vampire un po' sui generis, che ti curano prima di spolparti vivo e hanno un sistema gerarchico che fa acqua da tutte le parti.
TUTTO E' FATIDICO: splendido. Non solo perché è davvero scritto bene e ha una storia "forte", ma anche perché è un prequel a un episodio della Torre, ossia la guerra di Algul Siento. Il protagonista della storia è Dinky Earnshaw, lo stesso Dinky "frangitore" che insieme a Ted Brautighan e Sheemie figlio di Stanley aiutano Roland a stabilizzare uno degli ultimi due Vettori per non far crollare la Torre. Questa è la storia di come Dinky è stato assoldato da uno degli uomini bassi (bastardi!).
LA TEORIA DEGLI ANIMALI DI L.T.: messaggio della storia: non regalate mai un animale a qualcuno! Messaggio di King: fatelo, tanto le cose andranno sempre come devono andare, specie tra marito e moglie.
IL VIRUS DELLA STRADA VA A NORD: spettacolo! Questo è il vero racconto horror della raccolta. Spettrale, inquietante, da brivido! Cosa fareste se un quadro particolarmente inquietante iniziasse a vivere di vita propria e ad uccidere le persone che incontrate? Per poi arrivare da voi...
PRANZO AL GOTHAM CAFE': esilarante. Un giorno di ordinaria follia per un maitre in un caffè di Manhattan. Anche qui ci sono un paio di non-sense, ma in definitiva un racconto godibilissimo!
QUELLA SENSAZIONE CHE PUOI DIRE SOLTANTO IN FRANCESE: altra personale interpretazione dell'inferno secondo King. Diversa da tutte le altre! Inferno è ripetizione, essere costretti a rivivere il momento cruciale senza poter fare niente per cambiare le cose.
1408: finalmente ora posso vedere il film. Una stanza di albergo che è più stregata della 217 dell'Overlook Hotel. Ma davvero? Entrare per credere.
RIDING THE BULLET: un racconto che lessi nel 1999 quando uscì con il CD-ROM in allegato e che mi colpì come una bomba. Mi ha colpito con la stessa forza dopo quasi venti anni e credo che tra vent'anni mi colpirà ancora più forte. Chi sceglieresti tra te stesso e tua madre in caso un autostoppista zombie ti chiedesse chi deve morire per primo?
LA MONETA PORTAFORTUNA: io avrei concluso il libro con il racconto precedente, tipo "la botta finale", questo mi è sembrato troppo modesto (e anche molto breve) per una raccolta che ha dei piccoli capolavori. Ma tant'è, non ci possiamo fare niente, ormai. La madre che fa la cameriera e a cui viene lasciata in mancia una presunta moneta fortunata la userà o no?
Dunque! Leggere o non leggere questo libro? Leggerlo, ovviamente, e anche un paio di volte, almeno alcuni dei racconti. Non sempre ultimamente la buona scrittura del Re si associa a una buona storia, ma qui ci sono tutti gli ingredienti.
Anarchic Rain
sabato 20 agosto 2016
Madame Bovary di Gustave Flaubert
Dopo un primo tentativo fallito in secondo superiore, ho tentato di nuovo e stavolta ho vinto io!
Sapevo già la storia narrata, a grandi linee, e mi ha sempre fatto pensare a tre grandi romanzi, molto diversi fra loro: Ritratto di Signora di James, L'esclusa di Pirandello (ovviamente) e Emma della Austen. Flaubert certo non poteva conoscere i primi due (successivi cronologicamente) e probabilmente nemmeno il terzo, sebbene lo preceda di quasi 40 anni.
Chi è Emma Bovary?
Una giovane viziata? Sfortunata? Una donna del suo tempo?
La prosa di Flaubert è dettagliata, bellissima e non tralascia niente e nessuno: il paese (prima Tostes e poi Yonville), gli interni delle case, i personaggi, tutti splendidamente dipinti. Emma entra in scena in sordina, dopo qualche pagina e di lei veniamo a sapere subito che è una persona un po' frivola. Man mano che la narrazione va avanti, Emma non solo risulta frivola, ma si spinge addirittura oltre, una donnetta vana e piena di idee. Idee prese un po' dai libri, un po' partorite dalla sua immaginazione, ma distorte e basate sul nulla. Insomma, mi è sembrata la classica bimbamin*hia dei giorni nostri, che legge Tuailait e vuole farsi mordere dal vampiro sbrilluccicoso. Sì, l'ho trovata abbastanza antipatica ma, cosa peggiore, l'ho trovata anche stupida. Cosa che invece non mi è successo con Emma Woodhouse, anzi: è vero che lei è bella e ricca e abita in un villaggio molto simile a Yonville, ma la deliziosa Jane Austen ci fa sapere che è anche intelligente. Ed è questo che la salva. Ed è la mancanza di intelligenza che condanna Emma Bovary.
Forse era proprio questo ciò che l'autore voleva.
Parliamo dei suoi amanti. Il primo in senso biblico, Rodolphe, l'ha usata per un po' e poi l'ha abbandonata senza se e senza ma. Il secondo (ma il primo in senso platonico) sarebbe stato buono se l'avesse preso subito, ma quando si decide secondo me è troppo tardi. Però devo ammettere che il giro in carrozza con l'elenco di tutte le vie, quasi fosse una preghiera, mi ha fatto davvero ridere (posso capire perché i benpensanti di allora si fossero scandalizzati: solo il pensiero di quella voce "infuriata" -o "affannata", "imperiosa"?- che urlava "Vada avanti!" per permettere ai due amanti di consumare doveva essere davvero troppo per l'epoca!). Insomma l'unico uomo che l'abbia veramente amata, nonostante la conosca a malapena e l'abbia troppo idealizzata, è quel poveraccio del marito, ma ovviamente è l'unico che lei non degna di uno sguardo.
Il suicidio finale poi. Mamma mia, mi sembra di sparare sulla croce rossa, ma comunque non posso non considerarlo come l'atto finale (piuttosto in linea con il carattere del personaggio, se non altro) più pusillanime che esista. Non posso non fare paragoni con il finale di Ritratto di Signora, in cui lo stesso non è presente la protagonista, ma per tutt'altro motivo: Isabel non cerca di fuggire con disonore dalla situazione che lei stessa si è creata, non cerca soluzioni da dramma, accetta quello che è diventata la sua vita e se ne assume la responsabilità. Emma Bovary non ha idea di cosa sia una responsabilità. Non dico verso suo marito (ci sta che ami un altro di più), ma verso sua figlia.
Purtroppo l'ovvio anacronismo della scrittura (i riferimenti al sesso sono nascosti con quelli alla natura, vedi "le foglie frementi" e compagnia) e della storia (oggi una ragazza non deve sposarsi per forza, non ha le limitazioni che aveva all'epoca) fa sì che questo romanzo sia "invecchiato male".
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se siete appassionati di classici, non potete esimervi, altrimenti lasciate stare e passate ad altro.
Anarchic Rain
Sapevo già la storia narrata, a grandi linee, e mi ha sempre fatto pensare a tre grandi romanzi, molto diversi fra loro: Ritratto di Signora di James, L'esclusa di Pirandello (ovviamente) e Emma della Austen. Flaubert certo non poteva conoscere i primi due (successivi cronologicamente) e probabilmente nemmeno il terzo, sebbene lo preceda di quasi 40 anni.
Chi è Emma Bovary?
Una giovane viziata? Sfortunata? Una donna del suo tempo?
La prosa di Flaubert è dettagliata, bellissima e non tralascia niente e nessuno: il paese (prima Tostes e poi Yonville), gli interni delle case, i personaggi, tutti splendidamente dipinti. Emma entra in scena in sordina, dopo qualche pagina e di lei veniamo a sapere subito che è una persona un po' frivola. Man mano che la narrazione va avanti, Emma non solo risulta frivola, ma si spinge addirittura oltre, una donnetta vana e piena di idee. Idee prese un po' dai libri, un po' partorite dalla sua immaginazione, ma distorte e basate sul nulla. Insomma, mi è sembrata la classica bimbamin*hia dei giorni nostri, che legge Tuailait e vuole farsi mordere dal vampiro sbrilluccicoso. Sì, l'ho trovata abbastanza antipatica ma, cosa peggiore, l'ho trovata anche stupida. Cosa che invece non mi è successo con Emma Woodhouse, anzi: è vero che lei è bella e ricca e abita in un villaggio molto simile a Yonville, ma la deliziosa Jane Austen ci fa sapere che è anche intelligente. Ed è questo che la salva. Ed è la mancanza di intelligenza che condanna Emma Bovary.
Forse era proprio questo ciò che l'autore voleva.
Parliamo dei suoi amanti. Il primo in senso biblico, Rodolphe, l'ha usata per un po' e poi l'ha abbandonata senza se e senza ma. Il secondo (ma il primo in senso platonico) sarebbe stato buono se l'avesse preso subito, ma quando si decide secondo me è troppo tardi. Però devo ammettere che il giro in carrozza con l'elenco di tutte le vie, quasi fosse una preghiera, mi ha fatto davvero ridere (posso capire perché i benpensanti di allora si fossero scandalizzati: solo il pensiero di quella voce "infuriata" -o "affannata", "imperiosa"?- che urlava "Vada avanti!" per permettere ai due amanti di consumare doveva essere davvero troppo per l'epoca!). Insomma l'unico uomo che l'abbia veramente amata, nonostante la conosca a malapena e l'abbia troppo idealizzata, è quel poveraccio del marito, ma ovviamente è l'unico che lei non degna di uno sguardo.
Il suicidio finale poi. Mamma mia, mi sembra di sparare sulla croce rossa, ma comunque non posso non considerarlo come l'atto finale (piuttosto in linea con il carattere del personaggio, se non altro) più pusillanime che esista. Non posso non fare paragoni con il finale di Ritratto di Signora, in cui lo stesso non è presente la protagonista, ma per tutt'altro motivo: Isabel non cerca di fuggire con disonore dalla situazione che lei stessa si è creata, non cerca soluzioni da dramma, accetta quello che è diventata la sua vita e se ne assume la responsabilità. Emma Bovary non ha idea di cosa sia una responsabilità. Non dico verso suo marito (ci sta che ami un altro di più), ma verso sua figlia.
Purtroppo l'ovvio anacronismo della scrittura (i riferimenti al sesso sono nascosti con quelli alla natura, vedi "le foglie frementi" e compagnia) e della storia (oggi una ragazza non deve sposarsi per forza, non ha le limitazioni che aveva all'epoca) fa sì che questo romanzo sia "invecchiato male".
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se siete appassionati di classici, non potete esimervi, altrimenti lasciate stare e passate ad altro.
Anarchic Rain
giovedì 11 agosto 2016
American Gods di Neil Gaiman
Credo di preferire la condizione umana a quella divina. Non abbiamo bisogno che credano in noi. Tiriamo avanti lo stesso.
Quando un libro mi si presenta come "il capolavoro dell'autore", lo prendo sempre con le pinze. E mi fa anche un po' paura...specialmente se è di un autore che già amo per altri libri (nel caso specifico, Sandman, Coraline e Il cimitero senza lapidi e altre storie nere).
Però, sempre per le Olimpiadi di Lettura, finalmente ho avuto la giusta spinta per iniziarlo. E ammetto che non ne sono pentita.
Non solo per la storia, per i personaggi, per il modo (sempre splendido) di scrivere di Gaiman.
E per cos'altro, vi stupirete voi.
Ecco, vorrei premettere che tutto quello che dirò ora è (ovviamente) assolutamente opinabile e che comunque non lo penso né con cattiveria né con malizia, ma con genuino piacere.
Molto più che in altre opere (per non dire a differenza di), forse perché il libro è molto corposo, ci ho visto tantissimi richiami alla letteratura gotica/horror di tutti i tempi.
Per fare un paio di esempi: il protagonista (Shadow, non è un nome adorabile?) a un certo punto viene guidato da un corvo parlante e gli chiede (ironicamente) di dire "Mai più" (Nevermore). Mi sono venute le lacrime agli occhi, anche se poi il corvo, evidentemente risentito dell'associazione letteraria, gli risponde "Vaffan*ulo" (facendomi piangere dalle risate).
Che dire poi delle anticipazioni tipicamente kinghiane sulla morte di un personaggio (del tipo: quella fu l'ultima volta che lo/la vide vivo/a) e dello specifico riferimento a Carrie (il film, però)!
Oppure il grandioso omaggio (credo) a Bradbury e al suo Il popolo dell'autunno con la giostra infernale che invece di modificare il tempo, qui modifica lo spazio, portando i personaggi in una specie di mondo parallelo.
Poi ci sarebbe l'analogia uomo-bufalo/uomo-pecora con Murakami (ma questa è forse una forzatura che ho trovato solo io...).
Vabbè, queste sono cose che fanno brillare gli occhi a una book-maniac come me.
Ma parliamo del libro in sé.
La storia come ho accennato prima è molto bella, anche se ingarbugliata e con molti personaggi (i loro nomi strani non aiutano a tenerli a mente), di alcuni dei quali onestamente non ricordo nemmeno la fine...forse Gaiman si è fatto sfuggire un po' le cose di mano. Comunque a volerla riassumere, questa è la storia di unascita guerra tra dei nuovi e vecchi, per il potere sul mondo. Chi vince? Al lettore l'ardua sentenza.
Il protagonista però è un uomo, tutt'altro che perfetto, assoldato da un dio per seguirlo. All'inizio non capiamo assolutamente perché sia stato scelto proprio Shadow tra tutti, visto che non solo è un tizio normalissimo, ma anche più sfigato di altri. Ma piano piano scopriremo perché.
Anche se in alcuni punti l'intreccio non è ben gestito, devo dire che l'idea di fondo è stupenda e non ci si poteva spettare di meno da uno scrittore come lui. Ci sono un paio di colpi di scena che non mi aspettavo (anche se forse, leggendolo con attenzione, si potevano intuire): Odino/Wednesday padre di Shadow, o Hinzelmann serial killer divino (questo un fuori-storia un po' forzato, comunque).
Poi alcune cose interessanti non sono state approfondite, come la faccenda degli uccelli del tuono oppure le storie degli dei all'arrivo in America...
La cosa che mi ha lasciato "stonata" è che i personaggi, pur sembrando tutti interessantissimi, non sono assolutamente stati approfonditi. Mi hanno dato l'impressione di essere solo abbozzati (e in quasi 600 pagine di libro non me lo aspettavo proprio), presentati e poi mollati lì senza specifiche. Insomma in questo libro il lettore fa il grosso del lavoro, e non che mi dispiaccia, ma invece di perdersi in voli pindarici Neil poteva pure sprecare un po' di più.
Poi la faccenda dei giochi di prestidigitazione l'ho trovata un po' petulante in alcuni frangenti.
Non voglio essere troppo dura con un autore che comunque mi piace e apprezzo tantissimo, però ci sono rimasta un po' male, ecco. Mi sono sentita tradita.
Insomma qual è il mio consiglio? Leggetelo, se siete fan di Gaiman, ma iniziate con altro se non l'avete mai letto prima.
Anarchic Rain
Nota: ho scoperto che questo libro fa parte di una trilogia. Non nel senso convenzionale del termine, ma ci sono altri due libri collegati a questo tramite i personaggi. E vabbè. Non si può avere tutto dalla vita.
(Che ho contro le trilogie, chiedete? Niente, in generale. Nello specifico credo siano diventate troppo di moda. Decisamente troppo. Oggi pare che se non scrivi una trilogia -almeno una- non sei nessuno, persino King ha scritto una trilogia, bah).
Quando un libro mi si presenta come "il capolavoro dell'autore", lo prendo sempre con le pinze. E mi fa anche un po' paura...specialmente se è di un autore che già amo per altri libri (nel caso specifico, Sandman, Coraline e Il cimitero senza lapidi e altre storie nere).
Però, sempre per le Olimpiadi di Lettura, finalmente ho avuto la giusta spinta per iniziarlo. E ammetto che non ne sono pentita.
Non solo per la storia, per i personaggi, per il modo (sempre splendido) di scrivere di Gaiman.
E per cos'altro, vi stupirete voi.
Ecco, vorrei premettere che tutto quello che dirò ora è (ovviamente) assolutamente opinabile e che comunque non lo penso né con cattiveria né con malizia, ma con genuino piacere.
Molto più che in altre opere (per non dire a differenza di), forse perché il libro è molto corposo, ci ho visto tantissimi richiami alla letteratura gotica/horror di tutti i tempi.
Per fare un paio di esempi: il protagonista (Shadow, non è un nome adorabile?) a un certo punto viene guidato da un corvo parlante e gli chiede (ironicamente) di dire "Mai più" (Nevermore). Mi sono venute le lacrime agli occhi, anche se poi il corvo, evidentemente risentito dell'associazione letteraria, gli risponde "Vaffan*ulo" (facendomi piangere dalle risate).
Che dire poi delle anticipazioni tipicamente kinghiane sulla morte di un personaggio (del tipo: quella fu l'ultima volta che lo/la vide vivo/a) e dello specifico riferimento a Carrie (il film, però)!
Oppure il grandioso omaggio (credo) a Bradbury e al suo Il popolo dell'autunno con la giostra infernale che invece di modificare il tempo, qui modifica lo spazio, portando i personaggi in una specie di mondo parallelo.
Poi ci sarebbe l'analogia uomo-bufalo/uomo-pecora con Murakami (ma questa è forse una forzatura che ho trovato solo io...).
Vabbè, queste sono cose che fanno brillare gli occhi a una book-maniac come me.
Ma parliamo del libro in sé.
La storia come ho accennato prima è molto bella, anche se ingarbugliata e con molti personaggi (i loro nomi strani non aiutano a tenerli a mente), di alcuni dei quali onestamente non ricordo nemmeno la fine...forse Gaiman si è fatto sfuggire un po' le cose di mano. Comunque a volerla riassumere, questa è la storia di unascita guerra tra dei nuovi e vecchi, per il potere sul mondo. Chi vince? Al lettore l'ardua sentenza.
Il protagonista però è un uomo, tutt'altro che perfetto, assoldato da un dio per seguirlo. All'inizio non capiamo assolutamente perché sia stato scelto proprio Shadow tra tutti, visto che non solo è un tizio normalissimo, ma anche più sfigato di altri. Ma piano piano scopriremo perché.
Anche se in alcuni punti l'intreccio non è ben gestito, devo dire che l'idea di fondo è stupenda e non ci si poteva spettare di meno da uno scrittore come lui. Ci sono un paio di colpi di scena che non mi aspettavo (anche se forse, leggendolo con attenzione, si potevano intuire): Odino/Wednesday padre di Shadow, o Hinzelmann serial killer divino (questo un fuori-storia un po' forzato, comunque).
Poi alcune cose interessanti non sono state approfondite, come la faccenda degli uccelli del tuono oppure le storie degli dei all'arrivo in America...
La cosa che mi ha lasciato "stonata" è che i personaggi, pur sembrando tutti interessantissimi, non sono assolutamente stati approfonditi. Mi hanno dato l'impressione di essere solo abbozzati (e in quasi 600 pagine di libro non me lo aspettavo proprio), presentati e poi mollati lì senza specifiche. Insomma in questo libro il lettore fa il grosso del lavoro, e non che mi dispiaccia, ma invece di perdersi in voli pindarici Neil poteva pure sprecare un po' di più.
Poi la faccenda dei giochi di prestidigitazione l'ho trovata un po' petulante in alcuni frangenti.
Non voglio essere troppo dura con un autore che comunque mi piace e apprezzo tantissimo, però ci sono rimasta un po' male, ecco. Mi sono sentita tradita.
Insomma qual è il mio consiglio? Leggetelo, se siete fan di Gaiman, ma iniziate con altro se non l'avete mai letto prima.
Anarchic Rain
Nota: ho scoperto che questo libro fa parte di una trilogia. Non nel senso convenzionale del termine, ma ci sono altri due libri collegati a questo tramite i personaggi. E vabbè. Non si può avere tutto dalla vita.
(Che ho contro le trilogie, chiedete? Niente, in generale. Nello specifico credo siano diventate troppo di moda. Decisamente troppo. Oggi pare che se non scrivi una trilogia -almeno una- non sei nessuno, persino King ha scritto una trilogia, bah).
giovedì 4 agosto 2016
L'uomo che scambió sua moglie per un cappello di Oliver Sacks
Che il cervello sia uno degli organi più belli che il corpo umano abbia in dotazione, lo sapevo già dal primo giorno di studio di Anatomia Umana 3. Ora sono un patologo e penso la stessa cosa.
Da quando due giorni fa ho letto questo libro, ne sono assolutamente convinta.
Ho iniziato questo libro a scatola chiusa. Non sapevo di cosa trattasse, né chi fosse l'autore anche se un campanellino mi suonava nella mente.
Ebbene è l'autore di Risvegli, da cui è stato tratto un film famosissimo con Robert De Niro (strappalacrime, da piccola lo sapevo a memoria). È un neurologo e in questo libro parla di alcuni suoi pazienti con deficit cognitivi di ogni genere.
Un appunto: forse come saggio è un po' difficile da leggere per chi non è del mestiere, ma credo che il senso generale sia comunque chiaro.
Prima di tutto, il dottor Sacks scrive benissimo. Sa raccontare una storia (e anche più di una). Ha senso dell'umorismo e sa rispettare i suoi pazienti, questa è la cosa fondamentale.
Il libro è suddiviso in quattro parti tematiche, in ciascuna delle quali racconta brevi episodi "patologici" incontrati nel corso della sua carriera.
Nel primo gruppo, Perdite, alcuni episodi sono anche molto comici: il signore protagonista del racconto che dà il titolo al libro è un signore simpatico che non riconosce né sua moglie né il suo piede, scambiando l'una per il suo cappello e l'altro per la sua scarpa. Ma al di là di questi "piccoli" intoppi non ha problemi nella vita di ogni giorno. Oppure Il marinaio perduto, Jimmie, affetto da sindrome di Korsakov ma inconsapevole di esserlo, per sempre incatenato a 22 anni pur avendone una cinquantina. O ancora l'uomo che cade dal letto perché vede la sua gamba come qualcosa di estraneo e cerca di gettarla via (gettando via anche se stesso!).
Quello che mi ha stupito è che le persone descritte sono (o sono state) molto intelligenti, argute, spiritose, che hanno dedicato la loro vita a qualcosa di bello (la musica per esempio). Persone che ad un certo punto hanno subito un "intoppo" neurologico, di natura vascolare o altro, che li ha resi "strani" agli occhi del mondo profano e "particolari"/"interessanti" dal punto di vista di un luminare neurologo.
Nel secondo gruppo, Eccessi, si parla del contrario, non della perdita di una funzione, ma dell'acquisizione di un'altra, per esempio un tic. O molti tic, propri della sindrome di Tourette. Così conosciamo Ray che durante la settimana, sotto effetto dei farmaci, è una persona quasi normali, con qualche tic, durante i weekend è un virtuoso della batteria "grazie" alla sua sindrome.
Il terzo gruppo si chiama Trasporti le cui storie ci narrano di persone che sono trascinate da qualcosa dentro di loro: ricordi, emozioni, sensazioni. Per la prima volta ho sentito l'espressione "epilessia musicale", ossia musica ossessiva che "esplode" all'improvviso nella mente del paziente, dovuta spesso (o soltanto) a un ictus del lobo temporale. Tra parentesi, questa parte mi ha permesso di capire anche la fine di Pekish in Oceano mare di Baricco.
Quello che più sconvolge, perlomeno sconvolge me, è la diversa espressione da persona a persona di uno stesso disturbo cerebrale (nello stesso segmento encefalico): nel caso dell'epilessia musicale, per una signora è fonte di gioiosa nostalgia (tanto che quando ne guarisce si sente sola e triste, ma felice di aver avuto l'episodio ischemico che l'ha portata ad averne), per un'altra è solo fonte di distress, una cosa innaturale, che va curata assolutamente.
La quarta parte ci illustra Il mondo dei semplici, cioè di coloro che "non hanno mai conosciuto l'astratto, non ne sono mai stati sedotti". La parte più dolce, secondo me. Non so il motivo, ma nell'immaginario comune (o meglio, in quello in cui sono nata e cresciuta), i minorati mentali sono persone più tenere, più dolci e più indifese degli altri. Il che è vero per certi aspetti della vita quotidiana, ma per altri può non essere così. Ci sono persone dal QI più basso (o molto più basso) della norma che "danno una pista" al più intelligente dei "normali". C'è chi ha un animo poetico, chi artistico o musicale, chi addirittura matematico. Forse potremmo imparare da loro a sviluppare quei lati della nostra personalità che vanno persi per chissà quale ragione; o, se proprio non a svilupparli, ad ammirarli lo stesso.
Al di là dell'argomento forse un po' ostico per alcuni, è un libro molto piacevole, scorrevole, insieme divertente e spaventoso e triste. E' un libro che ci mostra una realtà che spesso non si conosce, se non per motivi familiari o lavorativi. Inoltre bisogna considerare che la prima edizione è avvenuta nel 1985, e a quell'epoca i disturbi del cervello erano un mistero se non proprio una vergogna. Con il passare dei decenni si è data dignità anche questa classe di patologie, per fortuna, ma è stato bello fare un viaggio nel passato e leggere (quasi vivere) l'impegno di un medico per i suoi pazienti. Impegno che spesso e volentieri andava al di là dell'ospedale: per esempio quando, per capire meglio il disturbo che un paziente aveva, andava a trovarlo a casa sua, per vederlo nel suo ambiente, oppure chiamava o scriveva a un suo collega per discutere il caso.
Da medico, posso affermare che quando uno ha un paziente di fronte ha sempre una cosa in mente: farlo stare bene; però ci sono modi e modi di farlo. E Sacks trent'anni fa ha decisamente azzeccato il modo.
Anarchic Rain
Da quando due giorni fa ho letto questo libro, ne sono assolutamente convinta.
Ho iniziato questo libro a scatola chiusa. Non sapevo di cosa trattasse, né chi fosse l'autore anche se un campanellino mi suonava nella mente.
Ebbene è l'autore di Risvegli, da cui è stato tratto un film famosissimo con Robert De Niro (strappalacrime, da piccola lo sapevo a memoria). È un neurologo e in questo libro parla di alcuni suoi pazienti con deficit cognitivi di ogni genere.
Un appunto: forse come saggio è un po' difficile da leggere per chi non è del mestiere, ma credo che il senso generale sia comunque chiaro.
Prima di tutto, il dottor Sacks scrive benissimo. Sa raccontare una storia (e anche più di una). Ha senso dell'umorismo e sa rispettare i suoi pazienti, questa è la cosa fondamentale.
Il libro è suddiviso in quattro parti tematiche, in ciascuna delle quali racconta brevi episodi "patologici" incontrati nel corso della sua carriera.
Nel primo gruppo, Perdite, alcuni episodi sono anche molto comici: il signore protagonista del racconto che dà il titolo al libro è un signore simpatico che non riconosce né sua moglie né il suo piede, scambiando l'una per il suo cappello e l'altro per la sua scarpa. Ma al di là di questi "piccoli" intoppi non ha problemi nella vita di ogni giorno. Oppure Il marinaio perduto, Jimmie, affetto da sindrome di Korsakov ma inconsapevole di esserlo, per sempre incatenato a 22 anni pur avendone una cinquantina. O ancora l'uomo che cade dal letto perché vede la sua gamba come qualcosa di estraneo e cerca di gettarla via (gettando via anche se stesso!).
Quello che mi ha stupito è che le persone descritte sono (o sono state) molto intelligenti, argute, spiritose, che hanno dedicato la loro vita a qualcosa di bello (la musica per esempio). Persone che ad un certo punto hanno subito un "intoppo" neurologico, di natura vascolare o altro, che li ha resi "strani" agli occhi del mondo profano e "particolari"/"interessanti" dal punto di vista di un luminare neurologo.
Nel secondo gruppo, Eccessi, si parla del contrario, non della perdita di una funzione, ma dell'acquisizione di un'altra, per esempio un tic. O molti tic, propri della sindrome di Tourette. Così conosciamo Ray che durante la settimana, sotto effetto dei farmaci, è una persona quasi normali, con qualche tic, durante i weekend è un virtuoso della batteria "grazie" alla sua sindrome.
Il terzo gruppo si chiama Trasporti le cui storie ci narrano di persone che sono trascinate da qualcosa dentro di loro: ricordi, emozioni, sensazioni. Per la prima volta ho sentito l'espressione "epilessia musicale", ossia musica ossessiva che "esplode" all'improvviso nella mente del paziente, dovuta spesso (o soltanto) a un ictus del lobo temporale. Tra parentesi, questa parte mi ha permesso di capire anche la fine di Pekish in Oceano mare di Baricco.
Quello che più sconvolge, perlomeno sconvolge me, è la diversa espressione da persona a persona di uno stesso disturbo cerebrale (nello stesso segmento encefalico): nel caso dell'epilessia musicale, per una signora è fonte di gioiosa nostalgia (tanto che quando ne guarisce si sente sola e triste, ma felice di aver avuto l'episodio ischemico che l'ha portata ad averne), per un'altra è solo fonte di distress, una cosa innaturale, che va curata assolutamente.
La quarta parte ci illustra Il mondo dei semplici, cioè di coloro che "non hanno mai conosciuto l'astratto, non ne sono mai stati sedotti". La parte più dolce, secondo me. Non so il motivo, ma nell'immaginario comune (o meglio, in quello in cui sono nata e cresciuta), i minorati mentali sono persone più tenere, più dolci e più indifese degli altri. Il che è vero per certi aspetti della vita quotidiana, ma per altri può non essere così. Ci sono persone dal QI più basso (o molto più basso) della norma che "danno una pista" al più intelligente dei "normali". C'è chi ha un animo poetico, chi artistico o musicale, chi addirittura matematico. Forse potremmo imparare da loro a sviluppare quei lati della nostra personalità che vanno persi per chissà quale ragione; o, se proprio non a svilupparli, ad ammirarli lo stesso.
Al di là dell'argomento forse un po' ostico per alcuni, è un libro molto piacevole, scorrevole, insieme divertente e spaventoso e triste. E' un libro che ci mostra una realtà che spesso non si conosce, se non per motivi familiari o lavorativi. Inoltre bisogna considerare che la prima edizione è avvenuta nel 1985, e a quell'epoca i disturbi del cervello erano un mistero se non proprio una vergogna. Con il passare dei decenni si è data dignità anche questa classe di patologie, per fortuna, ma è stato bello fare un viaggio nel passato e leggere (quasi vivere) l'impegno di un medico per i suoi pazienti. Impegno che spesso e volentieri andava al di là dell'ospedale: per esempio quando, per capire meglio il disturbo che un paziente aveva, andava a trovarlo a casa sua, per vederlo nel suo ambiente, oppure chiamava o scriveva a un suo collega per discutere il caso.
Da medico, posso affermare che quando uno ha un paziente di fronte ha sempre una cosa in mente: farlo stare bene; però ci sono modi e modi di farlo. E Sacks trent'anni fa ha decisamente azzeccato il modo.
Anarchic Rain
martedì 2 agosto 2016
Notte buia niente stelle di Stephen King
Eh lo so, non sono in ordine cronologico, anzi, ho saltato varie decine di anni, considerando che l'anno di prima pubblicazione di questa raccolta di racconti è il 2010, ma ho una buona (forse) giustificazione.
Sul forum di letteratura che seguo da anni, dal primo al 31 agosto si svolgono le Olimpiadi letterarie, in onore di quelle sportive (Rio 2016) e mi sono iscritta per partecipare. Il gioco che mi è stato assegnato è il Rugby e consiste nel leggere entro questo mese sette libri, di cui quattro sono tra quelli della mia to-read-list e tre tra quelli delle mie "avversarie".
Insomma, un gioco divertente, culturale e che mi permette di smaltire molti libri che per un motivo o per un altro sono rimasti anni nella mia lista (pur avendo il libro a disposizione!).
Ho iniziato con questa raccolta perché era tantissimo che volevo leggerla, soprattutto dopo aver letto la sua ultima (Il bazar dei brutti sogni) ed averla trovata deludente, volevo conoscere quella che l'aveva preceduta. Chissà cosa cercavo.
Probabilmente un segno.
Ma di cosa?
Che Bazar fosse stato solo uno scivolone...uno dei pochi (secondo me) nella carriera impeccabile dello zio.
Il risultato è un grande BO.
NBNS è formato da quattro novelle e la parte migliore, mi viene da dire, è la postfazione di King.
Ok, lo ammetto, sto esagerando.
La prima è 1922. Non so cosa dire a riguardo. Non posso dire che non mi sia piaciuto, è chiaro, come ho ripetuto fino allo sfinimento lo zio SA scrivere, potrebbe scrivere qualsiasi cosa, anche di un tappeto che fuma e farlo apparire reale, ovvio e terrificante. Ma manca qualcosa. Come altre volte mi è capitato di pensare, mi è sembrato che mancasse l'anima, che fosse un puro esercizio di stile, come invece nega nella postfazione (sapevi che qualcuno te l'avrebbe detto, eh, zio?)...
La storia mi ha appassionato, l'ho letta di notte, non riuscivo a mettere giù il libro, ma penso che la mia voracità significasse solo che mi aspettavo qualcosa nella pagina successiva...poi in quella successiva...e così via, finché non ho finito le pagine, senza trovare quello che cercavo.
Un po' meglio è andata con il successivo Maxicamionista. Una donna che si vendica ferocemente (ma nemmeno troppo, ho trovato i topi del primo molto più fomentati di lei) per lo stupro subito.
Come posso dire senza sembrare una str*nza insensibile? La storia è coinvolgente, disgustosa il giusto, la vendetta appropriata (al suo posto io avrei fatto soffrire un po' di più i responsabili, ma le condizioni non glielo permettevano), ma totalmente inverosimile. Ovviamente una donna che subisce una tale violenza pensa alla vendetta, a massacrare i suoi aguzzini, anche a non coinvolgere la polizia (per non renderlo pubblico, sicuramente, ma anche perché i tempi della giustizia sanno essere più che biblici a volte). Non parlo di quel genere di verosimiglianza. Ma ogni ragionamento, ogni mossa di Tess è fin troppo lucida e perfetta, non è certo quella di una donna che ha vissuto forse la peggiore esperienza della sua vita.
E' la prima volta che un qualcosa scritto da LUI mi dà questa sensazione, anzi, per me lui è sempre stato lo scrittore della realtà, degli incubi che diventavano reali grazie alla sua meravigliosa penna. Invece qui, niente. Niente realtà, niente magia. E' stato un colpo.
Lievemente meglio è andata con La giusta estensione. Breve ma crudele al punto giusto, reale al punto giusto.
E allora qual è il problema, stavolta? Nessuno, in teoria, se non fosse che qualche tempo fa King scrisse un bellissimo romanzo, dal titolo Cose preziose, in cui sbatteva le stesse uova ottenendo una frittata leggermente diversa (migliore? Ognuno decida per sé). Stavolta però la domanda è più trascendentale: il diavolo vuole davvero la tua anima? O si accontenta di compiere il male fine a se stesso, senza aspettarsi di guadagnarci? Questa domanda rimane in sospeso (intelligentemente, secondo me).
La quarta e ultima novella, la migliore della raccolta a mio parere, si intitola Un bel matrimonio. Cosa faresti se scoprissi che tuo marito, l'uomo con cui hai passato più di metà della tua vita, è un serial killer? E anche uno bravo. Domanda da un milione di dollari, forse di più. Ma King stavolta fa un centro perfetto, sembra quasi che si sia incarnato in Darcy, la quale fa tutto quello che deve essere fatto. Un ultimo racconto col botto, direi, ma non basta a risollevare tutto il libro. E se posso dire la mia, la colpa è anche della traduzione (chiudo qui per non entrare in polemiche sterili). Quando lo rileggerò in originale forse potrò rispondere a questa domanda implicita.
Se siete fedeli lettori, dovete leggerlo, se non altro perché ci trovate Derry, la madre di Bill Tartaglia e anche una battuta speciale per tutti noi amanti della Torre. Ma se siete neofiti, ci sono altri libri (del Re) oltre questo (semi-cit.), vi consiglio di cominciare da altro.
Anarchic Rain
Sul forum di letteratura che seguo da anni, dal primo al 31 agosto si svolgono le Olimpiadi letterarie, in onore di quelle sportive (Rio 2016) e mi sono iscritta per partecipare. Il gioco che mi è stato assegnato è il Rugby e consiste nel leggere entro questo mese sette libri, di cui quattro sono tra quelli della mia to-read-list e tre tra quelli delle mie "avversarie".
Insomma, un gioco divertente, culturale e che mi permette di smaltire molti libri che per un motivo o per un altro sono rimasti anni nella mia lista (pur avendo il libro a disposizione!).
Ho iniziato con questa raccolta perché era tantissimo che volevo leggerla, soprattutto dopo aver letto la sua ultima (Il bazar dei brutti sogni) ed averla trovata deludente, volevo conoscere quella che l'aveva preceduta. Chissà cosa cercavo.
Probabilmente un segno.
Ma di cosa?
Che Bazar fosse stato solo uno scivolone...uno dei pochi (secondo me) nella carriera impeccabile dello zio.
Il risultato è un grande BO.
NBNS è formato da quattro novelle e la parte migliore, mi viene da dire, è la postfazione di King.
Ok, lo ammetto, sto esagerando.
La prima è 1922. Non so cosa dire a riguardo. Non posso dire che non mi sia piaciuto, è chiaro, come ho ripetuto fino allo sfinimento lo zio SA scrivere, potrebbe scrivere qualsiasi cosa, anche di un tappeto che fuma e farlo apparire reale, ovvio e terrificante. Ma manca qualcosa. Come altre volte mi è capitato di pensare, mi è sembrato che mancasse l'anima, che fosse un puro esercizio di stile, come invece nega nella postfazione (sapevi che qualcuno te l'avrebbe detto, eh, zio?)...
La storia mi ha appassionato, l'ho letta di notte, non riuscivo a mettere giù il libro, ma penso che la mia voracità significasse solo che mi aspettavo qualcosa nella pagina successiva...poi in quella successiva...e così via, finché non ho finito le pagine, senza trovare quello che cercavo.
Un po' meglio è andata con il successivo Maxicamionista. Una donna che si vendica ferocemente (ma nemmeno troppo, ho trovato i topi del primo molto più fomentati di lei) per lo stupro subito.
Come posso dire senza sembrare una str*nza insensibile? La storia è coinvolgente, disgustosa il giusto, la vendetta appropriata (al suo posto io avrei fatto soffrire un po' di più i responsabili, ma le condizioni non glielo permettevano), ma totalmente inverosimile. Ovviamente una donna che subisce una tale violenza pensa alla vendetta, a massacrare i suoi aguzzini, anche a non coinvolgere la polizia (per non renderlo pubblico, sicuramente, ma anche perché i tempi della giustizia sanno essere più che biblici a volte). Non parlo di quel genere di verosimiglianza. Ma ogni ragionamento, ogni mossa di Tess è fin troppo lucida e perfetta, non è certo quella di una donna che ha vissuto forse la peggiore esperienza della sua vita.
E' la prima volta che un qualcosa scritto da LUI mi dà questa sensazione, anzi, per me lui è sempre stato lo scrittore della realtà, degli incubi che diventavano reali grazie alla sua meravigliosa penna. Invece qui, niente. Niente realtà, niente magia. E' stato un colpo.
Lievemente meglio è andata con La giusta estensione. Breve ma crudele al punto giusto, reale al punto giusto.
E allora qual è il problema, stavolta? Nessuno, in teoria, se non fosse che qualche tempo fa King scrisse un bellissimo romanzo, dal titolo Cose preziose, in cui sbatteva le stesse uova ottenendo una frittata leggermente diversa (migliore? Ognuno decida per sé). Stavolta però la domanda è più trascendentale: il diavolo vuole davvero la tua anima? O si accontenta di compiere il male fine a se stesso, senza aspettarsi di guadagnarci? Questa domanda rimane in sospeso (intelligentemente, secondo me).
La quarta e ultima novella, la migliore della raccolta a mio parere, si intitola Un bel matrimonio. Cosa faresti se scoprissi che tuo marito, l'uomo con cui hai passato più di metà della tua vita, è un serial killer? E anche uno bravo. Domanda da un milione di dollari, forse di più. Ma King stavolta fa un centro perfetto, sembra quasi che si sia incarnato in Darcy, la quale fa tutto quello che deve essere fatto. Un ultimo racconto col botto, direi, ma non basta a risollevare tutto il libro. E se posso dire la mia, la colpa è anche della traduzione (chiudo qui per non entrare in polemiche sterili). Quando lo rileggerò in originale forse potrò rispondere a questa domanda implicita.
Se siete fedeli lettori, dovete leggerlo, se non altro perché ci trovate Derry, la madre di Bill Tartaglia e anche una battuta speciale per tutti noi amanti della Torre. Ma se siete neofiti, ci sono altri libri (del Re) oltre questo (semi-cit.), vi consiglio di cominciare da altro.
Anarchic Rain
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