venerdì 30 dicembre 2016
Pillole dell'ultimo mese
Vuoi o non vuoi, alla fine di ogni anno si fa un bilancio. Della vita, dei soldi rimasti, delle amicizie, della salute. E dei libri letti.
Vediamo un po' come mi è andata in questo ultimo periodo dell'anno.
Eravamo arrivati ad Auschwitz, continuiamo da qui:
- Io sono Helen Driscoll: Matheson è un mago con la penna, ma ho apprezzato di più i suoi vampiri leggendari;
- L'assassinio di Roger Ackroyd: una Christie in forma smagliante, ho adorato questo libro, davvero, lo considero il suo capolavoro (finora, prontissima a cambiare idea!);
- Né di Eva né di Adamo: Amelie Nothomb è decisamente un NO bello deciso per me, superficiale e vuota;
- Le prime quindici vite di Harry August: nonostante la poca originalità di un racconto sui viaggi nel tempo, questo libro inserisce degli elementi interessanti e innovativi, ma non è proprio il mio genere, mi sono un po' annoiata, alla fine;
- Il profumo delle foglie di tè: tremendo, una palla infinita su una protagonista odiosa e dei comprimari più evanescenti del vapore acqueo;
- Uscita per l'inferno: un King/Bachman sottotono, mi dispiace doverlo ammettere, questo libro è nettamente inferiore a tutto quello che ho letto del Re (ossia quasi tutto);
- Di cosa parliamo quando parliamo di libri: un bel saggio divertente e leggero su un argomento che più vasti non ce n'è: i libri, la mia grande passione (e vostra, che forse mi leggete);
- Addio all'estate: Bradbury inscena una "guerra" tra giovinezza e vecchiaia, con due protagonisti affascinanti e indimenticabili;
- Le nonne: tre racconti in questa raccolta, di cui mi è piaciuto tantissimo lo stile; il secondo è il mio preferito, la storia di Victoria, davvero coinvolgente;
- Una stagione selvaggia: primo libro del ciclo Hap&Leonard, mi è piaciuto abbastanza, soprattutto per la presenza di Leonard, sarcastico ai massimi livelli ma fedelissimo amico di quel poveraccio di Hap (che mi ha fatto più pena che altro);
- Dostoevskij: saggio di Zweig sul grandissimo scrittore russo; vi dico solo che mi ha fatto venire voglia di rileggermi l'intera bibliografia, l'ho adorato!
- Mia cara Jane: libretto epistolare completamente inventato sulla presunta storia d'amore tra Jane Austen e Tom Lefroy; avete visto il film Becoming Jane? Allora non vi serve leggerlo. Completamente dimenticabile;
- Hollow city. Il ritorno dei bambini speciali di Miss Peregrine: secondo capitolo della trilogia (che originalità eh?) che dovrebbe essere una ulteriore spinta a leggerla tutta; con me ha avuto l'effetto contrario. Tremendo. Ha peggiorato il peggiorabile del primo, i personaggi si sono assottigliati come carta velina e i colpi di scena non hanno colpito nessuno. Peccato, l'idea mi piaceva davvero.
Ecco qua. Ho finito. Ammetto che non ho resistito quest'anno e ho letto libri che già a priori sapevo che non avrei potuto apprezzare, ma speravo di essere smentita. Invece no.
Si vede che il mio fiuto di lettrice non mi tradisce più in modo eclatante.
Ora vedo se riesco a finire Alessandro e Cesare (Vite Parallele di Plutarco) così chiudo in bellezza!
Propositi per l'anno prossimo: ho fatto una lista di dodici libri per l'anno prossimo, quasi tutti superiori alle 2000 pagine ognuno. Vorrei leggerne almeno metà, tra cui la rilettura dei fratelli Karamazov, il mio libro preferito di sempre insieme a Guerra e pace.
Anarchic Rain
mercoledì 16 novembre 2016
La pianista di Auschwitz di Suzy Zail
Dire che questo libro "mi è piaciuto molto" mi sembra di cattivo gusto, visto il tema trattato. Ovviamente non mi sono piaciuti il dolore e l'ingiustizia che la protagonista ha dovuto affrontare (lei sarà anche un personaggio fittizio, ma rappresenta milioni di persone vere, come il padre della scrittrice, effettivamente deportato), il racconto del campo è raggelante come tutti gli altri, senza fronzoli e senza illusioni. Però l'autrice ci tiene a tenere accesa la speranza, ci tiene a sottolineare (attraverso la piccola -immensa?- storia d'amore inter-razziale e attraverso la sua aguzzina ebrea) che le persone non sono mai tutte buone o tutte cattive. Le persone scelgono di fare cose o di non farle e appartenere a una razza (ebrea o ariana) non significa essere tutti uguali. In questo libro c'è Karl, il giovane figlio del comandante nazista di Birkenau, che schifato dal comportamento del padre cerca di fare quello che può per aiutare quelli che dovrebbero essere i suoi nemici. Nel mondo reale è esistito Oskar Schindler e, suppongo, come lui qualche altro.
Esistenze come questa non giustificano o scusano assolutamente le azioni di troppi altri, ma sono comunque una speranza.
All'inizio la protagonista non mi piaceva affatto, ma forse è stato solo perché non tenevo conto che aveva solo quindici anni e mezzo quando il mondo le è crollato addosso. Fino alla fine non si è resa conto della verità del campo, cosa succedesse alle persone che da un giorno all'altro "svanivano", cosa fosse quel fumo grigio che si vedeva in lontananza. Fino alla fine ha sperato di ritrovare i suoi genitori, aggrappandosi nel frattempo alla sorella, un tempo la più forte delle due, quella che il primo giorno le disse "Non diventeremo animali come vogliono loro". All'inizio ero molto più ammirata da lei che da Hanna, e in fondo è grazie alla sorella se lei non si perde mai d'animo. Ma poi a poco a poco il carattere della protagonista è venuto fuori, nonostante i suoi terrori e la sua angoscia costanti, mentre Erika sembra destinata a un punto di non ritorno, come la madre.
Il libro è costellato di piccoli miracoli, come il fatto di non essere mandata subito a morire, avendo mentito sull'età, oppure essere rimasta insieme alla sorella, nella stessa baracca, o ancora essere scelta come pianista nella casa del comandante pur non essendo la più brava tra le altre. E anche se sembrano inverosimili, in realtà mi rendo conto che la storia (vita) stessa ne è piena, né più né meno.
Il linguaggio del libro non ha niente di elaborato, non vuole stupire a tutti i costi, non vuole esasperare nulla. D'altra parte non potrebbe nemmeno. Mi è piaciuto, è scorrevole, anche se a volte ho dovuto chiudere gli occhi, perché nonostante sia quasi scarno (o proprio per questo) ho provato un riflesso della sofferenza della protagonista e degli altri personaggi.
In definitiva, sono contenta di aver letto questo libro (anche se mi ha fatto male), perché non bisogna demonizzare nessuno a priori. Bisogna guardare in faccia la realtà per come è o è stata, e accanto a orrori indicibili troveremo sempre qualche altra cosa.
Oggi ancora abbiamo bisogno di speranza e, se ce n'è stata allora, quando tutto sembrava perduto, significherà pur qualcosa.
Anarchic Rain
venerdì 14 ottobre 2016
Il vangelo secondo Biff. Amico d'infanzia di Gesù di Christopher Moore
L'amore non è una cosa a cui si pensa, ma una condizione in cui si dimora.
Ho iniziato a leggere questo libro perché ho pensato che potesse essere ottimo da alternare a un altro che leggo in contemporanea sul nazismo. Una cosa tipo stacchetto musicale. Per alleggerire l'atmosfera insomma.
Invece ha fatto di più.
Avevo letto tempo fa A volte ritorno, sulla seconda venuta di Cristo sulla Terra, per tentare ancora una volta di salvarci.
Invece questo è sull'infanzia e adolescenza di Gesù. Cioè quel buco di poco meno di trent'anni che i quattro evangelisti ci hanno lasciato a proposito della vita di Cristo.
Una sorta di prequel. Raccontato nientepopodimeno che dal suo migliore amico.
Una tenerezza che non vi dico.
Si ride, chiaro, in fin dei conti è un libro scritto per quel preciso scopo.
Ma non è solo questo.
Se in A volte ritorno il motto è Fate i bravi, in questo strano vangelo è un po' meno immediato.
Gli eventi ci vengono narrati in modo molto fluido, con qualche anacronismo, come confessa anche l'autore nella postfazione, ma in un modo così naturale che potrebbe persino essere vero. Prima di immolarsi per un'umanità che nemmeno lo merita, perché non andare in giro a capire come si diventa Messia? Gesù è ossessionato dal non essere perfetto, dal non sapere cosa voglia dire essere se stesso, cioè Figlio di Dio, così parte per un viaggio con il suo migliore amico, viaggio in cui gliene capiteranno di cotte e di crude, da cui uscirà fortificato o perlomeno più sicuro di sé.
Ma questo non è il vangelo di Gesù, o meglio, non solo. Levi, detto Biff, è un personaggio estremamente sarcastico (lo ha inventato lui, il sarcasmo) ma anche il miglior amico che un Messia possa avere. Sempre in bilico tra gelosia e affetto nei confronti di un perfetto Gesù, per esempio per quanto riguarda l'amore di Maddi (Maria di Magdala, la Maddalena): è ovvio che lei ami Gesù più di Biff, però è anche vero che quando sta con quest'ultimo non è per dimenticare l'Altro o per sostituirLo (chi potrebbe, poi?), ma è perché si rende conto che anche Biff ha un suo valore e che merita di essere amato per se stesso. Questo ci dice il finale, ai giorni nostri.
Biff è completamente l'opposto di Gesù: è un uomo, nel senso più materiale del termine, sempre in cerca di cibo, donne e un posto confortevole dove riposare. E' lui che espone le due teorie più combattute di sempre, a uno scettico quanto cieco Gesù: l'evoluzione e la sfericità della Terra.
E poi finalmente un po' di spazio alle donne. Maria Maddalena è una figura che diventa leggendaria, in queste pagine. Sì, mi ha fatto venir voglia di leggere i vangeli apocrifi!
Un'altra cosa che mi ha colpito, rispetto ad A volte ritorno, è che si capisce che l'autore è credente (magari non praticante, ma secondo me ha fede), mentre non ho mai capito da che punto di vista John Niven abbia scritto il suo. E la differenza tra i due libri sta qui, secondo me.
Leggetelo, perché è un libro divertente, ironico e anche piuttosto profondo.
Magari le cose non si sono svolte proprio così, però è un punto di vista interessante, con molti spunti di approfondimento.
Anarchic Rain
Ho iniziato a leggere questo libro perché ho pensato che potesse essere ottimo da alternare a un altro che leggo in contemporanea sul nazismo. Una cosa tipo stacchetto musicale. Per alleggerire l'atmosfera insomma.
Invece ha fatto di più.
Avevo letto tempo fa A volte ritorno, sulla seconda venuta di Cristo sulla Terra, per tentare ancora una volta di salvarci.
Invece questo è sull'infanzia e adolescenza di Gesù. Cioè quel buco di poco meno di trent'anni che i quattro evangelisti ci hanno lasciato a proposito della vita di Cristo.
Una sorta di prequel. Raccontato nientepopodimeno che dal suo migliore amico.
Una tenerezza che non vi dico.
Si ride, chiaro, in fin dei conti è un libro scritto per quel preciso scopo.
Ma non è solo questo.
Se in A volte ritorno il motto è Fate i bravi, in questo strano vangelo è un po' meno immediato.
Gli eventi ci vengono narrati in modo molto fluido, con qualche anacronismo, come confessa anche l'autore nella postfazione, ma in un modo così naturale che potrebbe persino essere vero. Prima di immolarsi per un'umanità che nemmeno lo merita, perché non andare in giro a capire come si diventa Messia? Gesù è ossessionato dal non essere perfetto, dal non sapere cosa voglia dire essere se stesso, cioè Figlio di Dio, così parte per un viaggio con il suo migliore amico, viaggio in cui gliene capiteranno di cotte e di crude, da cui uscirà fortificato o perlomeno più sicuro di sé.
Ma questo non è il vangelo di Gesù, o meglio, non solo. Levi, detto Biff, è un personaggio estremamente sarcastico (lo ha inventato lui, il sarcasmo) ma anche il miglior amico che un Messia possa avere. Sempre in bilico tra gelosia e affetto nei confronti di un perfetto Gesù, per esempio per quanto riguarda l'amore di Maddi (Maria di Magdala, la Maddalena): è ovvio che lei ami Gesù più di Biff, però è anche vero che quando sta con quest'ultimo non è per dimenticare l'Altro o per sostituirLo (chi potrebbe, poi?), ma è perché si rende conto che anche Biff ha un suo valore e che merita di essere amato per se stesso. Questo ci dice il finale, ai giorni nostri.
Biff è completamente l'opposto di Gesù: è un uomo, nel senso più materiale del termine, sempre in cerca di cibo, donne e un posto confortevole dove riposare. E' lui che espone le due teorie più combattute di sempre, a uno scettico quanto cieco Gesù: l'evoluzione e la sfericità della Terra.
E poi finalmente un po' di spazio alle donne. Maria Maddalena è una figura che diventa leggendaria, in queste pagine. Sì, mi ha fatto venir voglia di leggere i vangeli apocrifi!
Un'altra cosa che mi ha colpito, rispetto ad A volte ritorno, è che si capisce che l'autore è credente (magari non praticante, ma secondo me ha fede), mentre non ho mai capito da che punto di vista John Niven abbia scritto il suo. E la differenza tra i due libri sta qui, secondo me.
Leggetelo, perché è un libro divertente, ironico e anche piuttosto profondo.
Magari le cose non si sono svolte proprio così, però è un punto di vista interessante, con molti spunti di approfondimento.
Anarchic Rain
giovedì 6 ottobre 2016
Pomodori verdi fritti al Caffè di Whistle Stop di Fannie Flagg
Sapete quando cercate qualcosa ma non sapete cosa né dove potrebbe essere? Ecco, io mi sentivo profondamente irrequieta negli ultimi giorni e cercavo qualcosa per calmarmi. In un certo senso sapevo che l'avrei trovato in un libro, ma ovviamente non sapevo quale. Così ne ho letti un po' a caso e poi ho trovato lui. Mi aspettava da un bel po' ma non credo gli sia dispiaciuto, visto come è andata.
Posso finalmente dire che ho amato ogni pagina, ogni parola, ogni aneddoto. Ero lì, a Whistle Stop, insieme a Ninny, a Smokey, a Stump, a Ruth. E soprattutto a Idgie.
Quando ero piccola vidi il film e lo trovai stupendo, credo di averlo visto almeno una decina di volte (cioè ogni volta che lo passavano in tv) e non riuscivo a stancarmene.
Oggi, finalmente, ho letto il libro e ovviamente l'esperienza è stata più profonda e coinvolgente.
Il libro è scritto a più voci, in flashback, quindi abbiamo Ninny Threadgoode che racconta la storia dal suo punto di vista a Evelyn, e il settimanale di Whistle Stop, aggiornato dalla postina pettegola (mai cattiva) del paese, Dot Weems; tra queste due "fonti" principali, ci sono altri "inserti" più o meno anonimi, che riempiono i "buchi" delle due storie.
Questo libro parla di tutto, c'è tutto il mondo dentro queste pagine e mentre leggi ti senti insieme a tutti loro, a ridere (spesso) per le divertenti bugie del club dei sottaceti, a piangere per Ruth, a essere forte con Stump. Io mi sono sentita vicinissima a Idgie, intorno a cui ruotano le vicende di tutti gli altri. Si può dire anzi che sia lei che li faccia muovere, con la sua caparbietà, le sue segrete gentilezze, la sua sfacciataggine.
Non è facile nemmeno adesso, nel 2016, vivere come siamo realmente, ma nell'Alabama degli anni '30 doveva essere ancora peggio. Eppure lei non si è mai piegata di fronte a nessuno, nemmeno quando era piccola, sempre a fare quello che le piaceva. Nessuno poteva domarla.
Poi arrivò Ruth, e tutto cambiò.
Amare Ruth l'ha resa una persona migliore? Io non credo. Il cuore di Idgie era già buono, lo è sempre stato, ma forse Ruth le ha permesso di avere quella stabilità di cui aveva bisogno per star fuori dai guai seri.
La famiglia di Idgie rappresenta solo uno dei nuclei familiari raccontati nel libro.
Un altro è quello di Big George, uno dei "negri" amici di Idgie e alle dipendenze della famiglia da sempre. Il tema del razzismo è sempre presente tra le pagine del libro, e non potrebbe essere altrimenti, con le bande del KKK che ancora imperversavano in America.
Eppure Idgie riesce sempre a salvare se stessa, il Caffè e i suoi amici dagli attacchi degli incappucciati, anche quando arrivano da lontano (in cerca dell'ormai ex marito di Ruth, creduto assassinato). Il suo spirito indomito non l'abbandona mai, neppure quando dopo anni tentano di processarla per quell'omicidio (che poi sappiamo non essere stato commesso da lei, ma da Sipsey, la madre di Big George, per proteggere Stump, il bambino di Ruth).
E che dire poi di Ninny, una delle voci narranti, una trovatella adottata dai genitori di Idgie e sposata a suo fratello, che al momento si trova in una casa di riposo. Questa simpatica vecchietta che ogni tanto confonde passato e presente e che prende in simpatia la nuora di una dei residenti dell'ospizio, raccontandole tutto e, inconsapevolmente, cambiandole la vita (sembra sia una prerogativa dei Threadgoode, cambiare la vita delle persone).
Ed è proprio Evelyn, che ha ascoltato le storie di Ninny e ha amato tutti gli abitanti di Whistle Stop attraverso quelle storie, che si accorge che sulla tomba di Ruth c'è un messaggio di Idgie, che quindi è ancora viva da qualche parte.
Il libro non può che chiudersi con Idgie, che conserva ancora intatti il suo spirito, la sua gentilezza e la sua simpatia, e con la ricetta dei famosi pomodori verdi fritti, che credo farò al più presto!
Non era mia intenzione fare un riassunto del libro, è venuto da sé. Il fatto è che quando lo leggi direttamente riesci a sentire un sacco di cose, dal profumo del cibo servito al Caffè al calore di ogni personaggio ai suoi sentimenti più profondi, e ti senti in qualche modo "guarito". Io perlomeno mi sono sentita così, perciò non posso che consigliarlo a tutti.
Difficilmente troverò un altro libro del genere. Anche i libri più belli di questo (che sicuramente esistono) non avranno il suo potere.
Anarchic Rain
Posso finalmente dire che ho amato ogni pagina, ogni parola, ogni aneddoto. Ero lì, a Whistle Stop, insieme a Ninny, a Smokey, a Stump, a Ruth. E soprattutto a Idgie.
Quando ero piccola vidi il film e lo trovai stupendo, credo di averlo visto almeno una decina di volte (cioè ogni volta che lo passavano in tv) e non riuscivo a stancarmene.
Oggi, finalmente, ho letto il libro e ovviamente l'esperienza è stata più profonda e coinvolgente.
Il libro è scritto a più voci, in flashback, quindi abbiamo Ninny Threadgoode che racconta la storia dal suo punto di vista a Evelyn, e il settimanale di Whistle Stop, aggiornato dalla postina pettegola (mai cattiva) del paese, Dot Weems; tra queste due "fonti" principali, ci sono altri "inserti" più o meno anonimi, che riempiono i "buchi" delle due storie.
Questo libro parla di tutto, c'è tutto il mondo dentro queste pagine e mentre leggi ti senti insieme a tutti loro, a ridere (spesso) per le divertenti bugie del club dei sottaceti, a piangere per Ruth, a essere forte con Stump. Io mi sono sentita vicinissima a Idgie, intorno a cui ruotano le vicende di tutti gli altri. Si può dire anzi che sia lei che li faccia muovere, con la sua caparbietà, le sue segrete gentilezze, la sua sfacciataggine.
Non è facile nemmeno adesso, nel 2016, vivere come siamo realmente, ma nell'Alabama degli anni '30 doveva essere ancora peggio. Eppure lei non si è mai piegata di fronte a nessuno, nemmeno quando era piccola, sempre a fare quello che le piaceva. Nessuno poteva domarla.
Poi arrivò Ruth, e tutto cambiò.
Amare Ruth l'ha resa una persona migliore? Io non credo. Il cuore di Idgie era già buono, lo è sempre stato, ma forse Ruth le ha permesso di avere quella stabilità di cui aveva bisogno per star fuori dai guai seri.
La famiglia di Idgie rappresenta solo uno dei nuclei familiari raccontati nel libro.
Un altro è quello di Big George, uno dei "negri" amici di Idgie e alle dipendenze della famiglia da sempre. Il tema del razzismo è sempre presente tra le pagine del libro, e non potrebbe essere altrimenti, con le bande del KKK che ancora imperversavano in America.
Eppure Idgie riesce sempre a salvare se stessa, il Caffè e i suoi amici dagli attacchi degli incappucciati, anche quando arrivano da lontano (in cerca dell'ormai ex marito di Ruth, creduto assassinato). Il suo spirito indomito non l'abbandona mai, neppure quando dopo anni tentano di processarla per quell'omicidio (che poi sappiamo non essere stato commesso da lei, ma da Sipsey, la madre di Big George, per proteggere Stump, il bambino di Ruth).
E che dire poi di Ninny, una delle voci narranti, una trovatella adottata dai genitori di Idgie e sposata a suo fratello, che al momento si trova in una casa di riposo. Questa simpatica vecchietta che ogni tanto confonde passato e presente e che prende in simpatia la nuora di una dei residenti dell'ospizio, raccontandole tutto e, inconsapevolmente, cambiandole la vita (sembra sia una prerogativa dei Threadgoode, cambiare la vita delle persone).
Ed è proprio Evelyn, che ha ascoltato le storie di Ninny e ha amato tutti gli abitanti di Whistle Stop attraverso quelle storie, che si accorge che sulla tomba di Ruth c'è un messaggio di Idgie, che quindi è ancora viva da qualche parte.
Il libro non può che chiudersi con Idgie, che conserva ancora intatti il suo spirito, la sua gentilezza e la sua simpatia, e con la ricetta dei famosi pomodori verdi fritti, che credo farò al più presto!
Non era mia intenzione fare un riassunto del libro, è venuto da sé. Il fatto è che quando lo leggi direttamente riesci a sentire un sacco di cose, dal profumo del cibo servito al Caffè al calore di ogni personaggio ai suoi sentimenti più profondi, e ti senti in qualche modo "guarito". Io perlomeno mi sono sentita così, perciò non posso che consigliarlo a tutti.
Difficilmente troverò un altro libro del genere. Anche i libri più belli di questo (che sicuramente esistono) non avranno il suo potere.
Anarchic Rain
martedì 20 settembre 2016
La zona morta di Stephen King
Togliamoci subito il pensiero. Questo libro è stupendo e va letto.
Ora vi dico la mia.
I libri di King sono famosi per l'introspezione psicologica dei personaggi, tra le altre cose. E sono famigerati per i finali spesso (troppo spesso) non all'altezza della storia che li precede.
Il protagonista di questo libro si chiama Johnny Smith ed è tra i personaggi più positivi di King. Positivi in senso assoluto. Non c'è niente che non ci piaccia di Johnny, non ci risparmiamo di soffrire per lui, per le cose che gli capitano. Gli vogliamo bene, come se fosse nostro fratello, nostro figlio, il nostro migliore amico.
E' terribile assistere al suo incidente (quello da grande, soprattutto) e ancora più terribile sentirlo "accartocciarsi" quando si risveglia e si accorge di aver perso quattro anni e mezzo della sua vita. Della vita dei suoi genitori, della vita della sua (quasi) ragazza, ormai sposata.
Ed è terribile renderci conto che ci sono cose che devono essere fatte e che lui ne ha il compito. Forse dio meriterebbe davvero una scrollata se esistesse, come dice Johnny. Se non altro, per il suo sadismo.
Il finale, contrariamente alle aspettative (scarse) è assolutamente potente. Il countdown di Johnny, il suo dolore (fisico) che incalza, la folla ignara. E' tutto perfetto, un finale degno, come pochi.
Tra le varie cose stupende del libro, ovviamente non posso non menzionare i richiami alle altre sue opere, in particolare a Carrie: non solo viene citato il libro da uno dei personaggi marginali, ma non avete pensato anche voi che la madre di Johnny fosse molto, molto simile a Margaret White, la madre di Carrie? La sua mania religiosa è troppo drammaticamente simile a quella dell'altra, anche se per fortuna lei ha Herb, suo marito, un marito che la ama nonostante tutto, che riesce a tenere a freno la sua mania e quando non ci riesce più lui interviene il destino. Eppure sono anche diverse, perché Carrie non poteva far altro che odiare sua madre, mentre Johnny la sua l'ha sempre amata, fino alla fine. Una differenza sostanziale, direi.
E che dire del riferimento alla Torre, quando la torre ancora in teoria non esisteva? Johnny alla fiera fatale, alla fine della sua giocata alla roulette (il Ka, dopotutto, è una ruota), punta tutto su un numero. 19. E vince. Ma perde, anche, e di brutto. Esattamente nello spirito della Torre.
La domanda che mi ronza in testa da quando ho iniziato il libro è: cosa farei io al posto suo? Riuscirei a fare quello che deve essere fatto? Avrei il coraggio di Johnny? Non penso, no. Più mi arrovello, più la risposta che mi appare nitida è NO. Non avrei il suo coraggio, nemmeno in punto di morte.
Leggete questo libro, ne vale la pena, pagina dopo pagina, parola dopo parola.
Anarchic Rain
Ora vi dico la mia.
I libri di King sono famosi per l'introspezione psicologica dei personaggi, tra le altre cose. E sono famigerati per i finali spesso (troppo spesso) non all'altezza della storia che li precede.
Il protagonista di questo libro si chiama Johnny Smith ed è tra i personaggi più positivi di King. Positivi in senso assoluto. Non c'è niente che non ci piaccia di Johnny, non ci risparmiamo di soffrire per lui, per le cose che gli capitano. Gli vogliamo bene, come se fosse nostro fratello, nostro figlio, il nostro migliore amico.
E' terribile assistere al suo incidente (quello da grande, soprattutto) e ancora più terribile sentirlo "accartocciarsi" quando si risveglia e si accorge di aver perso quattro anni e mezzo della sua vita. Della vita dei suoi genitori, della vita della sua (quasi) ragazza, ormai sposata.
Ed è terribile renderci conto che ci sono cose che devono essere fatte e che lui ne ha il compito. Forse dio meriterebbe davvero una scrollata se esistesse, come dice Johnny. Se non altro, per il suo sadismo.
Il finale, contrariamente alle aspettative (scarse) è assolutamente potente. Il countdown di Johnny, il suo dolore (fisico) che incalza, la folla ignara. E' tutto perfetto, un finale degno, come pochi.
Tra le varie cose stupende del libro, ovviamente non posso non menzionare i richiami alle altre sue opere, in particolare a Carrie: non solo viene citato il libro da uno dei personaggi marginali, ma non avete pensato anche voi che la madre di Johnny fosse molto, molto simile a Margaret White, la madre di Carrie? La sua mania religiosa è troppo drammaticamente simile a quella dell'altra, anche se per fortuna lei ha Herb, suo marito, un marito che la ama nonostante tutto, che riesce a tenere a freno la sua mania e quando non ci riesce più lui interviene il destino. Eppure sono anche diverse, perché Carrie non poteva far altro che odiare sua madre, mentre Johnny la sua l'ha sempre amata, fino alla fine. Una differenza sostanziale, direi.
E che dire del riferimento alla Torre, quando la torre ancora in teoria non esisteva? Johnny alla fiera fatale, alla fine della sua giocata alla roulette (il Ka, dopotutto, è una ruota), punta tutto su un numero. 19. E vince. Ma perde, anche, e di brutto. Esattamente nello spirito della Torre.
La domanda che mi ronza in testa da quando ho iniziato il libro è: cosa farei io al posto suo? Riuscirei a fare quello che deve essere fatto? Avrei il coraggio di Johnny? Non penso, no. Più mi arrovello, più la risposta che mi appare nitida è NO. Non avrei il suo coraggio, nemmeno in punto di morte.
Leggete questo libro, ne vale la pena, pagina dopo pagina, parola dopo parola.
Anarchic Rain
domenica 4 settembre 2016
Libri e settima arte. Parte II: Dracula
Immagine presa da Libreriamo |
Eccoci qui. Giusto questa settimana ho visto i dieci episodi dell'unica stagione di una serie TV che inspiegabilmente è stata intitolata Dracula.
Suppongo tutti conosciamo Dracula, quantomeno per sentito dire. Il vampiro dei vampiri, il terrore dei Carpazi, il galante, seducente e terrificante Conte, nato dalla geniale penna di Bram Stoker (non dalla geniale cinepresa di Francis Ford Coppola, come alcuni pensano). Insomma, lui.
Dimenticatevelo.
Avrebbero potuto dare alla serie qualsiasi altro titolo, che ne so, tipo Il vampiro perennemente in calore oppure Facciamo a chi è più stupido oppure Giro girotondo.
Ma giustamente perché non usare un nome famoso, per attirare pubblico?
Così è andata.
L'unica cosa gotica della serie è rappresentata dai costumi: tutti neri, quasi nessuno escluso, tranne l'abito di fidanzamento di Mina che è bianco (e già qui...). Le musiche ci provano ma non ci riescono e non riescono manco a sopperire la mancanza di pathos e tensione dell'intera produzione.
Veniamo alla vera nota dolente.
I protagonisti.
Evidentemente fan del film di Coppola (bello, per carità, uno dei miei preferiti, ma avete mai sentito parlare di originalità?), il regista ha deciso che anche in questo caso il nostro povero Conte sarebbe stato più drammaticamente drammatico se l'anima della sua povera e torturata moglie, nonché le sue sembianze, fossero rinate in una donna (dai, chiamiamola donna) del diciannovesimo secolo. Quindi ecco di nuovo Mina fotocopia di Ilona (sì, la moglie, per la quale un nome del genere non era evidentemente castigo sufficiente, ci voleva un rogo).
Sprizzo unico di originalità è affidato al motivo della vampirizzazione di Dracula: in due parole, l'hanno fregato gli inglesi. Quindi lui torna per vendicarsi.
E chi gli permette di tornare? Reggetevi forte: Van Helsing. Che ha un conto in sospeso con gli stessi suoi inglesi. A lui hanno solo bruciato casa, moglie e figli, senza vampirizzarlo. Che cu*o.
In tutto ciò, Harker è un giornalista spiantato di belle speranze (tutte completamente infrante, perché in realtà è un idiota patentato) che viene assunto da Dracula per pietà, nonché per tenersi vicina Mina.
E qui arriviamo al fior fiore della serie: invece che una semplice maestra (forse unico ruolo lavorativo permesso a una donna a quel tempo), è la più geniale promessa della medicina moderna, allieva di un certo Van. Come no.
Una delle cose più esilaranti sono i cattivi della situazione: non i vampiri, no, troppo facile. Un gruppo scoordinato e totalmente nonsense che si fa chiamare Ordine del Drago e che in teoria i vampiri dovrebbe ammazzarli. Il capo di questo gruppo è quello che ha bruciato casa e famiglia a Van Helsing e il vice è una donna che finisce a letto con Dracula in meno di 30 secondi dalla presentazione -.-
Ve l'ho già detto che per indebolire l'Ordine del Drago che si regge sul petrolio, Dracula decide di portare a Londra la LUCE (elettrica)? Sento ridere, ma vi giuro che è così.
L'unico personaggio veramente figo è Renfield, che ovviamente è il primo a schiattare. Ma porc.........!!!
Ah, dimenticavo: la serie non finisce perché è stata cancellata dopo la prima stagione.
Viene da chiedersi COME MAI.
Anarchic Rain
mercoledì 31 agosto 2016
Jim Morrison. Vita, morte e leggenda di Stephen Davis
È il lato oscuro. Più civilizzati diventiamo in superficie, più le altre forze trovano pretesti. [...] La gente sente che sta morendo in un brutto ambiente [...] Cantiamo, balliamo, intoniamo le nostre cantilene, facciamo musica per curare questa malattia, per riportare armonia nel mondo.
È la prima volta che leggo una biografia del Re Lucertola. Non avevo idea di quello che sarebbe successo.
Durante la lettura di quelle pagine, che raccontano una vita molto più affascinante di una qualsiasi storia inventata, mi sono ritrovata catapultata agli anni del liceo, quando in un momento di ribellione (più interiore che dichiarata, in realtà) comprai il mio primo cd dei Doors, il loro primo album.
Avevo sentito parlare di loro, naturalmente, del loro carismatico leader, Jim Morrison, le sue frasi doverosamente già scritte sui miei diari di scuola, come assiomi inconfutabili di un guru evanescente.
L'amore che provai per quelle canzoni è stato immediato, come solo un'adolescente può fare. Anche se non mi descrivevano e non rispecchiavano la mia vita esteriore (ero una ragazzina timida, che non parlava molto, col naso sempre nei libri), le sentivo dentro, mi rimbombavano nella mente e anche nelle vene, per quanto le ascoltassi non me ne riuscivo a stancare.
Ho comprato questo libro anni fa, decidendomi a leggerlo solo ora.
Ho provato lo stesso colpo al cuore che provavo allora.
Questa biografia fa il suo porco lavoro. Fa quello che ogni biografia dovrebbe fare. Fa venire voglia non solo di andare di corsa a comprare tutti gli album dei Doors, ma anche di costruire una macchina del tempo e andare da Jim Morrison per farci quattro chiacchiere. Sono sicura che l'autore sia un grande fan di Jim, perché questo libro è ispirato e appassionato.
Forse non è completamente obiettivo nei confronti di quel ragazzo che non era solo uno scapestrato. Ma riassume in quasi seicento pagine non solo una vita, ma un'epoca intera.
Il "mito" americano del "sex, drugs and rock and roll" è spiegato in questo libro nei minimi dettagli. Non veniamo solo a sapere di Jim, Pamela, Ray, John, Robbie, Jac, Babe e tutti quelli dell'entourage di Jim, delle sue amichette, delle groupies, delle sue conquiste (Nico per esempio) e della sua presunta omosessualità. Ci addentriamo nel mondo dello show-business di quell'epoca sconclusionata, un mondo fatto perlopiù di gente fumata o bevuta o peggio, che non cercava di "proteggere" in qualche modo i suoi artisti, anzi, quasi li incoraggiava a "viaggiare" pensando di poterli sfruttare di più. Non che Jim Morrison si sarebbe fatto fermare da uno qualsiasi di loro, il ritratto che ne esce è quello di un ragazzo estremamente intelligente e cocciuto, ma sicuramente le cose avrebbero potuto essere diverse.
Una figura quasi totalmente negativa (che non mi aspettavo) è quella di Pamela Courson, la leggendaria fidanzata di Jim, che probabilmente fu responsabile (o almeno complice) della distruzione di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi. Ma Jim la amava davvero, almeno da quello che risulta da queste pagine...la amava di un amore tenero e violento, che alternava fasi di tranquillità a fasi isteriche. Un amore consumante, a dir poco. Forse da adolescente lo avrei apprezzato. Oggi no.
A parte l'immensa cultura di Jim e la sua energia e le sue inquietudini, una cosa che mi ha fatto sorridere è che il suo poeta preferito è anche il mio. Arthur Rimbaud. Quando avevo 16 anni, ho passato giorni interi a cercare di capire il suo "ragionato disordine di tutti i sensi". Jim non solo l'ha capito: l'ha messo in pratica come io non avrei potuto fare mai. Anche solo per questo potrei venerarlo.
Anarchic Rain
PS: c'erano i bagarini anche nel 1968 -.-
È la prima volta che leggo una biografia del Re Lucertola. Non avevo idea di quello che sarebbe successo.
Durante la lettura di quelle pagine, che raccontano una vita molto più affascinante di una qualsiasi storia inventata, mi sono ritrovata catapultata agli anni del liceo, quando in un momento di ribellione (più interiore che dichiarata, in realtà) comprai il mio primo cd dei Doors, il loro primo album.
Avevo sentito parlare di loro, naturalmente, del loro carismatico leader, Jim Morrison, le sue frasi doverosamente già scritte sui miei diari di scuola, come assiomi inconfutabili di un guru evanescente.
L'amore che provai per quelle canzoni è stato immediato, come solo un'adolescente può fare. Anche se non mi descrivevano e non rispecchiavano la mia vita esteriore (ero una ragazzina timida, che non parlava molto, col naso sempre nei libri), le sentivo dentro, mi rimbombavano nella mente e anche nelle vene, per quanto le ascoltassi non me ne riuscivo a stancare.
Ho comprato questo libro anni fa, decidendomi a leggerlo solo ora.
Ho provato lo stesso colpo al cuore che provavo allora.
Questa biografia fa il suo porco lavoro. Fa quello che ogni biografia dovrebbe fare. Fa venire voglia non solo di andare di corsa a comprare tutti gli album dei Doors, ma anche di costruire una macchina del tempo e andare da Jim Morrison per farci quattro chiacchiere. Sono sicura che l'autore sia un grande fan di Jim, perché questo libro è ispirato e appassionato.
Forse non è completamente obiettivo nei confronti di quel ragazzo che non era solo uno scapestrato. Ma riassume in quasi seicento pagine non solo una vita, ma un'epoca intera.
Il "mito" americano del "sex, drugs and rock and roll" è spiegato in questo libro nei minimi dettagli. Non veniamo solo a sapere di Jim, Pamela, Ray, John, Robbie, Jac, Babe e tutti quelli dell'entourage di Jim, delle sue amichette, delle groupies, delle sue conquiste (Nico per esempio) e della sua presunta omosessualità. Ci addentriamo nel mondo dello show-business di quell'epoca sconclusionata, un mondo fatto perlopiù di gente fumata o bevuta o peggio, che non cercava di "proteggere" in qualche modo i suoi artisti, anzi, quasi li incoraggiava a "viaggiare" pensando di poterli sfruttare di più. Non che Jim Morrison si sarebbe fatto fermare da uno qualsiasi di loro, il ritratto che ne esce è quello di un ragazzo estremamente intelligente e cocciuto, ma sicuramente le cose avrebbero potuto essere diverse.
Una figura quasi totalmente negativa (che non mi aspettavo) è quella di Pamela Courson, la leggendaria fidanzata di Jim, che probabilmente fu responsabile (o almeno complice) della distruzione di una delle più grandi rockstar di tutti i tempi. Ma Jim la amava davvero, almeno da quello che risulta da queste pagine...la amava di un amore tenero e violento, che alternava fasi di tranquillità a fasi isteriche. Un amore consumante, a dir poco. Forse da adolescente lo avrei apprezzato. Oggi no.
A parte l'immensa cultura di Jim e la sua energia e le sue inquietudini, una cosa che mi ha fatto sorridere è che il suo poeta preferito è anche il mio. Arthur Rimbaud. Quando avevo 16 anni, ho passato giorni interi a cercare di capire il suo "ragionato disordine di tutti i sensi". Jim non solo l'ha capito: l'ha messo in pratica come io non avrei potuto fare mai. Anche solo per questo potrei venerarlo.
Anarchic Rain
PS: c'erano i bagarini anche nel 1968 -.-
sabato 27 agosto 2016
Doctor Sleep di Stephen King
Posso proprio dire che queste sono state le Olimpiadi dello zio!
Ne sono felice.
E sono felice che DS non sia la sonora schifezza che mi ero immaginata, quando uscì con l'immancabile etichetta di "sequel" di Shining. Come se lo zio al momento avesse bisogno di etichette.
E comunque mi sono accorta che non è nemmeno un seguito vero e proprio.
Come ci tiene a dire lo stesso King nella sua postfazione, DS è soltanto una sbirciatina a quello che è successo al piccolo Danny e alla sua luccicanza una volta adulto. E a Tony, ovviamente.
Insomma una storia che con Shining non c'entra molto, se non di striscio. Chiude un cerchio, ecco.
Cose che mi sono piaciute del libro: Dan (il vecchio Danny Torrance), perché è simpatico e tenero e perché riesce a rialzarsi anche quando sembra non avere più un briciolo di fiducia in se stesso; Abra (lei sarebbe la prima della classifica), perché King sa esattamente (ma va'?) come descriverci i turbamenti di una ragazzina che ha un grande potere (da piccola è come un gioco, poi man mano che cresce lo sente pericoloso, ma soprattutto come una vergogna, da nascondere, finché almeno non incontra Tony -e Dan- un altro come lei); l'atmosfera generale (mi piace lo zio quando scrive romanzi di crescita, per carità non come IT o The body, ci mancherebbe, ma si è impegnato con i due protagonisti di DS, e chiudere i conti con il passato non è mai facile né indolore); l'Overlook o quello che ne rimane (il piccolo Danny è scappato da quel posto quando aveva 5 anni, ora che ne ha quasi quaranta, cosa farà?).
Cose che mi hanno lasciata un po' perplessa: il Vero Nodo. Posso anche ammettere che il potere di Abra è talmente forte che nemmeno loro (che sono vecchi di centinaia di anni) ne abbiano mai affrontato uno simile e quindi lo sottovalutino e quindi ne paghino tutte le conseguenze, ma mi sono sembrati un po' ridicoli e caricaturali. Anche la malvagità di Rose (nonostante in un paio di occasioni io sia saltata dal divano) mi è sembrata tutta fuffa. O forse lei è stata troppo presuntuosa, nonostante ci fossero molti segni ad indicarle che con Abra era meglio non scherzare.
Altra cosa che più che lasciarmi perplessa mi ha fatto storcere il naso è quando King, per farci capire che la ragazzina, a parte il dono, è esattamente come tutte le ragazzine di tredici anni del mondo, le appioppa dei gusti musicali e letterari da bimbaminchia (non mi viene un altro termine): va pazza per le boyband del momento (arrivando a scrivere i loro nomi centinaia di volte su un foglio) e per...ehm...Tuailait. Ecco, capisco che non sarebbe stato verosimile se avesse preferito Jeff Buckley o Janis Joplin, oppure Mary Shelley o Anne Rice, ma tra la m*rda e la cioccolata, ci sono altre gradazioni, no? O magari è stato il senso dell'umorismo di King (che stavolta mi è sfuggito)...
La piccola Abra mi ha ricordato subito qualcuno, ma non capivo chi. Poi, l'illuminazione: Kira di Mucchio d'ossa. A quel punto, potevo non amarla? No, ovviamente. E mentre Kira la conosciamo solo da piccola, vediamo Abra crescere negli anni più difficili, l'adolescenza, quel mostro a 75 denti che sembra non volerti mai più lasciar andare. E invece poi succede.
Leggetelo, ma non senza aver letto Shining: vi perdereste un mucchio di riferimenti e poi un libro del genere a cosa serve se non a farti venire la nostalgia?
Anarchic Rain
Ne sono felice.
E sono felice che DS non sia la sonora schifezza che mi ero immaginata, quando uscì con l'immancabile etichetta di "sequel" di Shining. Come se lo zio al momento avesse bisogno di etichette.
E comunque mi sono accorta che non è nemmeno un seguito vero e proprio.
Come ci tiene a dire lo stesso King nella sua postfazione, DS è soltanto una sbirciatina a quello che è successo al piccolo Danny e alla sua luccicanza una volta adulto. E a Tony, ovviamente.
Insomma una storia che con Shining non c'entra molto, se non di striscio. Chiude un cerchio, ecco.
Cose che mi sono piaciute del libro: Dan (il vecchio Danny Torrance), perché è simpatico e tenero e perché riesce a rialzarsi anche quando sembra non avere più un briciolo di fiducia in se stesso; Abra (lei sarebbe la prima della classifica), perché King sa esattamente (ma va'?) come descriverci i turbamenti di una ragazzina che ha un grande potere (da piccola è come un gioco, poi man mano che cresce lo sente pericoloso, ma soprattutto come una vergogna, da nascondere, finché almeno non incontra Tony -e Dan- un altro come lei); l'atmosfera generale (mi piace lo zio quando scrive romanzi di crescita, per carità non come IT o The body, ci mancherebbe, ma si è impegnato con i due protagonisti di DS, e chiudere i conti con il passato non è mai facile né indolore); l'Overlook o quello che ne rimane (il piccolo Danny è scappato da quel posto quando aveva 5 anni, ora che ne ha quasi quaranta, cosa farà?).
Cose che mi hanno lasciata un po' perplessa: il Vero Nodo. Posso anche ammettere che il potere di Abra è talmente forte che nemmeno loro (che sono vecchi di centinaia di anni) ne abbiano mai affrontato uno simile e quindi lo sottovalutino e quindi ne paghino tutte le conseguenze, ma mi sono sembrati un po' ridicoli e caricaturali. Anche la malvagità di Rose (nonostante in un paio di occasioni io sia saltata dal divano) mi è sembrata tutta fuffa. O forse lei è stata troppo presuntuosa, nonostante ci fossero molti segni ad indicarle che con Abra era meglio non scherzare.
Altra cosa che più che lasciarmi perplessa mi ha fatto storcere il naso è quando King, per farci capire che la ragazzina, a parte il dono, è esattamente come tutte le ragazzine di tredici anni del mondo, le appioppa dei gusti musicali e letterari da bimbaminchia (non mi viene un altro termine): va pazza per le boyband del momento (arrivando a scrivere i loro nomi centinaia di volte su un foglio) e per...ehm...Tuailait. Ecco, capisco che non sarebbe stato verosimile se avesse preferito Jeff Buckley o Janis Joplin, oppure Mary Shelley o Anne Rice, ma tra la m*rda e la cioccolata, ci sono altre gradazioni, no? O magari è stato il senso dell'umorismo di King (che stavolta mi è sfuggito)...
La piccola Abra mi ha ricordato subito qualcuno, ma non capivo chi. Poi, l'illuminazione: Kira di Mucchio d'ossa. A quel punto, potevo non amarla? No, ovviamente. E mentre Kira la conosciamo solo da piccola, vediamo Abra crescere negli anni più difficili, l'adolescenza, quel mostro a 75 denti che sembra non volerti mai più lasciar andare. E invece poi succede.
Leggetelo, ma non senza aver letto Shining: vi perdereste un mucchio di riferimenti e poi un libro del genere a cosa serve se non a farti venire la nostalgia?
Anarchic Rain
martedì 23 agosto 2016
La casa per bambini speciali di Miss Peregrine di Ransom Riggs
Finalmente ho letto questo libro così chiacchierato, contravvenendo un po' ai miei principi (aspettare che l'onda primaria del successo passi per vedere se era tutta fuffa), ma ho una sfida in corso (olimpionica) e quello che ho a casa deve bastare...
E allora? Era tutta fuffa?
Difficilissimo rispondere a questa domanda. O meglio, per essere difficile, forse la risposta è no, altrimenti che ci vorrebbe a dire "che libro ridicolo!".
Partiamo dalle cose facili (e non sempre ovvie, specie nel panorama editoriale odierno): è scritto bene. C'ho messo circa sette ore a leggerlo da capo a piedi (non è lunghissimo, ma raggiunge il dignitosissimo numero di trecentoottantaquattro pagine, se ne togliamo una ventina per le foto, che sono la parte più interessante, comunque è un discreto numero) e devo dire che la lettura in sé è stata piacevole. Nonostante degli anacronismi intrinseci (secondo me l'età del nonno a un certo punto si confonde, da dodici anni che dovrebbe avere, se ne ritrova almeno venti, suppongo per esigenze di copione, ma è un po' incasinato questo punto, o sono io che non ho capito bene), è anche una buona storia, centrata su Jacob e sui "bambini" speciali che trova in una casa-orfanotrofio seguendo le indicazioni del nonno defunto.
Sono anche un po' curiosa di vedere ciò che Tim Burton ne ha fatto, ma non muoio di curiosità ecco.
A parte questi due punti a favore, ci sono cose che non sono proprio nelle mie corde: quello che fanno i bambini speciali è totalmente fine a se stesso, non serve a niente e a nessuno, nemmeno a loro. Sono nati così e si porteranno per sempre questa croce dietro. Inoltre, nonostante quello che si afferma nel retrocopertina, questo romanzo non è un incrocio tra Harry Potter e David Lynch (poi mi spiegate che razza di accostamenti sarebbero, eh, forse sono troppo stupida per capirlo), sembra più vicino a Labyrinth.
Le storie di maghi e simili non mi hanno mai affascinato, nonostante possa aver trovato piacevole leggere le loro storie quando scritte bene. Nemmeno da piccola, in effetti. E ripeto, questa passione per le trilogie proprio non la capisco. Non so se leggerò gli altri due, questo poteva essere carino perché novità, ma altri due così, mah. Forse gli darò il beneficio del dubbio.
Leggero sì o leggerlo no? Se avete tredici anni probabilmente vi potrebbe appassionare, se ne avete...diciamo, più di trenta...magari no.
Anarchic Rain
PS: la cosa buffa è che anche in questo libro, come nel precedente di King, ho trovato un riferimento a Jeffrey Dahmer, un serial killer americano, che in questa finzione sarebbe uno Spettro. Non è una buffa coincidenza?
E allora? Era tutta fuffa?
Difficilissimo rispondere a questa domanda. O meglio, per essere difficile, forse la risposta è no, altrimenti che ci vorrebbe a dire "che libro ridicolo!".
Partiamo dalle cose facili (e non sempre ovvie, specie nel panorama editoriale odierno): è scritto bene. C'ho messo circa sette ore a leggerlo da capo a piedi (non è lunghissimo, ma raggiunge il dignitosissimo numero di trecentoottantaquattro pagine, se ne togliamo una ventina per le foto, che sono la parte più interessante, comunque è un discreto numero) e devo dire che la lettura in sé è stata piacevole. Nonostante degli anacronismi intrinseci (secondo me l'età del nonno a un certo punto si confonde, da dodici anni che dovrebbe avere, se ne ritrova almeno venti, suppongo per esigenze di copione, ma è un po' incasinato questo punto, o sono io che non ho capito bene), è anche una buona storia, centrata su Jacob e sui "bambini" speciali che trova in una casa-orfanotrofio seguendo le indicazioni del nonno defunto.
Sono anche un po' curiosa di vedere ciò che Tim Burton ne ha fatto, ma non muoio di curiosità ecco.
A parte questi due punti a favore, ci sono cose che non sono proprio nelle mie corde: quello che fanno i bambini speciali è totalmente fine a se stesso, non serve a niente e a nessuno, nemmeno a loro. Sono nati così e si porteranno per sempre questa croce dietro. Inoltre, nonostante quello che si afferma nel retrocopertina, questo romanzo non è un incrocio tra Harry Potter e David Lynch (poi mi spiegate che razza di accostamenti sarebbero, eh, forse sono troppo stupida per capirlo), sembra più vicino a Labyrinth.
Le storie di maghi e simili non mi hanno mai affascinato, nonostante possa aver trovato piacevole leggere le loro storie quando scritte bene. Nemmeno da piccola, in effetti. E ripeto, questa passione per le trilogie proprio non la capisco. Non so se leggerò gli altri due, questo poteva essere carino perché novità, ma altri due così, mah. Forse gli darò il beneficio del dubbio.
Leggero sì o leggerlo no? Se avete tredici anni probabilmente vi potrebbe appassionare, se ne avete...diciamo, più di trenta...magari no.
Anarchic Rain
PS: la cosa buffa è che anche in questo libro, come nel precedente di King, ho trovato un riferimento a Jeffrey Dahmer, un serial killer americano, che in questa finzione sarebbe uno Spettro. Non è una buffa coincidenza?
lunedì 22 agosto 2016
Tutto è fatidico di Stephen King
Ammetto di aver iniziato questo libro con sentimenti contrastanti. Anzi, forse contrastanti è fin troppo diplomatico per quello che provavo due giorni fa: le ultime due raccolte del Re che ho letto, Il bazar dei brutti sogni e Notte buia niente stelle, mi avevano lasciato con l'amaro in bocca e il timore che provavo mentre aprivo il libro a pagina 1 dell'introduzione era poco meno che reverenziale.
C'avevo già provato con Notte buia ed era andata male, ma stavolta già al primo racconto ho fatto un salto. Di gioia. Finalmente! Ecco il Re che tutti conoscono, amano e si aspettano.
Una raccolta molto bella, molto variegata, scritta con la solita impeccabilità di King, che stavolta era ispirato come non mai. Così a caldo mi vengono in mente i riferimenti alle sue altre opere (la Torre Nera su tutti, con due racconti di cui in uno il protagonista è Roland stesso, nell'altro è Dinky Earnshaw) e i due accenni a JFK (è sempre stato il tuo pallino, eh, zio?)
Tra le cose più belle del libro ci sono anche l'introduzione generale e le mini-introduzioni che precedono ogni racconto spiegandone la genesi (a volte sono dei post-scriptum).
Grazie-sai.
Vediamo racconto per racconto questo gioiellino.
AUTOPSIA 4: si inizia con un racconto molto classico sulla morte apparente; invece della sepoltura prematura (Poe, anyone?), abbiamo un'autopsia prematura, che sta per essere eseguita su un uomo che non è morto, è solo stato morso da un serpente con un veleno paralizzante. Non so dirvi perché questo racconto è geniale, ma forse è un po' nell'insieme: è in prima persona, ha scatti di ironia inaspettata, colui che sembra solo un idiota alla fine risolve la faccenda, e poi il finale, assolutamente e deliziosamente "nero": nonostante il malcapitato si salvi, la sua vita non può riprendere a scorrere come prima e ci tiene a farci sapere che ormai è impotente a meno che la donna non indossi dei guanti di gomma! Ho troppo riso, mi sono immaginata lo zio seduto al suo computer che metteva il punto alla storia e scoppiava in una risata (un po' isterica, forse, un po' emozionata, come quando si finisce qualcosa e non era così sicuri che ce l'avremmo fatta).
L'UOMO VESTITO DI NERO: altro classicone dello zio, un ragazzino che incontra il diavolo, ne rimane paralizzato, poi affascinato e poi terrorizzato. Un incontro che non dimenticherà mai più. Mi ha ricordato molto Riding the bullet, ma più horror.
TUTTO CIO' CHE AMI TI SARA' PORTATO VIA: bellissimo! Mi è piaciuto un sacco, davvero, l'ho trovato decadente ma tenero, assolutamente reale. Un uomo come ce ne sono tanti, ma con qualcosa in più, una curiosità forse, che supera la media delle persone della sua età, un uomo che ha deciso di farla finita, che pensa che ormai la sua vita non vale niente e, attraverso una strada tortuosa (che passa attraverso molte strade d'America), che invece la ritrova e se la tiene stretta stretta. Mi ha commosso, piuttosto profondamente.
LA MORTE DI JACK HAMILTON: basato su una storia vera, quella di John Dillinger e della sua banda, negli ultimi fuochi della loro "carriera". Mi è sembrato un racconto molto personale, anche se lontano dagli standard del Re, molto sentito. E mi sono un po' immedesimata anch'io, che con una banda di "ladri" non ho mai avuto niente a che fare, per un secondo mi è persino dispiaciuto per tutti loro, per i loro sogni infranti e la loro amicizia spezzata. E perché no?
LA CAMERA DELLA MORTE: un racconto claustrofobico, in cui tutto quello che c'è si vede sotto una patina grigia e in qualche modo dura, in cui si sa che finirà male. Il punto è che lo farà, ma non per chi pensiamo noi. Al di là del modo in cui King sa raccontare le storie, questa non l'ho capita molto bene, cioè non ho capito dove volesse andare a parare, qual era il significato recondito. Rimane una storia scritta benissimo e con suspance a secchi, ma se dovessi fare una classifica di tutti e quattordici i racconti, probabilmente starebbe in ultima o penultima posizione.
LE PICCOLE SORELLE DI ELURIA: come dire...tornare nel mondo di Roland Deschain è sempre un piacere supremo, anche se la storiella delle vampire zingare e blatte inside non è proprio entusiasmante. Roland sta per arrivare nel deserto che segna l'inizio del suo cammino come noi lo conosciamo e si trova a "lottare" (se così si può dire, essendo completamente immobilizzato e drogato) contro una setta di vampire un po' sui generis, che ti curano prima di spolparti vivo e hanno un sistema gerarchico che fa acqua da tutte le parti.
TUTTO E' FATIDICO: splendido. Non solo perché è davvero scritto bene e ha una storia "forte", ma anche perché è un prequel a un episodio della Torre, ossia la guerra di Algul Siento. Il protagonista della storia è Dinky Earnshaw, lo stesso Dinky "frangitore" che insieme a Ted Brautighan e Sheemie figlio di Stanley aiutano Roland a stabilizzare uno degli ultimi due Vettori per non far crollare la Torre. Questa è la storia di come Dinky è stato assoldato da uno degli uomini bassi (bastardi!).
LA TEORIA DEGLI ANIMALI DI L.T.: messaggio della storia: non regalate mai un animale a qualcuno! Messaggio di King: fatelo, tanto le cose andranno sempre come devono andare, specie tra marito e moglie.
IL VIRUS DELLA STRADA VA A NORD: spettacolo! Questo è il vero racconto horror della raccolta. Spettrale, inquietante, da brivido! Cosa fareste se un quadro particolarmente inquietante iniziasse a vivere di vita propria e ad uccidere le persone che incontrate? Per poi arrivare da voi...
PRANZO AL GOTHAM CAFE': esilarante. Un giorno di ordinaria follia per un maitre in un caffè di Manhattan. Anche qui ci sono un paio di non-sense, ma in definitiva un racconto godibilissimo!
QUELLA SENSAZIONE CHE PUOI DIRE SOLTANTO IN FRANCESE: altra personale interpretazione dell'inferno secondo King. Diversa da tutte le altre! Inferno è ripetizione, essere costretti a rivivere il momento cruciale senza poter fare niente per cambiare le cose.
1408: finalmente ora posso vedere il film. Una stanza di albergo che è più stregata della 217 dell'Overlook Hotel. Ma davvero? Entrare per credere.
RIDING THE BULLET: un racconto che lessi nel 1999 quando uscì con il CD-ROM in allegato e che mi colpì come una bomba. Mi ha colpito con la stessa forza dopo quasi venti anni e credo che tra vent'anni mi colpirà ancora più forte. Chi sceglieresti tra te stesso e tua madre in caso un autostoppista zombie ti chiedesse chi deve morire per primo?
LA MONETA PORTAFORTUNA: io avrei concluso il libro con il racconto precedente, tipo "la botta finale", questo mi è sembrato troppo modesto (e anche molto breve) per una raccolta che ha dei piccoli capolavori. Ma tant'è, non ci possiamo fare niente, ormai. La madre che fa la cameriera e a cui viene lasciata in mancia una presunta moneta fortunata la userà o no?
Dunque! Leggere o non leggere questo libro? Leggerlo, ovviamente, e anche un paio di volte, almeno alcuni dei racconti. Non sempre ultimamente la buona scrittura del Re si associa a una buona storia, ma qui ci sono tutti gli ingredienti.
Anarchic Rain
C'avevo già provato con Notte buia ed era andata male, ma stavolta già al primo racconto ho fatto un salto. Di gioia. Finalmente! Ecco il Re che tutti conoscono, amano e si aspettano.
Una raccolta molto bella, molto variegata, scritta con la solita impeccabilità di King, che stavolta era ispirato come non mai. Così a caldo mi vengono in mente i riferimenti alle sue altre opere (la Torre Nera su tutti, con due racconti di cui in uno il protagonista è Roland stesso, nell'altro è Dinky Earnshaw) e i due accenni a JFK (è sempre stato il tuo pallino, eh, zio?)
Tra le cose più belle del libro ci sono anche l'introduzione generale e le mini-introduzioni che precedono ogni racconto spiegandone la genesi (a volte sono dei post-scriptum).
Grazie-sai.
Vediamo racconto per racconto questo gioiellino.
AUTOPSIA 4: si inizia con un racconto molto classico sulla morte apparente; invece della sepoltura prematura (Poe, anyone?), abbiamo un'autopsia prematura, che sta per essere eseguita su un uomo che non è morto, è solo stato morso da un serpente con un veleno paralizzante. Non so dirvi perché questo racconto è geniale, ma forse è un po' nell'insieme: è in prima persona, ha scatti di ironia inaspettata, colui che sembra solo un idiota alla fine risolve la faccenda, e poi il finale, assolutamente e deliziosamente "nero": nonostante il malcapitato si salvi, la sua vita non può riprendere a scorrere come prima e ci tiene a farci sapere che ormai è impotente a meno che la donna non indossi dei guanti di gomma! Ho troppo riso, mi sono immaginata lo zio seduto al suo computer che metteva il punto alla storia e scoppiava in una risata (un po' isterica, forse, un po' emozionata, come quando si finisce qualcosa e non era così sicuri che ce l'avremmo fatta).
L'UOMO VESTITO DI NERO: altro classicone dello zio, un ragazzino che incontra il diavolo, ne rimane paralizzato, poi affascinato e poi terrorizzato. Un incontro che non dimenticherà mai più. Mi ha ricordato molto Riding the bullet, ma più horror.
TUTTO CIO' CHE AMI TI SARA' PORTATO VIA: bellissimo! Mi è piaciuto un sacco, davvero, l'ho trovato decadente ma tenero, assolutamente reale. Un uomo come ce ne sono tanti, ma con qualcosa in più, una curiosità forse, che supera la media delle persone della sua età, un uomo che ha deciso di farla finita, che pensa che ormai la sua vita non vale niente e, attraverso una strada tortuosa (che passa attraverso molte strade d'America), che invece la ritrova e se la tiene stretta stretta. Mi ha commosso, piuttosto profondamente.
LA MORTE DI JACK HAMILTON: basato su una storia vera, quella di John Dillinger e della sua banda, negli ultimi fuochi della loro "carriera". Mi è sembrato un racconto molto personale, anche se lontano dagli standard del Re, molto sentito. E mi sono un po' immedesimata anch'io, che con una banda di "ladri" non ho mai avuto niente a che fare, per un secondo mi è persino dispiaciuto per tutti loro, per i loro sogni infranti e la loro amicizia spezzata. E perché no?
LA CAMERA DELLA MORTE: un racconto claustrofobico, in cui tutto quello che c'è si vede sotto una patina grigia e in qualche modo dura, in cui si sa che finirà male. Il punto è che lo farà, ma non per chi pensiamo noi. Al di là del modo in cui King sa raccontare le storie, questa non l'ho capita molto bene, cioè non ho capito dove volesse andare a parare, qual era il significato recondito. Rimane una storia scritta benissimo e con suspance a secchi, ma se dovessi fare una classifica di tutti e quattordici i racconti, probabilmente starebbe in ultima o penultima posizione.
LE PICCOLE SORELLE DI ELURIA: come dire...tornare nel mondo di Roland Deschain è sempre un piacere supremo, anche se la storiella delle vampire zingare e blatte inside non è proprio entusiasmante. Roland sta per arrivare nel deserto che segna l'inizio del suo cammino come noi lo conosciamo e si trova a "lottare" (se così si può dire, essendo completamente immobilizzato e drogato) contro una setta di vampire un po' sui generis, che ti curano prima di spolparti vivo e hanno un sistema gerarchico che fa acqua da tutte le parti.
TUTTO E' FATIDICO: splendido. Non solo perché è davvero scritto bene e ha una storia "forte", ma anche perché è un prequel a un episodio della Torre, ossia la guerra di Algul Siento. Il protagonista della storia è Dinky Earnshaw, lo stesso Dinky "frangitore" che insieme a Ted Brautighan e Sheemie figlio di Stanley aiutano Roland a stabilizzare uno degli ultimi due Vettori per non far crollare la Torre. Questa è la storia di come Dinky è stato assoldato da uno degli uomini bassi (bastardi!).
LA TEORIA DEGLI ANIMALI DI L.T.: messaggio della storia: non regalate mai un animale a qualcuno! Messaggio di King: fatelo, tanto le cose andranno sempre come devono andare, specie tra marito e moglie.
IL VIRUS DELLA STRADA VA A NORD: spettacolo! Questo è il vero racconto horror della raccolta. Spettrale, inquietante, da brivido! Cosa fareste se un quadro particolarmente inquietante iniziasse a vivere di vita propria e ad uccidere le persone che incontrate? Per poi arrivare da voi...
PRANZO AL GOTHAM CAFE': esilarante. Un giorno di ordinaria follia per un maitre in un caffè di Manhattan. Anche qui ci sono un paio di non-sense, ma in definitiva un racconto godibilissimo!
QUELLA SENSAZIONE CHE PUOI DIRE SOLTANTO IN FRANCESE: altra personale interpretazione dell'inferno secondo King. Diversa da tutte le altre! Inferno è ripetizione, essere costretti a rivivere il momento cruciale senza poter fare niente per cambiare le cose.
1408: finalmente ora posso vedere il film. Una stanza di albergo che è più stregata della 217 dell'Overlook Hotel. Ma davvero? Entrare per credere.
RIDING THE BULLET: un racconto che lessi nel 1999 quando uscì con il CD-ROM in allegato e che mi colpì come una bomba. Mi ha colpito con la stessa forza dopo quasi venti anni e credo che tra vent'anni mi colpirà ancora più forte. Chi sceglieresti tra te stesso e tua madre in caso un autostoppista zombie ti chiedesse chi deve morire per primo?
LA MONETA PORTAFORTUNA: io avrei concluso il libro con il racconto precedente, tipo "la botta finale", questo mi è sembrato troppo modesto (e anche molto breve) per una raccolta che ha dei piccoli capolavori. Ma tant'è, non ci possiamo fare niente, ormai. La madre che fa la cameriera e a cui viene lasciata in mancia una presunta moneta fortunata la userà o no?
Dunque! Leggere o non leggere questo libro? Leggerlo, ovviamente, e anche un paio di volte, almeno alcuni dei racconti. Non sempre ultimamente la buona scrittura del Re si associa a una buona storia, ma qui ci sono tutti gli ingredienti.
Anarchic Rain
sabato 20 agosto 2016
Madame Bovary di Gustave Flaubert
Dopo un primo tentativo fallito in secondo superiore, ho tentato di nuovo e stavolta ho vinto io!
Sapevo già la storia narrata, a grandi linee, e mi ha sempre fatto pensare a tre grandi romanzi, molto diversi fra loro: Ritratto di Signora di James, L'esclusa di Pirandello (ovviamente) e Emma della Austen. Flaubert certo non poteva conoscere i primi due (successivi cronologicamente) e probabilmente nemmeno il terzo, sebbene lo preceda di quasi 40 anni.
Chi è Emma Bovary?
Una giovane viziata? Sfortunata? Una donna del suo tempo?
La prosa di Flaubert è dettagliata, bellissima e non tralascia niente e nessuno: il paese (prima Tostes e poi Yonville), gli interni delle case, i personaggi, tutti splendidamente dipinti. Emma entra in scena in sordina, dopo qualche pagina e di lei veniamo a sapere subito che è una persona un po' frivola. Man mano che la narrazione va avanti, Emma non solo risulta frivola, ma si spinge addirittura oltre, una donnetta vana e piena di idee. Idee prese un po' dai libri, un po' partorite dalla sua immaginazione, ma distorte e basate sul nulla. Insomma, mi è sembrata la classica bimbamin*hia dei giorni nostri, che legge Tuailait e vuole farsi mordere dal vampiro sbrilluccicoso. Sì, l'ho trovata abbastanza antipatica ma, cosa peggiore, l'ho trovata anche stupida. Cosa che invece non mi è successo con Emma Woodhouse, anzi: è vero che lei è bella e ricca e abita in un villaggio molto simile a Yonville, ma la deliziosa Jane Austen ci fa sapere che è anche intelligente. Ed è questo che la salva. Ed è la mancanza di intelligenza che condanna Emma Bovary.
Forse era proprio questo ciò che l'autore voleva.
Parliamo dei suoi amanti. Il primo in senso biblico, Rodolphe, l'ha usata per un po' e poi l'ha abbandonata senza se e senza ma. Il secondo (ma il primo in senso platonico) sarebbe stato buono se l'avesse preso subito, ma quando si decide secondo me è troppo tardi. Però devo ammettere che il giro in carrozza con l'elenco di tutte le vie, quasi fosse una preghiera, mi ha fatto davvero ridere (posso capire perché i benpensanti di allora si fossero scandalizzati: solo il pensiero di quella voce "infuriata" -o "affannata", "imperiosa"?- che urlava "Vada avanti!" per permettere ai due amanti di consumare doveva essere davvero troppo per l'epoca!). Insomma l'unico uomo che l'abbia veramente amata, nonostante la conosca a malapena e l'abbia troppo idealizzata, è quel poveraccio del marito, ma ovviamente è l'unico che lei non degna di uno sguardo.
Il suicidio finale poi. Mamma mia, mi sembra di sparare sulla croce rossa, ma comunque non posso non considerarlo come l'atto finale (piuttosto in linea con il carattere del personaggio, se non altro) più pusillanime che esista. Non posso non fare paragoni con il finale di Ritratto di Signora, in cui lo stesso non è presente la protagonista, ma per tutt'altro motivo: Isabel non cerca di fuggire con disonore dalla situazione che lei stessa si è creata, non cerca soluzioni da dramma, accetta quello che è diventata la sua vita e se ne assume la responsabilità. Emma Bovary non ha idea di cosa sia una responsabilità. Non dico verso suo marito (ci sta che ami un altro di più), ma verso sua figlia.
Purtroppo l'ovvio anacronismo della scrittura (i riferimenti al sesso sono nascosti con quelli alla natura, vedi "le foglie frementi" e compagnia) e della storia (oggi una ragazza non deve sposarsi per forza, non ha le limitazioni che aveva all'epoca) fa sì che questo romanzo sia "invecchiato male".
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se siete appassionati di classici, non potete esimervi, altrimenti lasciate stare e passate ad altro.
Anarchic Rain
Sapevo già la storia narrata, a grandi linee, e mi ha sempre fatto pensare a tre grandi romanzi, molto diversi fra loro: Ritratto di Signora di James, L'esclusa di Pirandello (ovviamente) e Emma della Austen. Flaubert certo non poteva conoscere i primi due (successivi cronologicamente) e probabilmente nemmeno il terzo, sebbene lo preceda di quasi 40 anni.
Chi è Emma Bovary?
Una giovane viziata? Sfortunata? Una donna del suo tempo?
La prosa di Flaubert è dettagliata, bellissima e non tralascia niente e nessuno: il paese (prima Tostes e poi Yonville), gli interni delle case, i personaggi, tutti splendidamente dipinti. Emma entra in scena in sordina, dopo qualche pagina e di lei veniamo a sapere subito che è una persona un po' frivola. Man mano che la narrazione va avanti, Emma non solo risulta frivola, ma si spinge addirittura oltre, una donnetta vana e piena di idee. Idee prese un po' dai libri, un po' partorite dalla sua immaginazione, ma distorte e basate sul nulla. Insomma, mi è sembrata la classica bimbamin*hia dei giorni nostri, che legge Tuailait e vuole farsi mordere dal vampiro sbrilluccicoso. Sì, l'ho trovata abbastanza antipatica ma, cosa peggiore, l'ho trovata anche stupida. Cosa che invece non mi è successo con Emma Woodhouse, anzi: è vero che lei è bella e ricca e abita in un villaggio molto simile a Yonville, ma la deliziosa Jane Austen ci fa sapere che è anche intelligente. Ed è questo che la salva. Ed è la mancanza di intelligenza che condanna Emma Bovary.
Forse era proprio questo ciò che l'autore voleva.
Parliamo dei suoi amanti. Il primo in senso biblico, Rodolphe, l'ha usata per un po' e poi l'ha abbandonata senza se e senza ma. Il secondo (ma il primo in senso platonico) sarebbe stato buono se l'avesse preso subito, ma quando si decide secondo me è troppo tardi. Però devo ammettere che il giro in carrozza con l'elenco di tutte le vie, quasi fosse una preghiera, mi ha fatto davvero ridere (posso capire perché i benpensanti di allora si fossero scandalizzati: solo il pensiero di quella voce "infuriata" -o "affannata", "imperiosa"?- che urlava "Vada avanti!" per permettere ai due amanti di consumare doveva essere davvero troppo per l'epoca!). Insomma l'unico uomo che l'abbia veramente amata, nonostante la conosca a malapena e l'abbia troppo idealizzata, è quel poveraccio del marito, ma ovviamente è l'unico che lei non degna di uno sguardo.
Il suicidio finale poi. Mamma mia, mi sembra di sparare sulla croce rossa, ma comunque non posso non considerarlo come l'atto finale (piuttosto in linea con il carattere del personaggio, se non altro) più pusillanime che esista. Non posso non fare paragoni con il finale di Ritratto di Signora, in cui lo stesso non è presente la protagonista, ma per tutt'altro motivo: Isabel non cerca di fuggire con disonore dalla situazione che lei stessa si è creata, non cerca soluzioni da dramma, accetta quello che è diventata la sua vita e se ne assume la responsabilità. Emma Bovary non ha idea di cosa sia una responsabilità. Non dico verso suo marito (ci sta che ami un altro di più), ma verso sua figlia.
Purtroppo l'ovvio anacronismo della scrittura (i riferimenti al sesso sono nascosti con quelli alla natura, vedi "le foglie frementi" e compagnia) e della storia (oggi una ragazza non deve sposarsi per forza, non ha le limitazioni che aveva all'epoca) fa sì che questo romanzo sia "invecchiato male".
In definitiva, lo consiglio? Ni. Se siete appassionati di classici, non potete esimervi, altrimenti lasciate stare e passate ad altro.
Anarchic Rain
giovedì 11 agosto 2016
American Gods di Neil Gaiman
Credo di preferire la condizione umana a quella divina. Non abbiamo bisogno che credano in noi. Tiriamo avanti lo stesso.
Quando un libro mi si presenta come "il capolavoro dell'autore", lo prendo sempre con le pinze. E mi fa anche un po' paura...specialmente se è di un autore che già amo per altri libri (nel caso specifico, Sandman, Coraline e Il cimitero senza lapidi e altre storie nere).
Però, sempre per le Olimpiadi di Lettura, finalmente ho avuto la giusta spinta per iniziarlo. E ammetto che non ne sono pentita.
Non solo per la storia, per i personaggi, per il modo (sempre splendido) di scrivere di Gaiman.
E per cos'altro, vi stupirete voi.
Ecco, vorrei premettere che tutto quello che dirò ora è (ovviamente) assolutamente opinabile e che comunque non lo penso né con cattiveria né con malizia, ma con genuino piacere.
Molto più che in altre opere (per non dire a differenza di), forse perché il libro è molto corposo, ci ho visto tantissimi richiami alla letteratura gotica/horror di tutti i tempi.
Per fare un paio di esempi: il protagonista (Shadow, non è un nome adorabile?) a un certo punto viene guidato da un corvo parlante e gli chiede (ironicamente) di dire "Mai più" (Nevermore). Mi sono venute le lacrime agli occhi, anche se poi il corvo, evidentemente risentito dell'associazione letteraria, gli risponde "Vaffan*ulo" (facendomi piangere dalle risate).
Che dire poi delle anticipazioni tipicamente kinghiane sulla morte di un personaggio (del tipo: quella fu l'ultima volta che lo/la vide vivo/a) e dello specifico riferimento a Carrie (il film, però)!
Oppure il grandioso omaggio (credo) a Bradbury e al suo Il popolo dell'autunno con la giostra infernale che invece di modificare il tempo, qui modifica lo spazio, portando i personaggi in una specie di mondo parallelo.
Poi ci sarebbe l'analogia uomo-bufalo/uomo-pecora con Murakami (ma questa è forse una forzatura che ho trovato solo io...).
Vabbè, queste sono cose che fanno brillare gli occhi a una book-maniac come me.
Ma parliamo del libro in sé.
La storia come ho accennato prima è molto bella, anche se ingarbugliata e con molti personaggi (i loro nomi strani non aiutano a tenerli a mente), di alcuni dei quali onestamente non ricordo nemmeno la fine...forse Gaiman si è fatto sfuggire un po' le cose di mano. Comunque a volerla riassumere, questa è la storia di unascita guerra tra dei nuovi e vecchi, per il potere sul mondo. Chi vince? Al lettore l'ardua sentenza.
Il protagonista però è un uomo, tutt'altro che perfetto, assoldato da un dio per seguirlo. All'inizio non capiamo assolutamente perché sia stato scelto proprio Shadow tra tutti, visto che non solo è un tizio normalissimo, ma anche più sfigato di altri. Ma piano piano scopriremo perché.
Anche se in alcuni punti l'intreccio non è ben gestito, devo dire che l'idea di fondo è stupenda e non ci si poteva spettare di meno da uno scrittore come lui. Ci sono un paio di colpi di scena che non mi aspettavo (anche se forse, leggendolo con attenzione, si potevano intuire): Odino/Wednesday padre di Shadow, o Hinzelmann serial killer divino (questo un fuori-storia un po' forzato, comunque).
Poi alcune cose interessanti non sono state approfondite, come la faccenda degli uccelli del tuono oppure le storie degli dei all'arrivo in America...
La cosa che mi ha lasciato "stonata" è che i personaggi, pur sembrando tutti interessantissimi, non sono assolutamente stati approfonditi. Mi hanno dato l'impressione di essere solo abbozzati (e in quasi 600 pagine di libro non me lo aspettavo proprio), presentati e poi mollati lì senza specifiche. Insomma in questo libro il lettore fa il grosso del lavoro, e non che mi dispiaccia, ma invece di perdersi in voli pindarici Neil poteva pure sprecare un po' di più.
Poi la faccenda dei giochi di prestidigitazione l'ho trovata un po' petulante in alcuni frangenti.
Non voglio essere troppo dura con un autore che comunque mi piace e apprezzo tantissimo, però ci sono rimasta un po' male, ecco. Mi sono sentita tradita.
Insomma qual è il mio consiglio? Leggetelo, se siete fan di Gaiman, ma iniziate con altro se non l'avete mai letto prima.
Anarchic Rain
Nota: ho scoperto che questo libro fa parte di una trilogia. Non nel senso convenzionale del termine, ma ci sono altri due libri collegati a questo tramite i personaggi. E vabbè. Non si può avere tutto dalla vita.
(Che ho contro le trilogie, chiedete? Niente, in generale. Nello specifico credo siano diventate troppo di moda. Decisamente troppo. Oggi pare che se non scrivi una trilogia -almeno una- non sei nessuno, persino King ha scritto una trilogia, bah).
Quando un libro mi si presenta come "il capolavoro dell'autore", lo prendo sempre con le pinze. E mi fa anche un po' paura...specialmente se è di un autore che già amo per altri libri (nel caso specifico, Sandman, Coraline e Il cimitero senza lapidi e altre storie nere).
Però, sempre per le Olimpiadi di Lettura, finalmente ho avuto la giusta spinta per iniziarlo. E ammetto che non ne sono pentita.
Non solo per la storia, per i personaggi, per il modo (sempre splendido) di scrivere di Gaiman.
E per cos'altro, vi stupirete voi.
Ecco, vorrei premettere che tutto quello che dirò ora è (ovviamente) assolutamente opinabile e che comunque non lo penso né con cattiveria né con malizia, ma con genuino piacere.
Molto più che in altre opere (per non dire a differenza di), forse perché il libro è molto corposo, ci ho visto tantissimi richiami alla letteratura gotica/horror di tutti i tempi.
Per fare un paio di esempi: il protagonista (Shadow, non è un nome adorabile?) a un certo punto viene guidato da un corvo parlante e gli chiede (ironicamente) di dire "Mai più" (Nevermore). Mi sono venute le lacrime agli occhi, anche se poi il corvo, evidentemente risentito dell'associazione letteraria, gli risponde "Vaffan*ulo" (facendomi piangere dalle risate).
Che dire poi delle anticipazioni tipicamente kinghiane sulla morte di un personaggio (del tipo: quella fu l'ultima volta che lo/la vide vivo/a) e dello specifico riferimento a Carrie (il film, però)!
Oppure il grandioso omaggio (credo) a Bradbury e al suo Il popolo dell'autunno con la giostra infernale che invece di modificare il tempo, qui modifica lo spazio, portando i personaggi in una specie di mondo parallelo.
Poi ci sarebbe l'analogia uomo-bufalo/uomo-pecora con Murakami (ma questa è forse una forzatura che ho trovato solo io...).
Vabbè, queste sono cose che fanno brillare gli occhi a una book-maniac come me.
Ma parliamo del libro in sé.
La storia come ho accennato prima è molto bella, anche se ingarbugliata e con molti personaggi (i loro nomi strani non aiutano a tenerli a mente), di alcuni dei quali onestamente non ricordo nemmeno la fine...forse Gaiman si è fatto sfuggire un po' le cose di mano. Comunque a volerla riassumere, questa è la storia di unascita guerra tra dei nuovi e vecchi, per il potere sul mondo. Chi vince? Al lettore l'ardua sentenza.
Il protagonista però è un uomo, tutt'altro che perfetto, assoldato da un dio per seguirlo. All'inizio non capiamo assolutamente perché sia stato scelto proprio Shadow tra tutti, visto che non solo è un tizio normalissimo, ma anche più sfigato di altri. Ma piano piano scopriremo perché.
Anche se in alcuni punti l'intreccio non è ben gestito, devo dire che l'idea di fondo è stupenda e non ci si poteva spettare di meno da uno scrittore come lui. Ci sono un paio di colpi di scena che non mi aspettavo (anche se forse, leggendolo con attenzione, si potevano intuire): Odino/Wednesday padre di Shadow, o Hinzelmann serial killer divino (questo un fuori-storia un po' forzato, comunque).
Poi alcune cose interessanti non sono state approfondite, come la faccenda degli uccelli del tuono oppure le storie degli dei all'arrivo in America...
La cosa che mi ha lasciato "stonata" è che i personaggi, pur sembrando tutti interessantissimi, non sono assolutamente stati approfonditi. Mi hanno dato l'impressione di essere solo abbozzati (e in quasi 600 pagine di libro non me lo aspettavo proprio), presentati e poi mollati lì senza specifiche. Insomma in questo libro il lettore fa il grosso del lavoro, e non che mi dispiaccia, ma invece di perdersi in voli pindarici Neil poteva pure sprecare un po' di più.
Poi la faccenda dei giochi di prestidigitazione l'ho trovata un po' petulante in alcuni frangenti.
Non voglio essere troppo dura con un autore che comunque mi piace e apprezzo tantissimo, però ci sono rimasta un po' male, ecco. Mi sono sentita tradita.
Insomma qual è il mio consiglio? Leggetelo, se siete fan di Gaiman, ma iniziate con altro se non l'avete mai letto prima.
Anarchic Rain
Nota: ho scoperto che questo libro fa parte di una trilogia. Non nel senso convenzionale del termine, ma ci sono altri due libri collegati a questo tramite i personaggi. E vabbè. Non si può avere tutto dalla vita.
(Che ho contro le trilogie, chiedete? Niente, in generale. Nello specifico credo siano diventate troppo di moda. Decisamente troppo. Oggi pare che se non scrivi una trilogia -almeno una- non sei nessuno, persino King ha scritto una trilogia, bah).
giovedì 4 agosto 2016
L'uomo che scambió sua moglie per un cappello di Oliver Sacks
Che il cervello sia uno degli organi più belli che il corpo umano abbia in dotazione, lo sapevo già dal primo giorno di studio di Anatomia Umana 3. Ora sono un patologo e penso la stessa cosa.
Da quando due giorni fa ho letto questo libro, ne sono assolutamente convinta.
Ho iniziato questo libro a scatola chiusa. Non sapevo di cosa trattasse, né chi fosse l'autore anche se un campanellino mi suonava nella mente.
Ebbene è l'autore di Risvegli, da cui è stato tratto un film famosissimo con Robert De Niro (strappalacrime, da piccola lo sapevo a memoria). È un neurologo e in questo libro parla di alcuni suoi pazienti con deficit cognitivi di ogni genere.
Un appunto: forse come saggio è un po' difficile da leggere per chi non è del mestiere, ma credo che il senso generale sia comunque chiaro.
Prima di tutto, il dottor Sacks scrive benissimo. Sa raccontare una storia (e anche più di una). Ha senso dell'umorismo e sa rispettare i suoi pazienti, questa è la cosa fondamentale.
Il libro è suddiviso in quattro parti tematiche, in ciascuna delle quali racconta brevi episodi "patologici" incontrati nel corso della sua carriera.
Nel primo gruppo, Perdite, alcuni episodi sono anche molto comici: il signore protagonista del racconto che dà il titolo al libro è un signore simpatico che non riconosce né sua moglie né il suo piede, scambiando l'una per il suo cappello e l'altro per la sua scarpa. Ma al di là di questi "piccoli" intoppi non ha problemi nella vita di ogni giorno. Oppure Il marinaio perduto, Jimmie, affetto da sindrome di Korsakov ma inconsapevole di esserlo, per sempre incatenato a 22 anni pur avendone una cinquantina. O ancora l'uomo che cade dal letto perché vede la sua gamba come qualcosa di estraneo e cerca di gettarla via (gettando via anche se stesso!).
Quello che mi ha stupito è che le persone descritte sono (o sono state) molto intelligenti, argute, spiritose, che hanno dedicato la loro vita a qualcosa di bello (la musica per esempio). Persone che ad un certo punto hanno subito un "intoppo" neurologico, di natura vascolare o altro, che li ha resi "strani" agli occhi del mondo profano e "particolari"/"interessanti" dal punto di vista di un luminare neurologo.
Nel secondo gruppo, Eccessi, si parla del contrario, non della perdita di una funzione, ma dell'acquisizione di un'altra, per esempio un tic. O molti tic, propri della sindrome di Tourette. Così conosciamo Ray che durante la settimana, sotto effetto dei farmaci, è una persona quasi normali, con qualche tic, durante i weekend è un virtuoso della batteria "grazie" alla sua sindrome.
Il terzo gruppo si chiama Trasporti le cui storie ci narrano di persone che sono trascinate da qualcosa dentro di loro: ricordi, emozioni, sensazioni. Per la prima volta ho sentito l'espressione "epilessia musicale", ossia musica ossessiva che "esplode" all'improvviso nella mente del paziente, dovuta spesso (o soltanto) a un ictus del lobo temporale. Tra parentesi, questa parte mi ha permesso di capire anche la fine di Pekish in Oceano mare di Baricco.
Quello che più sconvolge, perlomeno sconvolge me, è la diversa espressione da persona a persona di uno stesso disturbo cerebrale (nello stesso segmento encefalico): nel caso dell'epilessia musicale, per una signora è fonte di gioiosa nostalgia (tanto che quando ne guarisce si sente sola e triste, ma felice di aver avuto l'episodio ischemico che l'ha portata ad averne), per un'altra è solo fonte di distress, una cosa innaturale, che va curata assolutamente.
La quarta parte ci illustra Il mondo dei semplici, cioè di coloro che "non hanno mai conosciuto l'astratto, non ne sono mai stati sedotti". La parte più dolce, secondo me. Non so il motivo, ma nell'immaginario comune (o meglio, in quello in cui sono nata e cresciuta), i minorati mentali sono persone più tenere, più dolci e più indifese degli altri. Il che è vero per certi aspetti della vita quotidiana, ma per altri può non essere così. Ci sono persone dal QI più basso (o molto più basso) della norma che "danno una pista" al più intelligente dei "normali". C'è chi ha un animo poetico, chi artistico o musicale, chi addirittura matematico. Forse potremmo imparare da loro a sviluppare quei lati della nostra personalità che vanno persi per chissà quale ragione; o, se proprio non a svilupparli, ad ammirarli lo stesso.
Al di là dell'argomento forse un po' ostico per alcuni, è un libro molto piacevole, scorrevole, insieme divertente e spaventoso e triste. E' un libro che ci mostra una realtà che spesso non si conosce, se non per motivi familiari o lavorativi. Inoltre bisogna considerare che la prima edizione è avvenuta nel 1985, e a quell'epoca i disturbi del cervello erano un mistero se non proprio una vergogna. Con il passare dei decenni si è data dignità anche questa classe di patologie, per fortuna, ma è stato bello fare un viaggio nel passato e leggere (quasi vivere) l'impegno di un medico per i suoi pazienti. Impegno che spesso e volentieri andava al di là dell'ospedale: per esempio quando, per capire meglio il disturbo che un paziente aveva, andava a trovarlo a casa sua, per vederlo nel suo ambiente, oppure chiamava o scriveva a un suo collega per discutere il caso.
Da medico, posso affermare che quando uno ha un paziente di fronte ha sempre una cosa in mente: farlo stare bene; però ci sono modi e modi di farlo. E Sacks trent'anni fa ha decisamente azzeccato il modo.
Anarchic Rain
Da quando due giorni fa ho letto questo libro, ne sono assolutamente convinta.
Ho iniziato questo libro a scatola chiusa. Non sapevo di cosa trattasse, né chi fosse l'autore anche se un campanellino mi suonava nella mente.
Ebbene è l'autore di Risvegli, da cui è stato tratto un film famosissimo con Robert De Niro (strappalacrime, da piccola lo sapevo a memoria). È un neurologo e in questo libro parla di alcuni suoi pazienti con deficit cognitivi di ogni genere.
Un appunto: forse come saggio è un po' difficile da leggere per chi non è del mestiere, ma credo che il senso generale sia comunque chiaro.
Prima di tutto, il dottor Sacks scrive benissimo. Sa raccontare una storia (e anche più di una). Ha senso dell'umorismo e sa rispettare i suoi pazienti, questa è la cosa fondamentale.
Il libro è suddiviso in quattro parti tematiche, in ciascuna delle quali racconta brevi episodi "patologici" incontrati nel corso della sua carriera.
Nel primo gruppo, Perdite, alcuni episodi sono anche molto comici: il signore protagonista del racconto che dà il titolo al libro è un signore simpatico che non riconosce né sua moglie né il suo piede, scambiando l'una per il suo cappello e l'altro per la sua scarpa. Ma al di là di questi "piccoli" intoppi non ha problemi nella vita di ogni giorno. Oppure Il marinaio perduto, Jimmie, affetto da sindrome di Korsakov ma inconsapevole di esserlo, per sempre incatenato a 22 anni pur avendone una cinquantina. O ancora l'uomo che cade dal letto perché vede la sua gamba come qualcosa di estraneo e cerca di gettarla via (gettando via anche se stesso!).
Quello che mi ha stupito è che le persone descritte sono (o sono state) molto intelligenti, argute, spiritose, che hanno dedicato la loro vita a qualcosa di bello (la musica per esempio). Persone che ad un certo punto hanno subito un "intoppo" neurologico, di natura vascolare o altro, che li ha resi "strani" agli occhi del mondo profano e "particolari"/"interessanti" dal punto di vista di un luminare neurologo.
Nel secondo gruppo, Eccessi, si parla del contrario, non della perdita di una funzione, ma dell'acquisizione di un'altra, per esempio un tic. O molti tic, propri della sindrome di Tourette. Così conosciamo Ray che durante la settimana, sotto effetto dei farmaci, è una persona quasi normali, con qualche tic, durante i weekend è un virtuoso della batteria "grazie" alla sua sindrome.
Il terzo gruppo si chiama Trasporti le cui storie ci narrano di persone che sono trascinate da qualcosa dentro di loro: ricordi, emozioni, sensazioni. Per la prima volta ho sentito l'espressione "epilessia musicale", ossia musica ossessiva che "esplode" all'improvviso nella mente del paziente, dovuta spesso (o soltanto) a un ictus del lobo temporale. Tra parentesi, questa parte mi ha permesso di capire anche la fine di Pekish in Oceano mare di Baricco.
Quello che più sconvolge, perlomeno sconvolge me, è la diversa espressione da persona a persona di uno stesso disturbo cerebrale (nello stesso segmento encefalico): nel caso dell'epilessia musicale, per una signora è fonte di gioiosa nostalgia (tanto che quando ne guarisce si sente sola e triste, ma felice di aver avuto l'episodio ischemico che l'ha portata ad averne), per un'altra è solo fonte di distress, una cosa innaturale, che va curata assolutamente.
La quarta parte ci illustra Il mondo dei semplici, cioè di coloro che "non hanno mai conosciuto l'astratto, non ne sono mai stati sedotti". La parte più dolce, secondo me. Non so il motivo, ma nell'immaginario comune (o meglio, in quello in cui sono nata e cresciuta), i minorati mentali sono persone più tenere, più dolci e più indifese degli altri. Il che è vero per certi aspetti della vita quotidiana, ma per altri può non essere così. Ci sono persone dal QI più basso (o molto più basso) della norma che "danno una pista" al più intelligente dei "normali". C'è chi ha un animo poetico, chi artistico o musicale, chi addirittura matematico. Forse potremmo imparare da loro a sviluppare quei lati della nostra personalità che vanno persi per chissà quale ragione; o, se proprio non a svilupparli, ad ammirarli lo stesso.
Al di là dell'argomento forse un po' ostico per alcuni, è un libro molto piacevole, scorrevole, insieme divertente e spaventoso e triste. E' un libro che ci mostra una realtà che spesso non si conosce, se non per motivi familiari o lavorativi. Inoltre bisogna considerare che la prima edizione è avvenuta nel 1985, e a quell'epoca i disturbi del cervello erano un mistero se non proprio una vergogna. Con il passare dei decenni si è data dignità anche questa classe di patologie, per fortuna, ma è stato bello fare un viaggio nel passato e leggere (quasi vivere) l'impegno di un medico per i suoi pazienti. Impegno che spesso e volentieri andava al di là dell'ospedale: per esempio quando, per capire meglio il disturbo che un paziente aveva, andava a trovarlo a casa sua, per vederlo nel suo ambiente, oppure chiamava o scriveva a un suo collega per discutere il caso.
Da medico, posso affermare che quando uno ha un paziente di fronte ha sempre una cosa in mente: farlo stare bene; però ci sono modi e modi di farlo. E Sacks trent'anni fa ha decisamente azzeccato il modo.
Anarchic Rain
martedì 2 agosto 2016
Notte buia niente stelle di Stephen King
Eh lo so, non sono in ordine cronologico, anzi, ho saltato varie decine di anni, considerando che l'anno di prima pubblicazione di questa raccolta di racconti è il 2010, ma ho una buona (forse) giustificazione.
Sul forum di letteratura che seguo da anni, dal primo al 31 agosto si svolgono le Olimpiadi letterarie, in onore di quelle sportive (Rio 2016) e mi sono iscritta per partecipare. Il gioco che mi è stato assegnato è il Rugby e consiste nel leggere entro questo mese sette libri, di cui quattro sono tra quelli della mia to-read-list e tre tra quelli delle mie "avversarie".
Insomma, un gioco divertente, culturale e che mi permette di smaltire molti libri che per un motivo o per un altro sono rimasti anni nella mia lista (pur avendo il libro a disposizione!).
Ho iniziato con questa raccolta perché era tantissimo che volevo leggerla, soprattutto dopo aver letto la sua ultima (Il bazar dei brutti sogni) ed averla trovata deludente, volevo conoscere quella che l'aveva preceduta. Chissà cosa cercavo.
Probabilmente un segno.
Ma di cosa?
Che Bazar fosse stato solo uno scivolone...uno dei pochi (secondo me) nella carriera impeccabile dello zio.
Il risultato è un grande BO.
NBNS è formato da quattro novelle e la parte migliore, mi viene da dire, è la postfazione di King.
Ok, lo ammetto, sto esagerando.
La prima è 1922. Non so cosa dire a riguardo. Non posso dire che non mi sia piaciuto, è chiaro, come ho ripetuto fino allo sfinimento lo zio SA scrivere, potrebbe scrivere qualsiasi cosa, anche di un tappeto che fuma e farlo apparire reale, ovvio e terrificante. Ma manca qualcosa. Come altre volte mi è capitato di pensare, mi è sembrato che mancasse l'anima, che fosse un puro esercizio di stile, come invece nega nella postfazione (sapevi che qualcuno te l'avrebbe detto, eh, zio?)...
La storia mi ha appassionato, l'ho letta di notte, non riuscivo a mettere giù il libro, ma penso che la mia voracità significasse solo che mi aspettavo qualcosa nella pagina successiva...poi in quella successiva...e così via, finché non ho finito le pagine, senza trovare quello che cercavo.
Un po' meglio è andata con il successivo Maxicamionista. Una donna che si vendica ferocemente (ma nemmeno troppo, ho trovato i topi del primo molto più fomentati di lei) per lo stupro subito.
Come posso dire senza sembrare una str*nza insensibile? La storia è coinvolgente, disgustosa il giusto, la vendetta appropriata (al suo posto io avrei fatto soffrire un po' di più i responsabili, ma le condizioni non glielo permettevano), ma totalmente inverosimile. Ovviamente una donna che subisce una tale violenza pensa alla vendetta, a massacrare i suoi aguzzini, anche a non coinvolgere la polizia (per non renderlo pubblico, sicuramente, ma anche perché i tempi della giustizia sanno essere più che biblici a volte). Non parlo di quel genere di verosimiglianza. Ma ogni ragionamento, ogni mossa di Tess è fin troppo lucida e perfetta, non è certo quella di una donna che ha vissuto forse la peggiore esperienza della sua vita.
E' la prima volta che un qualcosa scritto da LUI mi dà questa sensazione, anzi, per me lui è sempre stato lo scrittore della realtà, degli incubi che diventavano reali grazie alla sua meravigliosa penna. Invece qui, niente. Niente realtà, niente magia. E' stato un colpo.
Lievemente meglio è andata con La giusta estensione. Breve ma crudele al punto giusto, reale al punto giusto.
E allora qual è il problema, stavolta? Nessuno, in teoria, se non fosse che qualche tempo fa King scrisse un bellissimo romanzo, dal titolo Cose preziose, in cui sbatteva le stesse uova ottenendo una frittata leggermente diversa (migliore? Ognuno decida per sé). Stavolta però la domanda è più trascendentale: il diavolo vuole davvero la tua anima? O si accontenta di compiere il male fine a se stesso, senza aspettarsi di guadagnarci? Questa domanda rimane in sospeso (intelligentemente, secondo me).
La quarta e ultima novella, la migliore della raccolta a mio parere, si intitola Un bel matrimonio. Cosa faresti se scoprissi che tuo marito, l'uomo con cui hai passato più di metà della tua vita, è un serial killer? E anche uno bravo. Domanda da un milione di dollari, forse di più. Ma King stavolta fa un centro perfetto, sembra quasi che si sia incarnato in Darcy, la quale fa tutto quello che deve essere fatto. Un ultimo racconto col botto, direi, ma non basta a risollevare tutto il libro. E se posso dire la mia, la colpa è anche della traduzione (chiudo qui per non entrare in polemiche sterili). Quando lo rileggerò in originale forse potrò rispondere a questa domanda implicita.
Se siete fedeli lettori, dovete leggerlo, se non altro perché ci trovate Derry, la madre di Bill Tartaglia e anche una battuta speciale per tutti noi amanti della Torre. Ma se siete neofiti, ci sono altri libri (del Re) oltre questo (semi-cit.), vi consiglio di cominciare da altro.
Anarchic Rain
Sul forum di letteratura che seguo da anni, dal primo al 31 agosto si svolgono le Olimpiadi letterarie, in onore di quelle sportive (Rio 2016) e mi sono iscritta per partecipare. Il gioco che mi è stato assegnato è il Rugby e consiste nel leggere entro questo mese sette libri, di cui quattro sono tra quelli della mia to-read-list e tre tra quelli delle mie "avversarie".
Insomma, un gioco divertente, culturale e che mi permette di smaltire molti libri che per un motivo o per un altro sono rimasti anni nella mia lista (pur avendo il libro a disposizione!).
Ho iniziato con questa raccolta perché era tantissimo che volevo leggerla, soprattutto dopo aver letto la sua ultima (Il bazar dei brutti sogni) ed averla trovata deludente, volevo conoscere quella che l'aveva preceduta. Chissà cosa cercavo.
Probabilmente un segno.
Ma di cosa?
Che Bazar fosse stato solo uno scivolone...uno dei pochi (secondo me) nella carriera impeccabile dello zio.
Il risultato è un grande BO.
NBNS è formato da quattro novelle e la parte migliore, mi viene da dire, è la postfazione di King.
Ok, lo ammetto, sto esagerando.
La prima è 1922. Non so cosa dire a riguardo. Non posso dire che non mi sia piaciuto, è chiaro, come ho ripetuto fino allo sfinimento lo zio SA scrivere, potrebbe scrivere qualsiasi cosa, anche di un tappeto che fuma e farlo apparire reale, ovvio e terrificante. Ma manca qualcosa. Come altre volte mi è capitato di pensare, mi è sembrato che mancasse l'anima, che fosse un puro esercizio di stile, come invece nega nella postfazione (sapevi che qualcuno te l'avrebbe detto, eh, zio?)...
La storia mi ha appassionato, l'ho letta di notte, non riuscivo a mettere giù il libro, ma penso che la mia voracità significasse solo che mi aspettavo qualcosa nella pagina successiva...poi in quella successiva...e così via, finché non ho finito le pagine, senza trovare quello che cercavo.
Un po' meglio è andata con il successivo Maxicamionista. Una donna che si vendica ferocemente (ma nemmeno troppo, ho trovato i topi del primo molto più fomentati di lei) per lo stupro subito.
Come posso dire senza sembrare una str*nza insensibile? La storia è coinvolgente, disgustosa il giusto, la vendetta appropriata (al suo posto io avrei fatto soffrire un po' di più i responsabili, ma le condizioni non glielo permettevano), ma totalmente inverosimile. Ovviamente una donna che subisce una tale violenza pensa alla vendetta, a massacrare i suoi aguzzini, anche a non coinvolgere la polizia (per non renderlo pubblico, sicuramente, ma anche perché i tempi della giustizia sanno essere più che biblici a volte). Non parlo di quel genere di verosimiglianza. Ma ogni ragionamento, ogni mossa di Tess è fin troppo lucida e perfetta, non è certo quella di una donna che ha vissuto forse la peggiore esperienza della sua vita.
E' la prima volta che un qualcosa scritto da LUI mi dà questa sensazione, anzi, per me lui è sempre stato lo scrittore della realtà, degli incubi che diventavano reali grazie alla sua meravigliosa penna. Invece qui, niente. Niente realtà, niente magia. E' stato un colpo.
Lievemente meglio è andata con La giusta estensione. Breve ma crudele al punto giusto, reale al punto giusto.
E allora qual è il problema, stavolta? Nessuno, in teoria, se non fosse che qualche tempo fa King scrisse un bellissimo romanzo, dal titolo Cose preziose, in cui sbatteva le stesse uova ottenendo una frittata leggermente diversa (migliore? Ognuno decida per sé). Stavolta però la domanda è più trascendentale: il diavolo vuole davvero la tua anima? O si accontenta di compiere il male fine a se stesso, senza aspettarsi di guadagnarci? Questa domanda rimane in sospeso (intelligentemente, secondo me).
La quarta e ultima novella, la migliore della raccolta a mio parere, si intitola Un bel matrimonio. Cosa faresti se scoprissi che tuo marito, l'uomo con cui hai passato più di metà della tua vita, è un serial killer? E anche uno bravo. Domanda da un milione di dollari, forse di più. Ma King stavolta fa un centro perfetto, sembra quasi che si sia incarnato in Darcy, la quale fa tutto quello che deve essere fatto. Un ultimo racconto col botto, direi, ma non basta a risollevare tutto il libro. E se posso dire la mia, la colpa è anche della traduzione (chiudo qui per non entrare in polemiche sterili). Quando lo rileggerò in originale forse potrò rispondere a questa domanda implicita.
Se siete fedeli lettori, dovete leggerlo, se non altro perché ci trovate Derry, la madre di Bill Tartaglia e anche una battuta speciale per tutti noi amanti della Torre. Ma se siete neofiti, ci sono altri libri (del Re) oltre questo (semi-cit.), vi consiglio di cominciare da altro.
Anarchic Rain
mercoledì 27 luglio 2016
Libri, fumetti e graphic novel
E' dura la vita per noi lettori onnivori.
Spessissimo, da chi non ama i libri, mi sento dire: "Ma come fai a leggerlo, non c'è nemmeno una figura!".
Altrettanto spesso non rispondo nemmeno, lascio che i miei capelli (diventati dritti alla domanda) si riabbassino contando fino a 1000000000, faccio un sorrisino tirato della serie noncredochetusiascemolosopercerto e me ne vado, se possibile senza più rivolgere la parola all'individuo sospetto di cui sopra.
Pronto??? E' a questo che servono le parole: a descrivere cose che non possiamo testimoniare con gli occhi! Se io mangio una pesca, i miei sensi (soprattutto tatto, gusto e olfatto, ma anche vista e in minor modo l'udito) sanno cosa sto facendo e se quella pesca è buona, ma se io leggo un libro è necessario (se l'autore lo ritiene importante ai fini del libro stesso) che mi si descriva quello che qualcun altro sta facendo e le sensazioni che ne ricava: "Livia assaggiò la pesca, dapprima esitando, perché non sapeva se fosse dolce o più aspra, via via sempre più con gusto, perché la pesca si scioglieva nella sua bocca, provocandole il tipico solletico alle guance di quando un frutto è particolarmente squisito". Insomma, una cosa del genere. Cosa c'è di più riuscito di una descrizione che ti fa "sentire" quello che prova un personaggio inesistente? Per me, niente.
E' per questo che quando leggo non riesco a sentire quello che mi si dice dalla realtà e spesso le persone sono costrette a ripeterlo almeno due volte.
Ed è anche per questo che evito di leggere in fila alla posta: perderei di sicuro il mio turno!
Insomma, una volta per tutte: non è solo questione di fantasia, mentre si legge un libro, quella ce la mette l'autore; è questione di bravura (sua) e di attenzione (nostra) a quello che stiamo leggendo. Se un libro ci piace, non è difficile estraniarci dal mondo reale, diverso è se leggiamo per dovere (per esempio a scuola o all'università o a lavoro).
Morale della favola: non rompeteci mentre leggiamo e non fate domande stupide!
Nemmeno leggere con le figure ci mette al riparo dagli stupidi.
Anche qui, sono molto di parte perché ho una bella collezione di fumetti e graphic novel, ed anche qui trovo (o meglio mi trovano loro!) sempre chi mi chiede (anzi, chi giudica): "Ma come ti fa a piacere! Sono per bambini!"
Anche a questo, di solito non rispondo, perché se sei così stupido da fare una domanda del genere a una che ha a casa più di mille fumetti, allora sei ugualmente stupido da non capire la risposta.
E la risposta è di una semplicità che può far spavento: perché mi diverto! Già, sono d'accordo, non ci vuole un genio per capirlo, ma penso ci voglia un genio per capire il senso della domanda...
Comunque sì, i fumetti, anche quelli tristi (cioè la maggior parte di quelli che ho), mi piacciono da matti perché come i libri mi trasmettono un senso di irrealtà, di cui a volte ho bisogno per riposarmi il cervello.
Ci sono momenti nella vita di tutti in cui uno dice "Basta, ora me ne vado un paio di giorni, non voglio proprio sentire nessuno, spengo il cellulare!!" (atto rivoluzionario, lo so) ed io lo faccio quando apro un fumetto o un libro.
Mi metto lì, seduta, se è inverno con una tazza gigante di tè, se è estate con un succo di frutta freddo, e leggo finché "non mi passano le paturnie" (direbbe Holly Golightly): lei andava da Tiffany e io vado a leggere.
C'è chi si estrania con i videogiochi, con il cinema o con la tv (quanto vorrei che scomparisse!), ognuno trova il suo modo. Ma io penso che tutto ciò che viene dai libri non possa arrivare da nient'altro. Non è solo cultura (non replicatemi che ci sono libri che con la cultura non hanno niente a che fare, lo so e non è di quelli che si parla ora), è una strada, un percorso diverso per ognuno, eppure simile, che ci porta a ragionare con la nostra testa, a farci un'idea del mondo e delle persone. Un insegnamento di vita, insomma, e chi lo sa cogliere è il più ricco di tutti.
Anarchic Rain
Spessissimo, da chi non ama i libri, mi sento dire: "Ma come fai a leggerlo, non c'è nemmeno una figura!".
Altrettanto spesso non rispondo nemmeno, lascio che i miei capelli (diventati dritti alla domanda) si riabbassino contando fino a 1000000000, faccio un sorrisino tirato della serie noncredochetusiascemolosopercerto e me ne vado, se possibile senza più rivolgere la parola all'individuo sospetto di cui sopra.
Pronto??? E' a questo che servono le parole: a descrivere cose che non possiamo testimoniare con gli occhi! Se io mangio una pesca, i miei sensi (soprattutto tatto, gusto e olfatto, ma anche vista e in minor modo l'udito) sanno cosa sto facendo e se quella pesca è buona, ma se io leggo un libro è necessario (se l'autore lo ritiene importante ai fini del libro stesso) che mi si descriva quello che qualcun altro sta facendo e le sensazioni che ne ricava: "Livia assaggiò la pesca, dapprima esitando, perché non sapeva se fosse dolce o più aspra, via via sempre più con gusto, perché la pesca si scioglieva nella sua bocca, provocandole il tipico solletico alle guance di quando un frutto è particolarmente squisito". Insomma, una cosa del genere. Cosa c'è di più riuscito di una descrizione che ti fa "sentire" quello che prova un personaggio inesistente? Per me, niente.
E' per questo che quando leggo non riesco a sentire quello che mi si dice dalla realtà e spesso le persone sono costrette a ripeterlo almeno due volte.
Ed è anche per questo che evito di leggere in fila alla posta: perderei di sicuro il mio turno!
Insomma, una volta per tutte: non è solo questione di fantasia, mentre si legge un libro, quella ce la mette l'autore; è questione di bravura (sua) e di attenzione (nostra) a quello che stiamo leggendo. Se un libro ci piace, non è difficile estraniarci dal mondo reale, diverso è se leggiamo per dovere (per esempio a scuola o all'università o a lavoro).
Morale della favola: non rompeteci mentre leggiamo e non fate domande stupide!
Nemmeno leggere con le figure ci mette al riparo dagli stupidi.
Anche qui, sono molto di parte perché ho una bella collezione di fumetti e graphic novel, ed anche qui trovo (o meglio mi trovano loro!) sempre chi mi chiede (anzi, chi giudica): "Ma come ti fa a piacere! Sono per bambini!"
Anche a questo, di solito non rispondo, perché se sei così stupido da fare una domanda del genere a una che ha a casa più di mille fumetti, allora sei ugualmente stupido da non capire la risposta.
E la risposta è di una semplicità che può far spavento: perché mi diverto! Già, sono d'accordo, non ci vuole un genio per capirlo, ma penso ci voglia un genio per capire il senso della domanda...
Comunque sì, i fumetti, anche quelli tristi (cioè la maggior parte di quelli che ho), mi piacciono da matti perché come i libri mi trasmettono un senso di irrealtà, di cui a volte ho bisogno per riposarmi il cervello.
Ci sono momenti nella vita di tutti in cui uno dice "Basta, ora me ne vado un paio di giorni, non voglio proprio sentire nessuno, spengo il cellulare!!" (atto rivoluzionario, lo so) ed io lo faccio quando apro un fumetto o un libro.
Mi metto lì, seduta, se è inverno con una tazza gigante di tè, se è estate con un succo di frutta freddo, e leggo finché "non mi passano le paturnie" (direbbe Holly Golightly): lei andava da Tiffany e io vado a leggere.
C'è chi si estrania con i videogiochi, con il cinema o con la tv (quanto vorrei che scomparisse!), ognuno trova il suo modo. Ma io penso che tutto ciò che viene dai libri non possa arrivare da nient'altro. Non è solo cultura (non replicatemi che ci sono libri che con la cultura non hanno niente a che fare, lo so e non è di quelli che si parla ora), è una strada, un percorso diverso per ognuno, eppure simile, che ci porta a ragionare con la nostra testa, a farci un'idea del mondo e delle persone. Un insegnamento di vita, insomma, e chi lo sa cogliere è il più ricco di tutti.
Anarchic Rain
lunedì 25 luglio 2016
Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas
Ho appena finito di leggerlo e il mio cuore non si calma ancora!
Monsieur Dumas aveva già fatto palpitare il mio cuoricino suscettibile con Orrore a Fontenay (avevo tipo 12 anni quando lo lessi e mi piacque moltissimo, ero nel mio periodo horror -che non è mai passato-) e La vicenda della dama pallida (un mini-Dracula francese, un po' svenevole ma piacevolissima lettura). Poi recentemente ho letto I tre moschettieri che mi ha definitivamente convinta: Dumas è un fenomeno.
Così, dopo mesi (forse dovrei dire anni) di attesa, ho iniziato Il Conte e l'ho letto col fiato sospeso.
Ovviamente a grandi linee conoscevo la trama, una storia di vendetta a sangue freddo, da parte di un poveraccio sbattuto in prigione per gelosia, sui tre responsabili, nel frattempo diventati stra-ricchi.
Ma già dalle prime pagine, quando il complotto prende forma e infine si realizza, sei costretto a leggere, a sbrigarti, a voltare sempre quella che dovrebbe essere l'ultima pagina e poi non lo è. Fin dal primo rigo fai il tifo per il povero Edmond, che perde quattordici anni della sua giovinezza perché la cattiveria della gente non trova fondo.
Dumas ingarbuglia questa trama piuttosto lineare aggiungendo personaggi e storie che sul momento sembrano inutili lungaggini, ma si rivelano poi fondamentali allo sviluppo dell'intreccio e agli scopi del Conte.
Edmond non vuole solo vendicarsi: vuole sbriciolare i suoi tre aguzzini, ridurli più che in polvere. E lo fa con maestria suprema, sostenuto dal suo infinito ingegno e dal suo pressoché infinito patrimonio (diciamocelo, i soldi non guastano mai!).
Ebbene sì, sono una fan del Conte, un uomo che non si è mai arreso, pur stando sulla soglia di un precipizio, anzi, essendovi gettato dentro (anche letteralmente parlando). Nonostante la sua apparente alterigia, i suoi modi poco ortodossi, in fondo al cuore Edmond è rimasto una persona buona, delicata, che si commuove quando vede una famiglia felice, che farebbe (e fa) di tutto per un amico.
Non risparmia niente, né di fisico né di metafisico, che sia per male o per bene. Colpisce solo le persone che lo meritano (non solo secondo una sua personale giustizia, ma secondo quella di tutti) e cerca di salvare gli altri.
Un solo dubbio ha sfiorato questa grande persona in millecinquecento pagine: quando la moglie di Villefort avvelena persino il suo bambino di otto anni. Lì è preso dal rimorso, dal dubbio del castigo eccessivo. Eppure no, quando tutti abbiamo visto che potenzialmente quel bambino poteva solo diventare un uomo riprovevole, dedito a fare il male e non il bene. E al Conte perdoniamo anche questo (perlomeno io gliel'ho perdonato senza indugio).
Il suo ritorno al castello d'If mi ha raggelato, ho provato un brivido freddo a scendere di nuovo nella segreta da cui Edmond riuscì a scappare per miracolo.
Ecco, a proposito, unico appunto che mi sento di fare a Dumas: perché Faria è dovuto morire? Non si poteva trovare un altro modo? Era così simpatico! Anche lui avrebbe meritato di vedere di nuovo la luce del sole e di vivere ancora qualche tempo col suo nuovo figlio (che tra l'altro aveva anche già perso il padre)...insomma l'ho trovata una cattiveria inutile ecco...
Ok, ora mi sono sfogata.
Che dire degli altri personaggi: Maximilien mi è piaciuto anche se l'ho trovato troppo teatrale, così come Valentine (a volte sembra proprio una povera scema!), Danglars è così volgare che mi rifiuto di parlarne. Haydèe è un gran personaggio, peccato che le si dia poco spazio. Eugenie è la donna più forte di tutto il romanzo, mi è piaciuta tantissimo, con la sua volontà di ferro e la sua logica infallibile. Morcef si vede troppo poco, ma mi sembra senza infamia e senza lode, un antagonista dimenticabile. Quello che invece è indimenticabile è Villefort. Da un punto di vista oggettivo, è lui il mio personaggio preferito. All'inizio non gli davo una lira (come si suol dire), ma poi la sua figura austera e apparentemente retta mi ha affascinato: in realtà, eccettuata la parte da lui avuta nel rinchiudere Edmond ingiustamente, ha sempre percorso la strada della rettitudine, punendo (forse a volte con eccessiva durezza) i criminali che lo meritavano, senza lasciarsi impietosire da niente e nessuno. Il suo senso di giustizia anzi era più sensibile che mai da quando egli stesso, per salvare suo padre e il proprio nome, aveva momentaneamente deviato dalla retta via. E forse per lavare anche i suoi peccati, puniva quasi con furore quelli degli altri. L'ho trovato complesso, profondo e interessante, ecco. E' stato l'unico per cui ho provato un minimo di pietà, specie quando trova suo figlio e impazzisce.
Il linguaggio è nettamente diverso da quello con cui descrive le avventure di D'Artagnan, più tetro forse, e i temi sono molto più maturi, ma entrambi mi sono piaciuti moltissimo nel loro genere.
Il primo si legge con molta più facilità e sicuramente con molto più divertimento, il secondo è bello anche perché dà infiniti spunti di riflessione e perché è un piacere vedere una trama ingarbugliata sbrogliarsi con facilità! Sembra quasi che sia stato semplice ordire il tutto, ma è proprio qui che sta la bravura dei grandi: non farti accorgere del grande lavoro che c'è dietro un capolavoro.
Leggetelo. Anche se può sembrare lento o a volte troppo descrittivo (sono le parti che preferisco!), tutto è funzionale a quello che succederà. Ogni dettaglio preparatorio serve solo a rendere più grandiosa la scena della risoluzione (anzi, le varie scene).
Preparatevi a un colpo al cuore.
Anarchic Rain
Monsieur Dumas aveva già fatto palpitare il mio cuoricino suscettibile con Orrore a Fontenay (avevo tipo 12 anni quando lo lessi e mi piacque moltissimo, ero nel mio periodo horror -che non è mai passato-) e La vicenda della dama pallida (un mini-Dracula francese, un po' svenevole ma piacevolissima lettura). Poi recentemente ho letto I tre moschettieri che mi ha definitivamente convinta: Dumas è un fenomeno.
Così, dopo mesi (forse dovrei dire anni) di attesa, ho iniziato Il Conte e l'ho letto col fiato sospeso.
Ovviamente a grandi linee conoscevo la trama, una storia di vendetta a sangue freddo, da parte di un poveraccio sbattuto in prigione per gelosia, sui tre responsabili, nel frattempo diventati stra-ricchi.
Ma già dalle prime pagine, quando il complotto prende forma e infine si realizza, sei costretto a leggere, a sbrigarti, a voltare sempre quella che dovrebbe essere l'ultima pagina e poi non lo è. Fin dal primo rigo fai il tifo per il povero Edmond, che perde quattordici anni della sua giovinezza perché la cattiveria della gente non trova fondo.
Dumas ingarbuglia questa trama piuttosto lineare aggiungendo personaggi e storie che sul momento sembrano inutili lungaggini, ma si rivelano poi fondamentali allo sviluppo dell'intreccio e agli scopi del Conte.
Edmond non vuole solo vendicarsi: vuole sbriciolare i suoi tre aguzzini, ridurli più che in polvere. E lo fa con maestria suprema, sostenuto dal suo infinito ingegno e dal suo pressoché infinito patrimonio (diciamocelo, i soldi non guastano mai!).
Ebbene sì, sono una fan del Conte, un uomo che non si è mai arreso, pur stando sulla soglia di un precipizio, anzi, essendovi gettato dentro (anche letteralmente parlando). Nonostante la sua apparente alterigia, i suoi modi poco ortodossi, in fondo al cuore Edmond è rimasto una persona buona, delicata, che si commuove quando vede una famiglia felice, che farebbe (e fa) di tutto per un amico.
Non risparmia niente, né di fisico né di metafisico, che sia per male o per bene. Colpisce solo le persone che lo meritano (non solo secondo una sua personale giustizia, ma secondo quella di tutti) e cerca di salvare gli altri.
Un solo dubbio ha sfiorato questa grande persona in millecinquecento pagine: quando la moglie di Villefort avvelena persino il suo bambino di otto anni. Lì è preso dal rimorso, dal dubbio del castigo eccessivo. Eppure no, quando tutti abbiamo visto che potenzialmente quel bambino poteva solo diventare un uomo riprovevole, dedito a fare il male e non il bene. E al Conte perdoniamo anche questo (perlomeno io gliel'ho perdonato senza indugio).
Il suo ritorno al castello d'If mi ha raggelato, ho provato un brivido freddo a scendere di nuovo nella segreta da cui Edmond riuscì a scappare per miracolo.
Ecco, a proposito, unico appunto che mi sento di fare a Dumas: perché Faria è dovuto morire? Non si poteva trovare un altro modo? Era così simpatico! Anche lui avrebbe meritato di vedere di nuovo la luce del sole e di vivere ancora qualche tempo col suo nuovo figlio (che tra l'altro aveva anche già perso il padre)...insomma l'ho trovata una cattiveria inutile ecco...
Ok, ora mi sono sfogata.
Che dire degli altri personaggi: Maximilien mi è piaciuto anche se l'ho trovato troppo teatrale, così come Valentine (a volte sembra proprio una povera scema!), Danglars è così volgare che mi rifiuto di parlarne. Haydèe è un gran personaggio, peccato che le si dia poco spazio. Eugenie è la donna più forte di tutto il romanzo, mi è piaciuta tantissimo, con la sua volontà di ferro e la sua logica infallibile. Morcef si vede troppo poco, ma mi sembra senza infamia e senza lode, un antagonista dimenticabile. Quello che invece è indimenticabile è Villefort. Da un punto di vista oggettivo, è lui il mio personaggio preferito. All'inizio non gli davo una lira (come si suol dire), ma poi la sua figura austera e apparentemente retta mi ha affascinato: in realtà, eccettuata la parte da lui avuta nel rinchiudere Edmond ingiustamente, ha sempre percorso la strada della rettitudine, punendo (forse a volte con eccessiva durezza) i criminali che lo meritavano, senza lasciarsi impietosire da niente e nessuno. Il suo senso di giustizia anzi era più sensibile che mai da quando egli stesso, per salvare suo padre e il proprio nome, aveva momentaneamente deviato dalla retta via. E forse per lavare anche i suoi peccati, puniva quasi con furore quelli degli altri. L'ho trovato complesso, profondo e interessante, ecco. E' stato l'unico per cui ho provato un minimo di pietà, specie quando trova suo figlio e impazzisce.
Il linguaggio è nettamente diverso da quello con cui descrive le avventure di D'Artagnan, più tetro forse, e i temi sono molto più maturi, ma entrambi mi sono piaciuti moltissimo nel loro genere.
Il primo si legge con molta più facilità e sicuramente con molto più divertimento, il secondo è bello anche perché dà infiniti spunti di riflessione e perché è un piacere vedere una trama ingarbugliata sbrogliarsi con facilità! Sembra quasi che sia stato semplice ordire il tutto, ma è proprio qui che sta la bravura dei grandi: non farti accorgere del grande lavoro che c'è dietro un capolavoro.
Leggetelo. Anche se può sembrare lento o a volte troppo descrittivo (sono le parti che preferisco!), tutto è funzionale a quello che succederà. Ogni dettaglio preparatorio serve solo a rendere più grandiosa la scena della risoluzione (anzi, le varie scene).
Preparatevi a un colpo al cuore.
Anarchic Rain
Carne e sangue di Michael Cunningham
Michael Cunningham colpisce ancora.
Con più potenza.
Dritto al mio cuore.
Ho iniziato a leggere questo autore i primi anni di università, con Una casa alla fine del mondo, che mi era piaciuto tantissimo. Ho continuato l'anno scorso con Le ore (anche questo costruito alla perfezione), per finire (ma solo per ora) con Carne e sangue.
Qualche recensione letta qua e là mi informava che questo libro non aggiungeva niente a quanto già scritto dall'autore, ma dopo averlo letto posso dire di non essere assolutamente d'accordo.
I temi trattati sono quelli a lui cari, ovviamente, quale scrittore che abbia un minimo di buonsenso non scriverebbe ciò di cui sa meglio? Ogni scrittore/scrittrice che io conosco, che abbia scritto più di un libro, ha il proprio (o i propri) tema fondamentale, da cui raramente si scosta. Però si può scrivere della stessa cosa in modo diverso o da punti di vista diversi, o arrivarci per vie diverse. E se uno è bravo, è sempre un piacere accompagnarlo nel viaggio.
Per me Cunningham è bravo. Scrive di persone che la vita ha in qualche modo punito, con un'infanzia dolorosa o una malattia o la morte di una persona cara, ma riesce sempre a descrivere personaggi affascinanti, nei quali magari uno non si riconosce, ma per cui non si può non provare almeno pietà.
Questo libro descrive i cento anni di una famiglia greca immigrata in America, la insegue nelle sue battaglie, nelle sue soddisfazioni e nelle sue illusioni. Nella morte e nella depravazione. In ogni anfratto della sua anima.
Prima i genitori, Constantine e Mary, poi i tre figli, Susan, Billy (Will) e Zoe e i nipoti, Ben e Jamal.
Sarebbe facilissimo dire quale mi è piaciuto di più e quale di meno, ma credo che a nessuno freghi niente, meno che meno all'autore.
Perché? Perché ha creato un mondo di personaggi interessanti e in qualche modo difettosi, tutti da amare nonostante e forse a causa dei loro difetti.
A ognuno manca qualcosa: a Con il senso della misura, a Mary e Susan il coraggio, a Billy la responsabilità, a Zoe il senso della realtà, a Ben l'umiltà. Jamal è l'unico che sembra rimanere integro. Eppure anche a lui manca qualcosa: lo spirito. A me sembra come una spugna che tutto assorbe (l'amore di sua madre, il desiderio/ossessione di suo cugino, la curiosità degli zii, la diffidenza del nonno) e da nulla è scalfito, come se tutto gli passasse addosso senza lasciare traccia o meglio senza provocargli altro che sorpresa momentanea. Allo stesso modo un bambino di 3 anni riceverebbe un regalo sul momento bellissimo, dimenticato dopo mezz'ora.
Il tema dell'AIDS così caro a Cunningham è descritto forse più ampiamente rispetto a Le ore e Una casa alla fine del mondo, ma mai con prosaicità o pateticità, anzi, ne parla senza farne drammi non richiesti, senza spettacolarità. Come se dicesse: sono cose che capitano, sono brutte, ma bisogna prenderne atto e sbrigarsi a fare le cose che si devono fare prima di salutare e andare via.
Mi piace questo modo di vedere le cose.
Questo è uno di quei libri che non hanno niente di gioioso, niente che sollevi lo spirito, o che aggiunga serenità all'esistenza. E' invece uno di quei libri che graffiano e lasciano senza fiato.
Ve lo consiglio, ma con cautela, perché anche se sul finale c'è una piccola luce che potrebbe significare l'uscita dal tunnel, questa potrebbe essere più lontana di quanto non sembri.
State attenti.
Anarchic Rain
Con più potenza.
Dritto al mio cuore.
Ho iniziato a leggere questo autore i primi anni di università, con Una casa alla fine del mondo, che mi era piaciuto tantissimo. Ho continuato l'anno scorso con Le ore (anche questo costruito alla perfezione), per finire (ma solo per ora) con Carne e sangue.
Qualche recensione letta qua e là mi informava che questo libro non aggiungeva niente a quanto già scritto dall'autore, ma dopo averlo letto posso dire di non essere assolutamente d'accordo.
I temi trattati sono quelli a lui cari, ovviamente, quale scrittore che abbia un minimo di buonsenso non scriverebbe ciò di cui sa meglio? Ogni scrittore/scrittrice che io conosco, che abbia scritto più di un libro, ha il proprio (o i propri) tema fondamentale, da cui raramente si scosta. Però si può scrivere della stessa cosa in modo diverso o da punti di vista diversi, o arrivarci per vie diverse. E se uno è bravo, è sempre un piacere accompagnarlo nel viaggio.
Per me Cunningham è bravo. Scrive di persone che la vita ha in qualche modo punito, con un'infanzia dolorosa o una malattia o la morte di una persona cara, ma riesce sempre a descrivere personaggi affascinanti, nei quali magari uno non si riconosce, ma per cui non si può non provare almeno pietà.
Questo libro descrive i cento anni di una famiglia greca immigrata in America, la insegue nelle sue battaglie, nelle sue soddisfazioni e nelle sue illusioni. Nella morte e nella depravazione. In ogni anfratto della sua anima.
Prima i genitori, Constantine e Mary, poi i tre figli, Susan, Billy (Will) e Zoe e i nipoti, Ben e Jamal.
Sarebbe facilissimo dire quale mi è piaciuto di più e quale di meno, ma credo che a nessuno freghi niente, meno che meno all'autore.
Perché? Perché ha creato un mondo di personaggi interessanti e in qualche modo difettosi, tutti da amare nonostante e forse a causa dei loro difetti.
A ognuno manca qualcosa: a Con il senso della misura, a Mary e Susan il coraggio, a Billy la responsabilità, a Zoe il senso della realtà, a Ben l'umiltà. Jamal è l'unico che sembra rimanere integro. Eppure anche a lui manca qualcosa: lo spirito. A me sembra come una spugna che tutto assorbe (l'amore di sua madre, il desiderio/ossessione di suo cugino, la curiosità degli zii, la diffidenza del nonno) e da nulla è scalfito, come se tutto gli passasse addosso senza lasciare traccia o meglio senza provocargli altro che sorpresa momentanea. Allo stesso modo un bambino di 3 anni riceverebbe un regalo sul momento bellissimo, dimenticato dopo mezz'ora.
Il tema dell'AIDS così caro a Cunningham è descritto forse più ampiamente rispetto a Le ore e Una casa alla fine del mondo, ma mai con prosaicità o pateticità, anzi, ne parla senza farne drammi non richiesti, senza spettacolarità. Come se dicesse: sono cose che capitano, sono brutte, ma bisogna prenderne atto e sbrigarsi a fare le cose che si devono fare prima di salutare e andare via.
Mi piace questo modo di vedere le cose.
Questo è uno di quei libri che non hanno niente di gioioso, niente che sollevi lo spirito, o che aggiunga serenità all'esistenza. E' invece uno di quei libri che graffiano e lasciano senza fiato.
Ve lo consiglio, ma con cautela, perché anche se sul finale c'è una piccola luce che potrebbe significare l'uscita dal tunnel, questa potrebbe essere più lontana di quanto non sembri.
State attenti.
Anarchic Rain
domenica 3 luglio 2016
Manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (economica) di Sara Lorenzini
Madrediddio.
Da dove comincio? Mah. Vabbè, comincio dall'inizio.
Ogni tanto sono incuriosita da questi libercoli che parlano di niente, per il semplice fatto che creano delle liste e io adoro le liste.
Manuali dell'aria fritta, ma di solito scritti decentemente, anche un filino divertenti, se sei fortunata.
Ecco, non solo non sono stata fortunata stavolta, ma ho proprio preso il palo in fronte.
Mi pare ormai un paio d'anni fa, ho preso per kindle (ovviamente, gratuitamente) questo libretto, credo di nemmeno 100 pagine. L'ho preso perché il titolo mi sembrava carino e ironico (con un fondo di verità).
Oggi l'ho letto.
Madonnasantissimadadovecomincio.
Per essere leggero è leggero, vola via con nemmeno un'ora di lettura, ma il contenuto è tra i più trash che siano mai stati scritti.
Insomma, abbiamo capito che sei stata mollata, che hai avuto un super-nonno, che hai un appartamento tuo grazie ai suoi duecentotrentamila euri e che ora hai un ragazzo m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o. Ma non è che ogni due pagine devi riscriverlo.
E vogliamo parlare della lezioncina sul furto che dai a tutte? Che male c'è a rubare da casa del tuo ex videogames assortiti e poi rivenderli? (Cito quasi testualmente). Tu che sei furba ci hai guadagnato 72 euro e 30 centesimi per andare dall'estetista e farti la manicure.
Fossi stata io il tuo ex-ragazzo ci avresti beccato anche una mattonella sui denti.
Cose allucinanti.
Inoltre, una banalità dietro l'altra sul risparmio a tutti i costi. Tutte cose già dette, già sentite, già fatte, già superate.
Guardarsi una puntata di Pazzi per la spesa è più istruttivo.
Altra cosa che dà maledettamente fastidio (come se non bastasse il contenuto) sono i continui refusi del testo. Ma chi ha corretto la bozza? Gatto Silvestro mentre faceva la posta a quello stron*o di Tweety? Paperino? Mah.
Ora, lungi da me fare di tutta l'erba un fascio, ma diodelcieloedellaterra possibile che non ci fosse un editor un minimo competente?
Nel retrocopertina (o nell'introduzione, non ricordo) c'è scritto che dopo aver letto questo manuale, non si potrà fare a meno di comprare anche il libro precedente (che racconta la vita della scrittrice, con tutti i suoi fallimenti e le sue vittorie). Ma per favore. L'unica cosa che vorrei fare è incontrarla e capire se è davvero scema come sembra.
Spero di no.
Anarchic Rain
Da dove comincio? Mah. Vabbè, comincio dall'inizio.
Ogni tanto sono incuriosita da questi libercoli che parlano di niente, per il semplice fatto che creano delle liste e io adoro le liste.
Manuali dell'aria fritta, ma di solito scritti decentemente, anche un filino divertenti, se sei fortunata.
Ecco, non solo non sono stata fortunata stavolta, ma ho proprio preso il palo in fronte.
Mi pare ormai un paio d'anni fa, ho preso per kindle (ovviamente, gratuitamente) questo libretto, credo di nemmeno 100 pagine. L'ho preso perché il titolo mi sembrava carino e ironico (con un fondo di verità).
Oggi l'ho letto.
Madonnasantissimadadovecomincio.
Per essere leggero è leggero, vola via con nemmeno un'ora di lettura, ma il contenuto è tra i più trash che siano mai stati scritti.
Insomma, abbiamo capito che sei stata mollata, che hai avuto un super-nonno, che hai un appartamento tuo grazie ai suoi duecentotrentamila euri e che ora hai un ragazzo m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o. Ma non è che ogni due pagine devi riscriverlo.
E vogliamo parlare della lezioncina sul furto che dai a tutte? Che male c'è a rubare da casa del tuo ex videogames assortiti e poi rivenderli? (Cito quasi testualmente). Tu che sei furba ci hai guadagnato 72 euro e 30 centesimi per andare dall'estetista e farti la manicure.
Fossi stata io il tuo ex-ragazzo ci avresti beccato anche una mattonella sui denti.
Cose allucinanti.
Inoltre, una banalità dietro l'altra sul risparmio a tutti i costi. Tutte cose già dette, già sentite, già fatte, già superate.
Guardarsi una puntata di Pazzi per la spesa è più istruttivo.
Altra cosa che dà maledettamente fastidio (come se non bastasse il contenuto) sono i continui refusi del testo. Ma chi ha corretto la bozza? Gatto Silvestro mentre faceva la posta a quello stron*o di Tweety? Paperino? Mah.
Ora, lungi da me fare di tutta l'erba un fascio, ma diodelcieloedellaterra possibile che non ci fosse un editor un minimo competente?
Nel retrocopertina (o nell'introduzione, non ricordo) c'è scritto che dopo aver letto questo manuale, non si potrà fare a meno di comprare anche il libro precedente (che racconta la vita della scrittrice, con tutti i suoi fallimenti e le sue vittorie). Ma per favore. L'unica cosa che vorrei fare è incontrarla e capire se è davvero scema come sembra.
Spero di no.
Anarchic Rain
mercoledì 29 giugno 2016
Diario di un sopravvissuto agli zombie di J.L.Bourne
Dopo gli stravizi di un gruppo di "ragazze" inglesi e la tranquillità zen di un monaco buddhista, ho deciso di leggere qualcosa di non impegnativo (in questo clima pre-specializzazione non ce la farei a fare altro) e di accattivante allo stesso tempo.
Essendo in astinenza da Walking dead (ebbene sì, sono fan della serie, nonostante tutto), ho pensato di leggere un libro sugli zombie, anche perché combinazione ha voluto che l'offerta del giorno del Kindle store avesse proprio questo titolo.
Titolo a cui ho fatto la corte parecchie volte in libreria, ma che non mi sono mai decisa ad acquistare, chissà perché*.
*Per i curiosi: me lo sono spiegato un paio di giorni fa. Il mio quinto senso e mezzo deve aver captato la fregatura: si tratta di una trilogia e prima di prenderla cartacea ho deciso di provare la versione elettronica. Se poi dovesse meritare allora la comprerò.
Dunque. Questo libro, prima parte appunto di una trilogia zombie, non è per niente malvagio, anzi. E' scritto (come ci avverte il titolo) sotto forma di diario da un sopravvissuto a un'apocalisse zombie, scoppiata in Cina ai giorni nostri. Il tizio in questione è un militare americano che cerca in tutti i modi di cavarsela in un mondo ormai diventato ostile. Insomma, direte voi, la solita vecchia solfa.
Può darsi, certo il tema è stato ampiamente sfruttato da un sacco di media, libri, film, serie tv, videogiochi, fumetti e via dicendo.
Però questo libro parte da un'idea sui generis: un appassionato del genere Z decide di tenere un diario sul suo blog, per scrivere quello che secondo lui ancora non è stato scritto sull'argomento. Ed è senza abbellimenti letterari, ma con un linguaggio sintetico e di stampo militare, che Bourne ci informa su tutto quello di cui avremmo bisogno nel caso in cui il nostro mondo non sia più nostro ma in balia di quelle creature poco socievoli che sono i morti viventi.
Dal cibo alle armi, ai sistemi di comunicazione e locomozione. Tutto.
Inoltre ci mette in guardia: spesso (non sempre) è meglio stare alla larga non solo dagli erranti, ma anche dagli esseri umani rimasti. La morte (e i morti) non sceglie chi attaccare, buoni o cattivi non c'è differenza e se è possibile incontrare ancora brave persone, è anche possibile il contrario, quindi la parola d'ordine è PRUDENZA!
Dei personaggi solo il protagonista è abbastanza ben sviluppato, ovviamente, visto che il diario è il suo. Di lui sappiamo cosa pensa (anche se in maniera sintetica, è molto preciso riguardo le sue sensazioni), cosa vorrebbe fare, cosa può fare e conosciamo anche a poco a poco i suoi sentimenti verso gli altri del gruppo (fondamentalmente sono un desiderio di protezione e un senso di responsabilità che vengono fuori), mentre le altre personalità sono poco o niente accennate (a parte le descrizioni di quello che fanno e le impressioni soggettive del protagonista). Però è una cosa che non disturba nella lettura complessiva, o meglio, anche noi tendiamo a concentrarci su di lui e a vedere gli altri come un necessario e fortuito contorno.
L'unica cosa che davvero mi ha fatto storcere il naso, ma credo sia inevitabile con un diario, è che nonostante alcune pagine si aprano con "Me la sono vista davvero brutta", sai già che comunque è finito tutto bene, altrimenti non starebbe lì a scrivere...ma ripeto, non ci si può fare niente, non avendo scelto questa forma letteraria.
Non so ancora come sono scritti gli altri due libri della trilogia, non so se si riprende lo stesso stile, non so neppure se il protagonista che parla è sempre lo stesso. Però spero di no, spero che altri due ospiti dell'Hotel 23 si siano dati da fare per non abbrutirsi più del necessario, per cercare di esplorare se stessi e scrivere tutto quello che accade se non altro per cercare una specie di ordine in tutto quel caos.
Tutto sommato, questo libro è una buona partenza, non proprio uno sprint, ma ci si può lavorare.
Non essendo un libro impegnativo, potete leggerlo sotto l'ombrellone o se avete due o tre ore da perdere, ma non aspettatevi brividi o azione adrenalinica (impossibili entrambi con quel linguaggio secco e lineare).
Anarchic Rain
Essendo in astinenza da Walking dead (ebbene sì, sono fan della serie, nonostante tutto), ho pensato di leggere un libro sugli zombie, anche perché combinazione ha voluto che l'offerta del giorno del Kindle store avesse proprio questo titolo.
Titolo a cui ho fatto la corte parecchie volte in libreria, ma che non mi sono mai decisa ad acquistare, chissà perché*.
*Per i curiosi: me lo sono spiegato un paio di giorni fa. Il mio quinto senso e mezzo deve aver captato la fregatura: si tratta di una trilogia e prima di prenderla cartacea ho deciso di provare la versione elettronica. Se poi dovesse meritare allora la comprerò.
Dunque. Questo libro, prima parte appunto di una trilogia zombie, non è per niente malvagio, anzi. E' scritto (come ci avverte il titolo) sotto forma di diario da un sopravvissuto a un'apocalisse zombie, scoppiata in Cina ai giorni nostri. Il tizio in questione è un militare americano che cerca in tutti i modi di cavarsela in un mondo ormai diventato ostile. Insomma, direte voi, la solita vecchia solfa.
Può darsi, certo il tema è stato ampiamente sfruttato da un sacco di media, libri, film, serie tv, videogiochi, fumetti e via dicendo.
Però questo libro parte da un'idea sui generis: un appassionato del genere Z decide di tenere un diario sul suo blog, per scrivere quello che secondo lui ancora non è stato scritto sull'argomento. Ed è senza abbellimenti letterari, ma con un linguaggio sintetico e di stampo militare, che Bourne ci informa su tutto quello di cui avremmo bisogno nel caso in cui il nostro mondo non sia più nostro ma in balia di quelle creature poco socievoli che sono i morti viventi.
Dal cibo alle armi, ai sistemi di comunicazione e locomozione. Tutto.
Inoltre ci mette in guardia: spesso (non sempre) è meglio stare alla larga non solo dagli erranti, ma anche dagli esseri umani rimasti. La morte (e i morti) non sceglie chi attaccare, buoni o cattivi non c'è differenza e se è possibile incontrare ancora brave persone, è anche possibile il contrario, quindi la parola d'ordine è PRUDENZA!
Dei personaggi solo il protagonista è abbastanza ben sviluppato, ovviamente, visto che il diario è il suo. Di lui sappiamo cosa pensa (anche se in maniera sintetica, è molto preciso riguardo le sue sensazioni), cosa vorrebbe fare, cosa può fare e conosciamo anche a poco a poco i suoi sentimenti verso gli altri del gruppo (fondamentalmente sono un desiderio di protezione e un senso di responsabilità che vengono fuori), mentre le altre personalità sono poco o niente accennate (a parte le descrizioni di quello che fanno e le impressioni soggettive del protagonista). Però è una cosa che non disturba nella lettura complessiva, o meglio, anche noi tendiamo a concentrarci su di lui e a vedere gli altri come un necessario e fortuito contorno.
L'unica cosa che davvero mi ha fatto storcere il naso, ma credo sia inevitabile con un diario, è che nonostante alcune pagine si aprano con "Me la sono vista davvero brutta", sai già che comunque è finito tutto bene, altrimenti non starebbe lì a scrivere...ma ripeto, non ci si può fare niente, non avendo scelto questa forma letteraria.
Non so ancora come sono scritti gli altri due libri della trilogia, non so se si riprende lo stesso stile, non so neppure se il protagonista che parla è sempre lo stesso. Però spero di no, spero che altri due ospiti dell'Hotel 23 si siano dati da fare per non abbrutirsi più del necessario, per cercare di esplorare se stessi e scrivere tutto quello che accade se non altro per cercare una specie di ordine in tutto quel caos.
Tutto sommato, questo libro è una buona partenza, non proprio uno sprint, ma ci si può lavorare.
Non essendo un libro impegnativo, potete leggerlo sotto l'ombrellone o se avete due o tre ore da perdere, ma non aspettatevi brividi o azione adrenalinica (impossibili entrambi con quel linguaggio secco e lineare).
Anarchic Rain
martedì 28 giugno 2016
Libri e settima arte. Part I: Penny Dreadful
Immagine presa da Quag |
Già sento la vostra disapprovazione. Riesco a percepire ogni sospiro esasperato, ogni mormorio agonizzante.
E di solito anch'io reagisco così. Un film sta al libro come una goccia sta all'oceano e fin qui siamo tutti perfettamente d'accordo.
Ma un sincero omaggio ad alcuni dei libri più belli mai scritti può essere ignorato?
Non da me.
Penny Dreadful è stata una delle scoperte più interessanti degli ultimi mesi. L'ho vista tutta d'un fiato e devo dire che mi ha affascinato non poco. Nonostante i primi episodi siano un insieme un po' confuso dei più famosi romanzi gotici dell'800 inglese, andando avanti la trama si sviluppa e si "intensifica".
Ci sono vampiri, Van Helsing, streghe, lupi mannari, voodoo africani, Dorian Gray, il dottor Frankenstein con la/e sua/e Creatura/e, egittologia, a cui si aggiungono indiani d'America e persino il dottor Jeckyll.
Ma che cos'è che li rende speciali? Cos'è che mi ha fatto pensare che valgano qualcosa nonostante i loro corrispettivi cartacei?
Vanno oltre. Superano se stessi e i loro creatori originali.
Vi avviso che ci saranno spoiler come se piovesse, sia sulla serie che sui libri da cui ogni personaggio è tratto.
Il primo che mi viene in mente, perché il mio preferito, è Dorian Gray. Tutti ricordiamo il Gray di Wilde: un idolo creato da ogni persona che lo ha sfiorato, primo tra tutti Basil, il suo amico pittore, il primo ad innamorarsi di lui e il primo a mostrargli la sua bellezza, tanto estrema da essere peccaminosa. Poi lord Henry, il suo cosiddetto migliore amico, colui che non potendo vivere secondo i suoi stessi precetti ha vissuto attraverso Dorian per decenni, rendendosi conto troppo tardi di cosa aveva creato. E alla fine, abbandonato pressoché da tutti, ma specialmente da se stesso, Dorian non sopporta più il suo essere immortale e abbietto e si toglie la vita.
Il Dorian che ritroviamo in Penny è invece l'idolo perfetto. Completamente vuoto, amorale, indistruttibile. Niente e nessuno può sconfiggerlo, nessuno può anche solo minimamente arrivargli vicino, neppure lui stesso saprebbe dire dove si trova più. E' morto, ma risplende.
E' andato oltre l'immaginazione (pur sfrenata) di Oscar Wilde, è arrivato dove lui non è potuto andare. Ed io penso che si sia superato. Mi è piaciuto immensamente vederlo oltre i limiti, avevo quasi paura che alla fine si perdesse (ritrovasse?) ma per fortuna non è successo. E' rimasto perfetto.
Parliamo di Frankenstein e della sua povera Creatura. Due uomini distrutti, prima dalla vita, poi dalla morte. Ma soprattutto dall'amore. Frankenstein viene descritto come un ragazzino viziato dalla madre, malaticcio, che ad un certo punto della sua vita scopre qualcosa di incredibile e pericoloso: come sconfiggere la morte. Ingestibile la prima volta, ci riprova con un altro "essere" e sembra che sia più fortunato, ma quando il suo primo "errore" torna lo fa con potenza vendicativa e distruttiva. La prima Creatura (che si chiamerà John Clare) vuole una compagna per affrontare lo squallore della vita eterna. Ma il dottore anche nella versione televisiva si innamora della "donna" che resuscita e si perde per lei. A questo punto le due trame si dividono, la Creatura torna alle sue origini (ricordandosi sempre più di sua moglie e suo figlio) e il dottore tenta di farsi amare da colei che ha riportato alla vita, ma fallisce e la lascia andare.
Non mi è piaciuto moltissimo il personaggio del dottor Frankenstein, troppo giovane e schiavo dei suoi umori e della morfina. Ma ho adorato la Creatura, John Clare, che tra i comprimari è l'unico che lotta per ritrovare se stesso e che riesce nello sforzo. E' un personaggio triste, malinconico, romantico, come il poeta a cui ha preso in prestito il nome. Di una dolcezza struggente.
Dracula, il vampiro più amato di tutti i tempi. Ero curiosa di vedere cosa ne avrebbero fatto. Lui forse mi ha deluso più di tutti, perché era quello da cui mi aspettavo di più. Lui non è andato al di là. Lui è rimasto schiavo delle stesse catene che l'avevano distrutto già tra le pagine dei diari di Mina e Jonathan e Van Helsing. Una scena emblematica è nell'ultima puntata della terza (e ultima) serie: lui, seduto, mentre Vanessa (oh, Vanessa!) è dietro di lui. Le chiede cosa sta per succedere e lei prima poggia la mano sulla spalla di lui, poi la ritira quando lui cerca di prenderla. A questo punto, Dracula abbassa la testa: un sottomesso, totalmente in balia del suo amore per lei, perdutamente svanito nel grande potere di lei. Non mi è piaciuto, avrei voluto che il carisma dimostrato nelle prime apparizioni non svanisse così come un fuoco fatuo, come se una volta raggiunto l'obiettivo non contasse più averlo, come se tutto quanto fosse stato solo un teatrino per catturare lei, crollato subito dopo.
Nonostante ci siano state scelte che mi hanno disturbato e scene insulse (come in ogni serie tv che si rispetti), nel complesso Penny Dreadful mi è davvero piaciuto. Ho trovato quasi tutti i personaggi più che azzeccati, a partire da Eva Green, che è semplicemente divina, passando per Timothy Dalton (tormentato a sufficienza), Reeve Carney (un Dorian Gray che semplicemente è uscito dal libro, perfetto) e Rory Kinnear (John Clare). Frankenstein non mi è piaciuto molto, ma solo perché penso sempre a lui come un adulto, quasi vecchio, non come un ragazzino fragilino e tutto nervi. E non mi è piaciuto nemmeno Ethan Chandler (il cui vero nome, Talbot, rimanda ai lupi mannari della tradizione cinematografica americana), interpretato da Josh Hartnett, attore a mio parere fiacchissimo in questo ruolo.
Per quanto riguarda il finale di serie (è infatti stato annunciato, subito dopo l'ultimo episodio della terza stagione, che la serie risulta interrotta) mi fa immensamente piacere che mr Clare sia l'unico alla fine che sembra rimanere in piedi. A fatica, magari, senza fiato, sicuramente, ma è l'unico che non perde se stesso, l'unico che riuscirà ad andare avanti. Proprio come Dorian. Nessuno dei due è senza dolore. E se Dorian lo ignora, John Clare ne trae nutrimento.
Guardate questa serie e, se potete, guardatela in lingua originale, quello splendido inglese che vi trascinerà nei vicoli bui e pericolosi di una Londra piovosa e grigia.
Anarchic Rain
martedì 14 giugno 2016
Il club delle cattive ragazze di Sophie Hart
Lo so, questa non ve l'aspettavate da me, vero?
Chi, io e il genere chick lit nella stessa (non inorridita) frase? Ma stiamo scherzando?
E invece sì. Non si finisce mai di imparare nella vita.
Insomma, sarà stata la depressione pre-ciclo o pre-estate, avevo bisogno di un libro leggero, non impegnativo e divertente. Un po' stupido? Forse.
In libreria mi sono fatta catturare dalla copertina (una ragazza dagli occhi furbetti che spuntano da un libro aperto) e dal titolo, decisamente poco impegnativo. Non ho nemmeno letto il retro-copertina. L'ho preso e basta.
Sono circa 340 pagine, ma si leggono in un baleno, ogni frase attaccata all'altra scivola via che è una gioia. Ore di puro divertimento. Senza dare facili giudizi, senza storcere il naso davanti al romanticismo a secchiate, senza deprecare il lieto fine.
Insomma, ESCI DA QUESTO CORPO!
Ok, prometto di tornare in me appena finisco questa chiacchierata.
Il libro in sé non è davvero niente di che, non è alta letteratura (ma nemmeno bassa), è giocosamente sexy (i tentativi di imitare il kamasutra di Rebecca e Andy mi hanno fatto morire dal ridere) e si prende allegramente in giro da solo.
In una parola, è fresco.
E' anche scanzonato.
I protagonisti sono quattro "ragazze" (sebbene solo una possa di diritto rientrare nella categoria) e un ragazzo. Che sia per incrementare il piccante tra lenzuola matrimoniali, per sfuggire a un matrimonio noioso, per caso o per tentare di risollevare le sorti di un bar, fatto sta che queste cinque persone si incontrano e da questo incontro assolutamente casuale le loro vite prendono la cosiddetta svolta. Tutti e cinque si ritroveranno con un'occasione tra le mani e per fortuna sapranno sfruttarla al meglio.
Un libro per stare allegri insomma, ma anche per riflettere un po' sulla propria vita. Non è mai troppo tardi per cambiare o almeno per fare un tentativo. Certo, non è detto che alla fine vada bene proprio a tutti, ma se non ci provi non puoi dire che ti è andata male!
Anche se non è il mio genere, mi sento di consigliarlo soprattutto a un pubblico femminile, ma non solo. Anche tra le pagine di un libro divertente si possono trovare spunti impensati!
Anarchic Rain
Chi, io e il genere chick lit nella stessa (non inorridita) frase? Ma stiamo scherzando?
E invece sì. Non si finisce mai di imparare nella vita.
Insomma, sarà stata la depressione pre-ciclo o pre-estate, avevo bisogno di un libro leggero, non impegnativo e divertente. Un po' stupido? Forse.
In libreria mi sono fatta catturare dalla copertina (una ragazza dagli occhi furbetti che spuntano da un libro aperto) e dal titolo, decisamente poco impegnativo. Non ho nemmeno letto il retro-copertina. L'ho preso e basta.
Sono circa 340 pagine, ma si leggono in un baleno, ogni frase attaccata all'altra scivola via che è una gioia. Ore di puro divertimento. Senza dare facili giudizi, senza storcere il naso davanti al romanticismo a secchiate, senza deprecare il lieto fine.
Insomma, ESCI DA QUESTO CORPO!
Ok, prometto di tornare in me appena finisco questa chiacchierata.
Il libro in sé non è davvero niente di che, non è alta letteratura (ma nemmeno bassa), è giocosamente sexy (i tentativi di imitare il kamasutra di Rebecca e Andy mi hanno fatto morire dal ridere) e si prende allegramente in giro da solo.
In una parola, è fresco.
E' anche scanzonato.
I protagonisti sono quattro "ragazze" (sebbene solo una possa di diritto rientrare nella categoria) e un ragazzo. Che sia per incrementare il piccante tra lenzuola matrimoniali, per sfuggire a un matrimonio noioso, per caso o per tentare di risollevare le sorti di un bar, fatto sta che queste cinque persone si incontrano e da questo incontro assolutamente casuale le loro vite prendono la cosiddetta svolta. Tutti e cinque si ritroveranno con un'occasione tra le mani e per fortuna sapranno sfruttarla al meglio.
Un libro per stare allegri insomma, ma anche per riflettere un po' sulla propria vita. Non è mai troppo tardi per cambiare o almeno per fare un tentativo. Certo, non è detto che alla fine vada bene proprio a tutti, ma se non ci provi non puoi dire che ti è andata male!
Anche se non è il mio genere, mi sento di consigliarlo soprattutto a un pubblico femminile, ma non solo. Anche tra le pagine di un libro divertente si possono trovare spunti impensati!
Anarchic Rain
Iscriviti a:
Post (Atom)