TITOLO: Gerald's Game
AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Viking
PAGINE: 332
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 7+
Come ormai sapete, la mia idea è (ri)leggere King in ordine cronologico e in lingua originale. Stavolta il mio viaggio mi ha riportato nel 1992, in casa Burlingame, da Jessie (e le sue personalità), mentre si batte per la sua vita. E Jessie, come altri personaggi kinghiani, sarà presto consapevole che i mostri più spaventosi non sono quelli che vivono là fuori.
Prima delle innumerevoli sfumature di nausea a cui E.L.James ci ha abituato, c'era King.
Come sempre precursore inimitabile di mode che col tempo e le troppe pagine perdono sapore, lo zio ci regala un libro avvincente e sorprendente, quattrocento pagine di puro piacere delirante.
Jessie è sposata e il suo matrimonio non è né sorprendentemente buono, né pericolosamente cattivo. Anzi, recentemente suo marito ha trovato il modo di "ravvivare" la scena in camera da letto, ricorrendo a innocenti giochini con i foulard...che poi sono diventati manette.
Niente di male, fin qui, anzi, direi una cosa normale.
I due decidono di passare un weekend nella loro casa al lago e, ovviamente, Gerald tira fuori le manette. Jessie è riluttante ma se le fa mettere.
Salvo poi pentirsene quasi subito. Non riuscendo a convincere suo marito a toglierle, mentre lui le sta strisciando addosso per concludere quello che avevano (quasi) iniziato, Jessie gli punta i piedi sul petto e spinge.
Da qui (praticamente da pagina 10), inizia il suo incubo. Sì, perché Gerald non si accontenta di cadere e, che so, farsi male a una gamba o alla schiena, imprecando e rialzandosi acciaccato. No. Lui muore d'infarto.
Jessie capisce che, se non riesce a togliersi quelle manette in un modo o nell'altro, farà una brutta fine, in quella casa isolata al lago, fuori stagione. E con qualche ospite indesiderato di troppo.
Questa premessa non è che lo spunto da cui prende inizio il vero libro. Sì, perché noi fedeli lettori sappiamo fin troppo bene che quello che sembra una storia come un'altra, in realtà, è solo un pretesto. Un pretesto per scavare a fondo nell'animo umano, per andare a cercare i veri mostri (non il cane affamato che strappa brandelli di carne da Gerald), quelli che si nascondono bene, negli angoli bui della nostra mente, oppure quelli che noi nascondiamo bene, negli anfratti più remoti della nostra psiche.
E Jessie di mostro ne ha uno. Bello grosso anche. Un insospettabile. Il mostro dell'eclissi totale di sole del 1963. Suo padre.
E niente. King ogni volta riesce a stupirmi. Non mi capacito mai di come sappia descrivere fin troppo bene, fin troppo verosimilmente, ogni aspetto/sentimento/situazione che coinvolgono gli esseri umani. Insomma, la domanda fondamentale che ogni volta mi faccio è: ma come fa a entrare nella testa di tutti i suoi personaggi? A imitare i comportamenti di qualsiasi eroe o antieroe così bene che sembra di averli lì?
Le tre personalità di Jessie, per esempio: Good Wife Burlingame (la Brava Mogliettina), Punkin (Frugolino) e Ruth (la sua vecchia amica del college). Sono la stessa persona eppure ragionano ognuna in maniera diversa, litigando anche tra loro, ma sempre aiutandosi a vicenda (hanno bisogno l'una dell'altra, in fondo).
Inoltre attraverso i ricordi di Jessie, non solo riusciamo a capire perfettamente che tipo di persona fossero Gerald o i genitori o Ruth; ma li vediamo vivi davanti a noi, quasi a recitare la loro vita, ognuno con i suoi pregi, difetti, modo di pensare e agire in base alle situazioni.
Non ricordavo tutto dalla prima lettura, ma una cosa invece mi è rimasta nitida in mente, un pensiero che ho avuto appena voltata l'ultima pagina: una storia di quattrocento pagine su una donna ammanettata a letto poteva scriverla così bene solo King. Questo libro non è mai noioso, per quanto possa sembrare difficile crederlo.
Seguire i pensieri di Jessie da quando si rende conto che suo marito è davvero morto, che lei è completamente da sola, è come salire su una giostra che gira vorticosamente e sembra non trovare mai un punto di arrivo...finché improvvisamente lo trova.
In una situazione che sembra senza speranza, Jessie trova il coraggio di affrontare il suo dolore più segreto e proprio attraverso quel dolore, incredibilmente, troverà la giusta intuizione.
Come al solito, la domanda è sempre la stessa, tirate le somme: vale la pena leggere questo libro? Sì, lo penso sul serio. Forse il suo messaggio è un po' troppo ingenuo (in fondo a ogni dolore c'è una speranza di nuova vita), ma io penso che sia sempre efficace. Al momento giusto potrebbe persino aiutare una persona in difficoltà.
Anarchic Rain
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