Siamo arrivati a parlare dei viventi. Per la precisione di romanzieri viventi.
Ho trovato molto più semplice pensare a questo elenco piuttosto che a quello dei romanzieri morti, probabilmente perché avendo letto più libri "datati" la scelta è stata più ardua. E distinguere tra "libro" della tua vita e "scrittore" della tua vita non è semplice.
Ma comunque, veniamo subito al dunque. Stavolta, visto che proprio non so in che ordine metterli, vado con quello temporale.
Elenco secco: Stephen King, Alessandro Baricco, Haruki Murakami e Ian McEwan.
Piccola postilla: McEwan ho cominciato di recente a leggerlo, ho letto solo quattro dei suoi libri, quindi mi dispiace se sarò poco esauriente su di lui. Diciamo che è un work in progress.
Stephen King è arrivato per me all'età fatidica già menzionata di 12 anni.
Era Natale 1994. L'horror (insieme al gotico) era un genere affascinante oltre ogni dire e non so più dove avevo sentito parlare di questo scrittore americano. Così come regalo chiesi un suo libro. Ne ottenni due. Amore. Perché mi piace King? Cos'ha di tanto speciale? In realtà di questo ne ho già parlato abbondantemente nelle singole discussioni sui suoi libri, ma ok, lo ripeterò qui a beneficio dei pigri: King non sa solo raccontarti una storia. Sa portartici dentro, sa fartela vivere sulla tua pelle e, soprattutto, sa meglio di tutti come farti soffrire di più. Sa dove colpire insomma. E lo fa, puntuale come un orologio. Al di là delle storie chiaramente irreali che racconta, lui ti mostra sempre quel lembo di realtà in cui ti riconosci ed è per questo che gli orrori che descrive alla fine diventano così reali. In On writing dice: scrivete quello che sapete. E lui lo fa. Scrive quello che sa, sulla realtà e sugli incubi che nascono da essa. Ma si ricorda sempre che a volte la realtà stessa è più spaventosa di ogni fantasia.
Era Natale 1994. L'horror (insieme al gotico) era un genere affascinante oltre ogni dire e non so più dove avevo sentito parlare di questo scrittore americano. Così come regalo chiesi un suo libro. Ne ottenni due. Amore. Perché mi piace King? Cos'ha di tanto speciale? In realtà di questo ne ho già parlato abbondantemente nelle singole discussioni sui suoi libri, ma ok, lo ripeterò qui a beneficio dei pigri: King non sa solo raccontarti una storia. Sa portartici dentro, sa fartela vivere sulla tua pelle e, soprattutto, sa meglio di tutti come farti soffrire di più. Sa dove colpire insomma. E lo fa, puntuale come un orologio. Al di là delle storie chiaramente irreali che racconta, lui ti mostra sempre quel lembo di realtà in cui ti riconosci ed è per questo che gli orrori che descrive alla fine diventano così reali. In On writing dice: scrivete quello che sapete. E lui lo fa. Scrive quello che sa, sulla realtà e sugli incubi che nascono da essa. Ma si ricorda sempre che a volte la realtà stessa è più spaventosa di ogni fantasia.
Quindi: King perché sa come farti attraversare la magia per arrivare al cuore della verità.
Alessandro Baricco è uno scrittore contemporaneo chiacchieratissimo. La cosa più frequente che sento dire alla gente su di lui è che è snob. Uff. Si, mi viene da sbuffare quando sento ste cose. Mi viene da dire, si, vabbè e allora? Mica te lo devi sposare.
Di Baricco ho letto tutto (la foto è ovviamente incompleta), tranne un paio di saggi e l'ultimo testo teatrale. Mi sento di dire che lo conosco (non lui, ma almeno in parte la sua poetica) e lo adoro. Come persona non so affatto chi sia, se snob o classista o generoso o altro, ma come artista so che è lieve. Non c'è altro aggettivo per me per descriverlo ed anche questo non è farina del mio sacco, ma del suo: l'ho preso in prestito da uno dei suoi libri, Oceano mare, e da uno dei suoi personaggi, Bartleboom, che forse è proprio lui stesso.
Baricco ci dice che Bartleboom è un uomo lieve e che il mondo ha bisogno di uomini come lui per rimanere sospeso nella sua orbita e non affondare nelle profondità vuote dello spazio. Ecco, io penso esattamente la stessa cosa dello scrittore. Penso che se non ci fosse lui a raccontare di città che non esistono, a costruire locande in riva al mare o circuiti di una vita, o semplicemente di uomini e donne che vivono come sanno e come possono, questo mondo sarebbe un posto più grigio e più triste.
Quindi: Baricco perché aiuta a tener su la baracca.
Haruki Murakami è una scoperta incantevole.
Autore giapponese contemporaneo che, al contrario di Mishima, non permea i suoi romanzi di pessimismo. Nonostante non si possa certo dire che scriva commedie, lui in un certo senso fa quello che fa King: permea i suoi romanzi di magia. Ma è un tipo di magia diversa e questo è ben comprensibile considerando che King è occidentale in tutto, mentre Murakami è chiaro come il sole che sia orientale fino al midollo. Con questo non voglio assolutamente dire chi è meglio o peggio, anche perché se li ho nominati entrambi vuol dire che sono entrambi sullo stesso livello per me. Voglio solo dire che lo spirito con cui scrivono è diverso e che in King non ritroviamo, anzi, non possiamo ritrovare quella malinconia, quella nostalgia e quella sottile tristezza (ma non in senso negativo) che invece costituisce parte fondamentale della poetica di Murakami. Ora, lo so che per un occidentale è dura immaginare il termine "tristezza" senza la sua accezione negativa, ma vi prego di provarci. I giapponesi (non so gli altri orientali, ma loro di sicuro) fanno della malinconia, del ricordo, della nostalgia uno stile di vita. Per loro è così che va il mondo, le cose succedono, le cose si trovano e le cose si possono perdere. Se non avete mai letto nulla di un autore giapponese (persino nei manga è presente questa qualità) non potete capire, quindi non sforzatevi. Cercate di credermi sulla parola.
Autore giapponese contemporaneo che, al contrario di Mishima, non permea i suoi romanzi di pessimismo. Nonostante non si possa certo dire che scriva commedie, lui in un certo senso fa quello che fa King: permea i suoi romanzi di magia. Ma è un tipo di magia diversa e questo è ben comprensibile considerando che King è occidentale in tutto, mentre Murakami è chiaro come il sole che sia orientale fino al midollo. Con questo non voglio assolutamente dire chi è meglio o peggio, anche perché se li ho nominati entrambi vuol dire che sono entrambi sullo stesso livello per me. Voglio solo dire che lo spirito con cui scrivono è diverso e che in King non ritroviamo, anzi, non possiamo ritrovare quella malinconia, quella nostalgia e quella sottile tristezza (ma non in senso negativo) che invece costituisce parte fondamentale della poetica di Murakami. Ora, lo so che per un occidentale è dura immaginare il termine "tristezza" senza la sua accezione negativa, ma vi prego di provarci. I giapponesi (non so gli altri orientali, ma loro di sicuro) fanno della malinconia, del ricordo, della nostalgia uno stile di vita. Per loro è così che va il mondo, le cose succedono, le cose si trovano e le cose si possono perdere. Se non avete mai letto nulla di un autore giapponese (persino nei manga è presente questa qualità) non potete capire, quindi non sforzatevi. Cercate di credermi sulla parola.
Quando qualcuno mi chiede da dove cominciare con lui io dico sempre: da dove vuoi ma non da Norwegian wood. Non perché non sia bello. Ma è un romanzo scritto a unico beneficio dell'occidentale. Nessuno mi toglierà mai quest'idea dalla mente. Se dovete cominciare cominciate da Sotto il segno della pecora (e poi il suo seguito ideale Dance dance dance) o da La fine del mondo e il paese delle meraviglie oppure da Kafka sulla spiaggia. Se invece non vi fidate, se volete andarci piano, niente di meglio che una raccolta di racconti e se non vi piace amen.
Quindi: Murakami perché ti colpisce dritto al cuore senza farti male.
Last but not least, Ian McEwan è un autore britannico e, come tale, ha uno stile quasi brutale.
Mi piace proprio per questo. Ti butta in faccia quello che pensa, anche le cose brutte, te le mette nero su bianco e tu non puoi farci niente, sono lì, le devi leggere. Se ti fanno male, problemi tuoi. Nei suoi romanzi (quelli che ho letto sono Espiazione, L'amore fatale, Il giardino di cemento e L'inventore di sogni), lui parte da un elemento apparentemente banale che però si amplifica in modo esponenziale e poi si sgonfia come un pallone bucato: lentamente ed inesorabilmente.
Mi piace proprio per questo. Ti butta in faccia quello che pensa, anche le cose brutte, te le mette nero su bianco e tu non puoi farci niente, sono lì, le devi leggere. Se ti fanno male, problemi tuoi. Nei suoi romanzi (quelli che ho letto sono Espiazione, L'amore fatale, Il giardino di cemento e L'inventore di sogni), lui parte da un elemento apparentemente banale che però si amplifica in modo esponenziale e poi si sgonfia come un pallone bucato: lentamente ed inesorabilmente.
Quindi: McEwan perché ti lascia i graffi che vuole.
For now, that's all folks. See you sometime soon.
Anarchic Rain
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