Eccoci subito, senza quasi interruzione (a parte la mia cena, grazie), alla seconda parte della nuova chiacchierata alla scoperta dei perché di un'assidua e appassionata lettrice. Me.
Concludiamo in questa prima metà la carrellata sui defunti, quindi avrete indovinato che si parla un po' di Poesia.
Impossibile definire cos'è la poesia e come agisce dentro ognuno di noi. "M'illumino d'immenso" a me pare semplicemente un'iperbole buttata lì come per caso e alcuni c'hanno scritto libri interi sopra. Insomma, non c'è sacro e profano in senso assoluto. La poesia tocca corde segrete dentro di noi e ognuno si fa toccare da parole e stili diversi. Quindi in poesia non c'è niente di universale.
Prima di farvi il mio solito elenco, voglio parlarvi di un poeta che non rientra in quest'ultimo ma che ha scritto una poesia che mi segue fin da quando ho 12 anni. Mi segue nel senso che io ho sempre avuto un diario, un'agenda o un quaderno per scrivere i fatti salienti del giorno e dentro ognuno di questi, fin dalla seconda media, c'è una copia scritta a mano della suddetta poesia. Ovvero Questo amore, di Jacques Prevert. Perché proprio questa poesia, forse vi chiederete, oziosamente incuriositi. Perché la prima volta che l'ho letta non sono riuscita a togliermela dalla testa. Mi risuonavano tutte le parole (e chi la conosce sa che non è facile, visto che è di una lunghezza scoraggiante), tutti quei brevi versi (a volte solo una parola, a volte lunghi interminabili elenchi di verbi) per descrivere una cosa sola, un sentimento, l'amore. L'unica emozione che nessuno è mai riuscito a descrivere in maniera soddisfacente.
Dopo aver letto questa poesia, un paio d'anni dopo, in un mercatino della mia città trovai un suo libro di poesie (non esisteva internet a quel tempo e non sapevo nulla più di quello che c'era scritto sull'enciclopedia di casa, ed era molto poco) e lo comprai subito (era uno di quei volumi arancioni della Newton se non mi sbaglio, a 4.900 lire).
Lessi le altre sue poesie e rimasi malissimo. Una delusione. Dov'era tutto il lirismo, tutta la poeticità della prima insuperabile poesia? L'aveva infusa tutta in quell'unica? L'aveva finita?
Tutto questo po' po' di roba per dire che nel mio elenco ufficiale ci sono solo i poeti che non mi hanno mai fatto provare quella delusione.
Iniziamo.
Elenco nudo e crudo: Edgar Allan Poe, Arthur Rimbaud, Giacomo Leopardi e Walt Whitman.
Precisazione: metto Poe nei poeti e non nei romanzieri per due motivi: non ha mai scritto un vero e proprio romanzo e la prima cosa che ho letto di suo è stato The raven, subito seguito da The tell-tale heart (di poco, ma è venuto secondo).
Iniziamo proprio da Poe, questo triste, solo (perlopiù) e disperato ragazzo che, mentre si autodistrugge con l'alcol, riesce a creare alcune delle opere più belle mai scritte.
Chi ha letto Poe solo in italiano forse non può capire in pieno quello che dico, perché purtroppo/per fortuna uno scrittore e in particolar modo un poeta lo si capisce solo leggendolo nella lingua madre. L'inglese di Poe è ostico, non solo per me che non sono inglese/americana di nascita, ma anche per i suoi compatrioti. Ma i suoi versi originali sono cadenzati, musicali e ricchi. Ogni parola è densa di significato, ogni metafora o similitudine o sineddoche o sinestesia ha dietro tutto un mondo di significato. Solo una mente prodigiosa e piena di cultura poteva scrivere certe parole.
Oltre al linguaggio usato, fatali per me sono le atmosfere. Ho "scoperto" Poe a circa 12 anni, quando allo stesso mercatino dove ho comprato Prevert, ho preso anche un altro Newton a 4.900 lire, che comprendeva tutte le poesie di questo americano a me ancora sconosciuto, di cui avevo letto una sola strofa della sua poesia più famosa, quel "Corvo" che non se ne andrà "mai più" dal mio cuore. In quel periodo avevo appena cominciato a leggere di vampiri e avevo appena visto il film Dracula di nascosto. Insomma, ero in piena fase "gotico-adolescenziale". La nebbia, l'umidità, il buio in cui le sue poesie sono immerse fece scattare un interruttore dentro di me, facendomi scoprire le stanze nascoste che c'erano già dentro di me.
Quindi: Poe perché mi ha spinto dentro il buio e me l'ha reso confortevole.
Oh, gioia immensa. Arthur Rimbaud: sono finalmente arrivata a parlare di lui. Ero davvero impaziente. Rimbaud ha rappresentato la svolta nella mia vita di adolescente.
San Valentino 1998. Quinto ginnasio. Quindici anni e 5 mesi. Io e alcune mie amiche (tutte single, ovviamente) eravamo a casa mia a vedere un film. E quel film era Poeti dall'inferno, una pellicola biografica su un poeta diciassettenne alle prese con la vita (e con il suo primo disastroso amore). Rimbaud. A quell'epoca l'unica cosa che potevo fare era andare in libreria a cercare ogni cosa scritta da lui. Trovai Una stagione all'inferno e Le illuminazioni. Le lessi d'un fiato. Non mi bastava. Andai in biblioteca e presi l'opera omnia. Lessi anche quella. Non mi bastava. Presi saggi su di lui, libri con la corrispondenza tra lui e Demeny o Verlaine (l'amore disastroso di cui sopra) e altri. Non mi bastava ancora. Cominciai a scrivere quello che per me significavano le sue opere. Forse quello cominciava a bastarmi. Ma lasciate che vi confessi una cosa: non mi basta ancora. Ogni tanto devo assolutamente leggere per l'ennesima volta di quella "bellezza amara" o di quella "cattedrale" che sprofonda nelle sabbie mobili o la sua straordinaria lettera del veggente. Se Poe mi ha spinto nel buio, Rimbaud mi ha fatto esplodere di amore.
Quindi: Rimbaud per Credo in unam.
Giacomo Leopardi è stato il mio primo. Il primo poeta che io ricordi di aver letto in vita mia, ma anche il primo per sentito dire (da mia madre, che ne parlava spesso ai suoi alunni).
Leopardi è definito da tutti un pessimista cosmico e magari è anche vero, ma ora so, dopo più di 20 anni che ne sento parlare, che non era solo quello, che era in grado di scrivere cose come Il diario del primo amore (se non lo avete letto mai, vi prego, fatelo, perché è esilarante), cose come alcuni dialoghi delle operette morali che sono assolutamente facete, alcuni brani dello Zibaldone che sono inni di speranza. E' il poeta con il numero maggiore di poesie imparate a memoria a scuola. Con lui è cominciato il mio amore per la poesia.
Quindi: Leopardi perché ha fatto della tristezza un'arte sublime.
Walt Whitman è, in ordine temporale tra i quattro, l'ultimo che ho conosciuto.
A costo di sembrare ripetitiva, a onor del vero devo dirvelo: anche il suo primo libro mi è capitato in mano a quel mercatino di cui sopra che, sempre a onor di cronaca, era quello che c'era prima davanti al campo sportivo nella città dove sono nata e che non so se fanno ancora, ma non credo. Comunque, di lui avevo sentito parlare in uno dei film più belli di sempre (per me), ossia Dead poets society. "Oh me, oh vita" e naturalmente "Oh capitano, mio capitano!". Walt Whitman apre il suo Leaves of grass con una preghiera: che il corpo non sia asservito all'anima, che entrambi gli aspetti dell'uomo sono ugualmente importanti e nessuno dei due va mortificato, qualunque sia la ragione. Un concetto splendido, se ve ne rendete conto, visto che ai cattolici di solito viene insegnato a sacrificarsi nel corpo per innalzare lo spirito. E, ci crediate o no, io a quell'epoca ero convinta che avessero ragione. Invece qualcuno stava dicendo ora che non era così. Qualcuno spiegava con parole belle e ragionevoli che noi siamo essere umani e che siamo fatti di carne e sangue oltre che di spirito e che tutto in noi va nutrito con amore e devozione. Un concetto strabiliante.
Quindi: Whitman perché mi ha liberata.
So cosa state pensando, maligni miei: e Shakespeare?
Bè, una domanda ve la faccio io: vi pare che Shakespeare sia un romanziere? Direi di no. Vi pare che Shakespeare sia un poeta? Se rispondete di si, siete degli sciocchi superficiali.
William Shakespeare è al di sopra delle parti in causa, ragazzi, perché altrimenti non ci sarebbe storia.
Quindi ingoiate le vostre assurdità e aspettate di sentir parlare del bardo quando va a me.
Buonanotte.
Anarchic Rain
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