mercoledì 24 febbraio 2016

Le anatre di Holden sanno dove andare di Emilia Garuti

Iniziamo così: a mia discolpa, questo libro è un regalo (di compleanno, mi pare, o di Natale). A sua discolpa, chi me lo ha regalato (molto, molto carinamente) è un'adolescente molto timida.
Sapevo che avrei fatto un enorme sbaglio, ma l'ho letto lo stesso. E non ho perso nemmeno troppo tempo. Un'oretta o giù di lì posso anche sprecarla, ogni tanto.

Madrediddio. Da dove posso cominciare? Da dove si comincia di solito a descrivere il nulla che vuole travestirsi da tutto? Diciamo che tutto il libro è stato già scritto miliardi di volte da ognuno di noi. Sì, sì, tutti noi siamo stati adolescenti, tutti noi siamo stati in qualche modo "contro". E tutti noi prima o poi due righe le abbiamo scritte: sul diario, su un quaderno, su un foglio strappato. Ecco, questo "romanzo" è un collage di tutte quelle scritte.

Un concentrato di banalità autocompiaciute.

Una protagonista che più che uno stereotipo è LO stereotipo, arrabbiata coi genitori (naturalmente medio-alto borghesi), col mondo, con le amiche che amiche non sono, sempre pronte a trattarti male e tirarti tiri mancini (poverapiccolascema) e con gli adulti in genere.
Leggevo e pensavo "secondo me ha pure questo" e puntualmente ecco lì anche l'ultima banalità.

Nel retrocopertina c'è scritto (parole della saggia autrice, eh) "volevo fare come Brizzi e Salinger -con le dovute proporzioni tra tutti ovviamente-". Ovviamente. E ci mancherebbe altro.
Mica finiscono qua le citazioni: nel testo sono nominati Svevo, Montale, Leopardi (ma va'?) e Calvino (un genio, sta ragazza, così piena di novità), e ovviamente le loro opere più famose (provate a indovinare, l'avete già fatto, secondo me) e meno male che ha fatto il classico, questa bimba che a diciotto anni ha scritto il suo primo romanzo (che tenera, sarà mica la prima ad averlo fatto?).

Ok, tutto questo sproloquiare potrebbe far pensare ad un attacco personale alla bimba in questione, ma in realtà quello che mi preoccupa davvero è la Giunti che ha pubblicato sta roba. Per carità, ognuno è libero di scrivere quel porco che vuole, e anche di leggerlo o meno, ma una casa editrice dovrebbe perlomeno correggere le bozze, dargli un senso compiuto e soprattutto scriverlo in italiano corretto (e non parlo di slang e robe varie, anche se nel libro sono piuttosto ridicole e sarebbe stato meglio toglierle).
Ma d'altra parte c'è Moccia dietro l'angolo, e tutte quelle pseudoscrittrici (perché sono quasi sempre femmine) americane (anche qui, quasi sempre) che scrivono (o tentano di) romanzi rosa (ah, scusate, young adult si dice ora), da due ore di lavoro e una di lettura. E il target è quello che è. Vabbè.
In teoria non è più il tempo dei romanzi generazionali. Sono già stati scritti e non c'è nulla che valga la pena di ripetere, perché quelli che abbiamo già bastano per diverse ere. Sono colossali, universali. Classici. Inutile tentare di ripercorrere quelle strade. Non solo sono state battute, ma lo sono state meglio di come qualcun altro può sperare di fare. Perlomeno ora, con questa pseudocultura dilagante, con questo facebook e questi social che sono antisocial, in realtà.

Ma parliamo del romanzo. Ok, lasciamo da parte la protagonista bistrattata da tutti perché non sa che facoltà scegliere. Prendiamo il maschio alfa della situazione. Un universitario conosciuto dalla psicologa. Uno che se lo incontri nella vita reale non ti caga di striscio, qui ti accompagna addirittura in un tour dell'università, viene a prendersi un gelato con te e tutto il resto. Porello, con la storia strappalacrime del padre poliziotto violento in famiglia che un delinquente ha ucciso davanti ai suoi occhi (ma quando? E soprattutto perché?). Mah. La sagra della banalità. Ovviamente c'è anche la fantastica, sensazionale e originalissima citazione di Colazione da Tiffany. Perdonàtela.

E, a proposito di banalità, è giusto farvi un esempio specifico di quello di cui parlo, altrimenti magari non mi credete o pensate che voglia vendicarmi dell'autrice.
Dialogo tra lei e lui:
LEI: come fai a capire che stai facendo la scelta giusta? [...]
LUI: credo che tu lo avverta appena hai deciso. Ogni ansia di colpo sparisce e sei contenta di aver scelto. Se non fosse quella giusta, non sentiresti che puoi rilassarti.

Gesugiuseppeemmaria.
No, ma io capisco, eh. Capisco che non tutti possono essere nati col talento narrativo e soprattutto che non tutti possano aver avuto l'occasione di farlo sviluppare. Ma allora, cosa li pubblicano a fare ste robe? Per dare il contentino agli adolescenti confusi di oggi? Per dire loro: tranquilli, la cosa giusta ve la sentirete in pancia quando succederà? Ma che razza di mentalità è questa?
Come ho già detto in un'altra chiacchierata simile, stiamo davvero andando a 1984.
Che è un modo elegante per dire che ci stanno friggendo il cervello.
Che è un modo come un altro per dire che ci stanno fottendo da ambo i lati.

Anarchic Rain

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