Non me l'aspettavo. Un romanzo in forma drammatica, viene definito.
E' infatti un dialogo teatrale tra due personaggi che stanno nella cucina di uno dei due. Non hanno nome. Semplicemente Bianco (perché è di pelle chiara) e Nero (perché intuibile). Il Nero ha appena salvato il Bianco dal buttarsi sotto un treno in corsa. Ma si può davvero parlare di salvezza? E che diritto ha uno di salvare qualcun altro, se non gli viene chiesto? Cosa ne sa della sua vita, del suo spirito, dei suoi guai? Di quello che lo ha portato a quel gesto estremo? Niente. Ma il Nero non finge di saperlo. Non finge nulla in realtà. L'ha fatto solo perché in quel momento era in suo potere farlo e perché la sua indole gli ha detto di farlo, senza pensare. Anzi, la sua fede, più che la sua indole.
Ma che diritto ha uno di imporre la propria fede a un altro? Nessuno, è ovvio.
Ma il Nero non cerca nemmeno di far questo. Lui semplicemente vuole fare tutto il possibile per cercare di capire il Bianco, magari per aiutarlo a non vedere tutto perduto, tutto irrisolvibile. Tutto morto.
E alla fine gli resta solo quella domanda. Quel "Va bene?", sussurrato o gridato a un dio che forse c'è o forse no, questione di punti di vista. Questione di coraggio, a volte. Di quali svolte uno ha fatto nella vita.
Alla fine del breve dialogo non è che abbiamo le idee più chiare, anzi, forse proprio il contrario, ma assistere alla partita di tennis tra gli animi dei due protagonisti è affascinante e a volte divertente. Profondamente disperato, a tratti. In fondo loro due non sono che le facce delle nostre, di anime, sempre in lotta con la dicotomia credere/non credere, vita/morte, felicità/disperazione. Sono in bilico, a volte si pende più da una parte, a volte più dall'altra. I due personaggi invece sono tutto o l'una o l'altra, non hanno vie di mezzo. Forse tentano a un certo punto di comprendersi, ma ci riescono mai fino in fondo? Io non credo. Non possono comprendersi del tutto, hanno essenze diverse, se si comprendessero davvero sarebbe come ammettere di avere quella dualità che per gli altri è normale.
Fanno un tentativo, certo, ma non è abbastanza. Ognuno rimane fermo sulle proprie decisioni, anzi, a volerla vedere in maniera pessimistica, forse il Nero alla fine è quello che vacilla, proprio a causa di quella domanda disperata, ripetuta, che alla fine non ottiene (e non può ottenere) risposta.
Il romanzo è ricco di spunti di riflessione, ricco di idee da segnarsi su un taccuino, come fa il Nero a più riprese. Il Bianco sembra vincere con frasi intelligenti e secche, il Nero con ingenuità e ironia.
Forse non ha importanza alla fine chi vince realmente, forse è importante che si siano incontrati e che per un certo (breve) periodo si siano divertiti a starsi a sentire. Sì, penso che si siano divertititi, penso che ad ognuno serva tirare fuori le proprie idee, metterle in ordine una parola dietro l'altra. Potremmo persino capirle di più. Capire di più noi stessi ed essere d'accordo oppure cambiare idea.
L'ultimo monologo del Bianco è bellissimo. Ed è anche distruttivo. Non pessimista, no. E' un altro genere. Distrugge qualsiasi cosa esista. Compreso l'uomo, che altro non è che "una cosa che penzola con le sue espressioni insensate in mezzo a un vuoto ululante". Terrore. Vuoto.
La morte è la fine di tutto o la speranza di una vita migliore in paradiso?
Secondo il Nero non c'è dubbio. Ma nemmeno secondo il Bianco.
Noi siamo esattamente in mezzo.
In cosa scegliamo di credere? E siamo sicuri che, una volta scelta, è proprio quella la parte in cui vogliamo stare?
Anarchic Rain
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