AUTORE: Stephen King
EDIZIONE: Hodder
PAGINE: 1376
VERSIONE LETTA: kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 10
Avevo quindici anni la prima volta che l'ho letto e ora, a distanza di (ehm) anni, è stato meraviglioso riscoprirlo e rigustarmelo, finalmente in lingua originale. Lo so che ho già fatto un'altra chiacchierata su questo libro, ma tutto quello che c'è da dire potrebbe riempire i tomi della Treccani, figuratevi cosa sono due misere parole su un blog...
Ho aperto il libro (un'edizione della Hodder che ho preso a Londra, con una copertina molto suggestiva) e di nuovo è successa la magia: mi è bastata la prima frase per essere catapultata a Derry, Maine. Non c'è niente di meglio che un ottimo inizio per invogliarti a leggere un libro. Se poi seguono mille+ pagine, una più meravigliosa dell'altra, si può gridare al capolavoro. E questo libro lo è. Non voglio fare la fan sfegatata (la Numero Uno non sono certo io!), ho letto quasi tutti i suoi 67 libri e non mi sono piaciuti tutti (la maggior parte sì, però), ma questo libro è a se stante.
Forse sarà una chiacchierata atipica rispetto alle altre, ma magari qualcuno arriverà persino all'ultima parola.
The terror, which would not end for another twenty-eight years -if it ever did end- began, so far as I know or can tell, with a boat made from a sheet of newspaper floating down a gutter swollen with rain.
Una frase e capisci tutto del libro: sai che sarà una storia di terrore (anche se poi si rivelerà Altro), sai che durerà molti anni, che forse finirà o forse no (quindi se non ami i finali aperti magari lasci perdere ora, altrimenti dopo bestemmi tutte le pagine che hai letto) e che si parla di infanzia (cosa ci farebbe infatti un adulto con una barchetta di carta che galleggia (!) in un canale di scolo gonfio di pioggia?).
Personalmente, a me i ragazzini nelle storie di terrore fanno paura più del mostro stesso (non riesco a sentire le filastrocche, per esempio, e ovviamente in quasi tutti i libri/film horror ci sono filastrocche, maledette!), quindi le premesse per un libro terrificante c'erano.
Poi non so, lo zio ha un modo di scrivere che mi cattura da subito, anche quando i suoi libri non sono meravigliosi, c'è sempre qualcosa nella scrittura che mi spinge a leggerlo (tranne Il talismano, ma quello è scritto a quattro mani e io sono convinta che la noia sia tutta uscita da quelle di Straub!!) e che mi piace, nonostante magari la storia.
Certo, la suddetta frase è stata resa ancor più famosa e, soprattutto, "scenica" dalla miniserie tv degli anni '90: chi non ha mai visto, anche di sfuggita, il bimbetto con l'impermeabile giallo che rincorre la suddetta barchetta sotto il diluvio universale? Ah, l'America, che Paese dei Balocchi! Mia madre mi avrebbe scuoiato se mi avesse vista fare una cosa del genere, già me la sento "Dove vai con quella pioggia!! Fa freddo!! Poi ti ammali!!!". Ah, l'Infanzia, che storia tragicomica.
Una delle trovate che mi piace molto del libro è il continuo "avanti e indietro" nel ritmo narrativo. Un momento sei a Derry nel 1958, quello dopo sempre lì nel 1985 (ma '58 e '85 come '48 e '84?). Ma non è mai confusionario, riesci sempre a capire in quale salto temporale ti trovi e non senti il disorientamento a cui una brutta scrittura potrebbe portarti.
I temi del libro.
Lo zio ha pensato bene di scrivere un compendio all'infanzia, o meglio all'infanzia che diventa adulta e millemila cose si potrebbero dire su ogni frase, ma ho fatto una specie di selezione di quelle che mi hanno colpita di più e prenderò spunto da queste.
He look around at her. She thought the look on his face was one of gentle abstraction, perhaps mixed with minor annoyance. It was only later, replaying the scene in her mind again and again, that she began to believe it was the expression of a man who was methodically unplugging himself from reality, one cord at the time. The face of a man who was heading out of the blu and into the black.
Siamo in casa Uris e Stan ha appena ricevuto la telefonata di Mike che lo avverte che It è tornato e quindi deve tornare anche lui, perché così ha promesso.
Quando Stan si uccide perché non riesce a razionalizzare quello che ha finalmente ricordato (la sua infanzia), mi ha ricordato una cosa che ho sentito fin da quando sono piccola: se fosse un adulto a dover mettere la prima dentizione, impazzirebbe dal dolore. I bambini (perfino i neonati), nonostante così piccoli e apparentemente indifesi, sono in realtà più forti di noi adulti, hanno più capacità di sopportare il dolore di noi. Perché? Da un punto di vista anatomico è presto detto: hanno meno connessioni neurali che veicolano gli impulsi dolorosi. Da un altro punto di vista però, è King stesso che ci spiega perché: i bambini sono gli unici che credono ancora nella magia, nella possibilità non che il drago esista o meno, ma che si possa sconfiggere con le proprie forze. O magari con l'aiuto di un amico o due. Successivamente King dice "kids were also better at incorporating the inexplicable into their lives" e credo che questo spieghi tutto quello che ho detto prima.
Stan sembra non ricordare la forza che ha avuto quando era undicenne. Oppure It non gliel'ha permesso (questo è più il mio pensiero onestamente).
Kids don't make serious promises when they're eleven, for Christ's sake!
Sbagliato. Quello che l'agente di Richie gli sta dicendo per convincerlo a non andarsene a Derry, è completamente sbagliato. I ragazzini sono i soli a comprendere il potere che c'è dietro una promessa fatta agli amici. Non c'entra il dovere e nemmeno l'onore per come lo vediamo noi adulti. C'entra quello che si è davvero, nel profondo, superata la barriera del corpo fisico. E fortunatamente Richie se lo ricorda ancora. E parte.
Sometimes home is where the heart is, Eddie thought [...] Unfortunately, it's also the place where, once you're in there, they don't ever want to let you out. [...] Home is the place where when you go there, you have to finally face the thing in the dark.
Ed Eddie questo lo sa perfettamente. Poco importa che siano mostri millenari o la propria madre. Un ragazzino, se vuole davvero crescere, deve lottare con tutte le sue forze contro tutto ciò che rappresenta il nido d'infanzia. Non si può crescere altrimenti. Non si possono dimenticare le proprie radici, ma si deve essere in grado di spingere i rami al cielo.
A child blind from birth doesn't even know he's blind until someone tells him. Even then he has only the most academic idea of what blindness is; only the formerly sighted have a real grip on the thing. Ben Hanscom had no sense of being lonely because he had never been anything but.
Ben incarna il prototipo del perdente (almeno superficialmente). E' grasso, è un topo di biblioteca e non ha amici. Il bersaglio perfetto per i bulli come Henry Bowers e compagnia. Invece lo zio ci dice di fare attenzione: Ben è molto più di quello che sembra, così come tutti i bambini/ragazzi che subiscono il bullismo (ma quanto è attuale questo libro?) avranno di certo doti che aspettano solo di venir fuori. Ben si è ripreso la sua vita, la prima volta quando ha incontrato i Perdenti, la seconda quando ha affrontato il suo insegnante di educazione fisica al liceo. In realtà la battaglia non finisce mai e l'avversario a volte è, come dice Ben, molto più vicino di un bullo qualsiasi. Può essere persino un genitore. Da Ben abbiamo imparato tantissime cose (una per tutte: Choosing books is serious business. You had to be careful) e abbiamo imparato quanto sia bello esprimere il proprio amore a qualcuno (Your hair is winter fire - January embers - My heart burns there too). Ben è il più coraggioso dei sette. Dobbiamo imparare da lui.
Guys like Henry and his buddies were an accident waiting to happen; the little kids' version of floods or tornadoes or gallstones.
Lo zio ci mette in guardia: non tutti i bambini sono buoni, o meglio innocenti, come tutti vogliono farci credere. Vero che Henry e altri possono avere delle attenuanti (genitori, cattive compagnie, qualcuno anche un fratello maggiore delinquente e così via), ma bisogna lo stesso tracciare una linea tra quelli che sono recuperabili e quelli che non lo sono. Perché purtroppo questi ultimi esistono. E bisogna starci attenti, guardarsi le spalle, perché se iniziano a prenderti di mira possono farne una ragione di vita. O di morte.
A silence fell amid the three of them. It was not an entirely uncomfortable silence. In it they became friends.
Questa per me è una delle frasi più belle del libro. Ci sono cose di cui è inutile parlare, che è inutile puntualizzare. Si sa che sono così e basta. Essere amico non significa di più solo perché lo dici ad alta voce. Per essere o diventare amici, basta anche star bene in silenzio gli uni con gli altri. E questa è una regola che vale per qualsiasi tipo di rapporto.
We lie best when we lie to ourselves.
Davvero c'è bisogno di commentare questa enorme, spaventosa verità?
Who knows how long a grief may last? Isn't it possible that, even thirty or forthy years after the death of a child or a brother or a sister, one may half-waken, thinking of that person with that same lost emptyness, that feeling of places which may never be filled...perhaps not even in death?
Lo zio e la morte. Quante volte ha affrontato nei suoi romanzi questo argomento? In ogni suo libro si fa riferimento a qualcuno che non c'è più, a un lutto e a come il protagonista (di solito) si pone nei suoi confronti. Ma chi dice che deve esserci un giusto o sbagliato quando si tratta del sentimento del lutto? Ognuno ha il diritto di reagire come crede opportuno, l'importante (penso io) è andare avanti con la propria vita. Nessun deceduto per quanto caro deve interferire con la vita dei vivi. E non significa dimenticare o essere insensibili o non aver amato, significa solo non farne una malattia.
E ci porta subito dentro l'altra citazione, una grande verità, ma una verità che non è per tutti:
His dying scared me and enraged me, but it embarassed me, too; it seemed to me then and it seems to me now that when a man or woman goes it should be a quick thing. The cancer was doing more than killing him. It was degrading him, demeaning him.
Questo è Mike che parla della morte del padre. Sono assolutamente d'accordo con lui. Nella morte ci vuole dignità, come nella nascita. E' vero che forse parlo più da medico che da profana, ma se penso a come voglio morire io stessa, posso solo augurarmi una morte rapidissima. E se mai dovessi scoprire che non mi è andata così bene, cercherò di andare in posti che mi aiuteranno ad esaudire il mio desiderio. Lo ripeto, deve esserci dignità nella morte.
I happen to think, this is just my personal opinion, that the only lower form of life than a man who would beat up a woman is a rat with syphilis.
Ecco, vagli a dire che non è vero. E oggi più che mai quanto è attuale questo pensiero?
A forza di pensare a quanto è attuale IT, mi sono ricordata che un altro dei miei scrittori preferiti, Italo Calvino, ha detto che un classico è un libro che non smette mai di dirci qualcosa. Traslato, un libro che è sempre attuale. IT è nato nel 1985, ma oggi, a trentadue anni di distanza è più vero che mai.
There was something in their gratitude which made him want to hate them. Would he never be able to express his own terror, lest the fragile welds that made them into one thing should let go?
La solitudine dell'eroe. Big Bill è considerato fin dall'inizio il leader dai Perdenti, ma ogni ruolo ha il suo bagaglio morto. E Bill in fondo è un ragazzino della loro stessa età, con i loro stessi problemi, che si ritrova a essere capo senza saper bene cosa significa. Chi mai potrà spiegarglielo? Nessuno, la risposta la conosce. Deve trovare la forza in sé. E non è forse questo che fanno gli eroi?
We're on the border. But what's on the other side? Where are we going? Where?
La disperazione di non sapere chi siamo e dove stiamo andando, cosa troveremo girato l'angolo, è soffocante, ma immagino che sia molto diffusa. La paura dell'ignoto, la più atavica paura dell'uomo.
There aren't any such things as good friends or bad friends - maybe there are just friends, people who stand by you when you're hurt and who help you feel not so lonely. Maybe they're always worth being scared for, and hoping for, and living for. Maybe worth dying for, too, if that's what has to be. No good friends. No bad friends. Only people you want, need to be with; people who build their houses in your heart.
IT è proprio questo, alla fine. Un inno all'amicizia. E chi non ha pianto a dirotto leggendo le ultime cinquanta pagine, non solo è un cuore di pietra, ma non merita nemmeno questo libro.
Ecco, è uscita la nazista che è in me!
Not all boats which sail away into darkness never find the sun again.
Speranza. Non c'è altro al mondo, alla fine. Mai perderla, mai smettere di cercarne un pezzetto in qualsiasi momento.
I Protagonisti.
Dio, come faccio a parlare dei Perdenti? Sono stati i miei migliori amici per molto tempo e, se mi guardo bene dentro, sono ancora là, dove le cose più preziose sono rinchiuse.
In ordine sparso:
-Stan Uris (Stan the Man): povero Stan. Non ho mai capito perché King ha voluto farlo fuori subito, così, come fosse un monito a noi fedeli lettori. Era uno di loro e meritava almeno di tornare a Derry e cercare di affrontare le sue paure. Poi non è detto che ci sarebbe riuscito, ma nel tentativo sta la vittoria ogni tanto.
-Eddie Kaspbrak (Eds): ma quanto è tenero Eddie da piccolo? Un agnellino, un gattino fradicio di pioggia, un cucciolo smarrito. Certo con una madre-padrona così...ci lamentiamo tanto (e a ragione, eh) del padre di Bev, ma caxxo, la madre di Eddie gli avrebbe dato del filo da torcere. Questi due sono gli estremi che nessun genitore dovrebbe mai raggiungere: troppo affetto o troppo poco affetto sono in realtà la stessa cosa, e soprattutto nascono dallo stesso egoismo. Infatti, insieme a Tom Rogan, sono i personaggi che più odio del libro.
-Richie Tozier (Trashmouth): non fatemi parlare di Richie, l'ho adorato fin dalla prima volta! E' divertente, simpatico, anche serio quando serve, ma soprattutto io adoro i personaggi che sanno sdrammatizzare e lui lo fa divinamente! In un certo senso è il più fragile di tutti, persino di Stan o Eddie, ma non si direbbe mai a vederlo dall'esterno. Si traveste da Trashmouth (Boccaccia) e riesce ad affrontare (quasi) tutto. E da lui ho imparato una grande verità: per far ridere, devi conoscere bene l'animo umano. Lui è un grande osservatore e lo dimostra per tutto il romanzo, cogliendo quello che gli altri non colgono subito, per primo e meglio.
-Ben Hanscom (Haystack): dolce orsacchiotto da adolescente, fusto da grande. Una grande trasformazione, soprattutto nel carattere, che è la cosa che conta, poi. Ben è il Perdente a cui mi sento più vicina, così timido (sì, ero timida da piccola, ai limiti dell'asociale...ora lo sono -asociale- per altri motivi XD), con i suoi libri sotto braccio e il suo amore per gli haiku. Coraggioso, sempre, ma con tanto tanto cuore.
-Bill Denbrough (Stuttering Bill ma anche Big Bill): il capo indiscusso del gruppo. A un certo punto Richie si chiede come mai è stato tacitamente eletto proprio Bill e decide che è per via del suo carattere, della sua intelligenza (anche del suo bell'aspetto, certamente, un eroe non può essere brutto!) e di quel certo non-so-che che gli sfugge (carisma, ci suggerisce King stesso) che emana da lui come una luce. Ben è il cuore del gruppo, ma Bill ne è indiscutibilmente il cervello.
-Beverly Marsh (Bev): l'unica ragazzina (poi donna) dei Perdenti, una che, nonostante la sua intima fragilità, alla fine ha l'animo d'acciaio. Beverly è un esempio, per me lo è stata, un po' come Jo March (un'altra eroina, col cognome molto simile e con i capelli ramati anziché rossi), una che ti può indicare la strada da seguire. Si perde, per un attimo, da adulta, quando non ricorda più chi è in realtà. Poi riesce a ritrovarsi, nel momento più importante, per fortuna.
-Michael Hanlon (Mike): lo studioso, il diligente del gruppo. Mike, il guardiano, colui che, a causa delle vicissitudini della sua famiglia, rimane a Derry e diventa l'osservatore. Perché dentro di sé sa bene, come anche lo sapevano tutti gli altri la prima volta, che It non è morto, si è solo ritirato a leccarsi le ferite. Ma tornerà, forse più feroce di prima, e vorrà stanarli uno a uno e rendergli pan per focaccia moltiplicato per un milione. Mike rimane in attesa, vigila e, quando capisce che tutto è ricominciato, telefona.
Le descrizioni.
Lo zio ci regala descrizioni meravigliose, non solo dei luoghi o dei mostri, tanto che sembra di respirare l'aria di Derry o di trovarti faccia a faccia con il licantropo di Neibolt Street; sono soprattutto le descrizioni degli stati d'animo, non solo dei Perdenti, che ti fanno entrare nel libro. Ogni personaggio grazie alla sua penna diventa persona.
C'è un passaggio da brivido che vede Henry Bowers come protagonista, che mi ha massacrato moralmente e mi ha fatto sorgere una domanda: King, per descrivere così bene il pensiero di un altro, si è mai trovato nei suoi panni o è semplicemente un fine conoscitore della psicologia umana? Credo che non potrò mai dare una risposta a questa domanda, ma se lo incontro glielo chiedo, eh!
I luoghi.
Il modo in cui Derry sembra un sistema chiuso, in cui nessuno può entrare, un sistema che si chiude ancora di più quasi come se diventasse invisibile durante gli attacchi di It, è spaventoso. Ma in King ci sono molti esempi di questa "chiusura", altri paesi che sembra siano tagliati fuori da tutto quando sta per succedere qualcosa che coinvolge la comunità intera, qualcosa di fondamentale, quasi "storico". Ovviamente mi riferisco a libri come La tempesta del secolo o Salem's lot o Desperation (perché no) e racconti come La nebbia. Lo zio sembra dare il meglio di sé quando racconta di e fa parlare persone che si muovono e vivono in un ambiente ristretto. Come se li capisse a fondo. Di conseguenza la loro descrizione più che accurata è totalmente realistica e noi riusciamo a percepirli come persone in 3D.
A parte Derry, King crea un'intera cosmologia con questo libro (che in parte si fonde, ovviamente, con La Torre Nera): the Other, creatore della Tartaruga e di It, che fanno parte di un Macroverso appena accennato, di cui Bill e Richie sperimenteranno solo di striscio gli orrori e l'immensità. In questo Macroverso It, che si crede immortale, pretende di fare il bello e il cattivo tempo, non capendo invece che if the wheels of the universe are in true, then good always compensates for evil - but good can be awful as well. Persino la Tartaruga muore (di una morte piuttosto stupida poi), It avrebbe dovuto capire che poteva succedere anche a lui. Quando inizia a farsi due domande, è troppo tardi.
I riferimenti.
IT è pieno di riferimenti ad altre opere dello zio. A partire ovviamente da quel capolavoro che è la Torre. A parte la Tartaruga, a un certo punto dice che esistono mondi in cui le rose cantano. Ora, io sono una sentimentale con le lacrime in tasca, e questo posso anche accettarlo, ma come si fa a non farsi venire le lacrime agli occhi su questa frase? Come?? E infatti non è stato possibile. Inoltre in un altro punto dice che Eddie somiglia a un folle pistolero malnutrito con una strana pistola (era l'aspiratore) e anche qui, strizzatina d'occhio e lacrimuccia.
Avevo scordato il riferimento a Becka Paulson, che sarà protagonista di un episodio del libro The Tommyknockers, ambientato a Haven, un paese vicino Derry (nell'immaginario Maine di King).
Un pensiero a parte vorrei spenderlo sulla scena più complessa e chiacchierata del libro.
L'unione dei Perdenti attraverso Beverly.
Sui forum americani non si può nemmeno iniziare a parlarne che subito scatta il flame: non tollerano proprio quello che succede tra i ragazzi.
Io ho letto la scena per la prima volta quando avevo quattordici anni e devo dire che non ne sono rimasta traumatizzata, anzi, l'ho davvero presa per quel che era, per quel che lo stesso King ce la descrive: They were falling away from each other. Siamo nelle fogne, i Perdenti hanno sconfitto It, forse per sempre o forse no, ma questo non è più un loro problema. Al momento ne hanno uno maggiore. Devono tornare in superficie. Eddie, che è un po' la bussola del gruppo, si perde e non sa più cosa fare. Sono tutti in confusione (quale adolescente non lo è sulla via per la crescita?) e stanno per cedere al panico. Forse questo addirittura è l'ultimo regalino di It, quella stronxa. Comunque sia devono darsi una mossa o moriranno di morte lenta e atroce. Beverly, dolce, piccola, innocente Beverly, suggerisce una soluzione. Devono ritrovarsi, ritrovare il loro legame perduto, e lei ha la risposta: attraverso di lei, attraverso il legame più primitivo dell'uomo, possono fondersi di nuovo, tornare a essere uno da molti. Non lo dice King, ma la parola ka-tet è scritta a lettere incandescenti su tutta la scena. A turno, quindi, fanno l'amore con lei. E a questo punto lo zio ci regala due delle più stupende immagini letterarie: this essential human link between the world and the infinite, the only place where the bloodstream touches eternity, così Beverly sente l'atto che stanno facendo; here there was love, desire, and the dark. If they didn't try for the first two they would surely be left with the last. Quest'ultima è un po' difficile da capire, ma penso che voglia dire che se al mondo non rimangono altro che amore, desiderio e oscurità, bisogna assolutamente cercare di trovare le prime due, altrimenti quello che rimane è l'oscurità (dell'anima) e non sarebbe compatibile con la vita.
In definitiva ho amato questa scena al pari di tutto il libro, non l'ho trovata né stonata né orgiastica né immorale. E' una scena di una delicatezza disarmante, commovente.
Quando ho letto IT da adolescente, non conoscevo un altro libro di un altro scrittore, molto caro a King. Il popolo dell'autunno di Ray Bradbury. Ora lo conosco e ho capito a chi deve il suo capolavoro lo zio. Questo libro è ispirato all'altro, ne è l'ampliamento e il completamento, si spinge oltre e crea universi che l'altro può solo sognarsi. Ma non dimenticherò mai dove sono le sue radici. Come ho scritto nell'altra chiacchierata, ho finalmente capito la frase di King (Si può uccidere il male seppellendolo di risate) solo dopo aver letto Bradbury. E ogni volta che in IT un perdente ride, una luce si accende dentro di me (e si spegne per It).
Scusate se ho ciarlato così a lungo. Considerate che non ho nemmeno detto tutto, ma come potrei? IT è davvero troppo. Impossibile esaurire i suoi tesori. Quindi mi fermo qui.
Be brave. Be true. Stand. All the rest is darkness.
Anarchic Rain
In ordine sparso:
-Stan Uris (Stan the Man): povero Stan. Non ho mai capito perché King ha voluto farlo fuori subito, così, come fosse un monito a noi fedeli lettori. Era uno di loro e meritava almeno di tornare a Derry e cercare di affrontare le sue paure. Poi non è detto che ci sarebbe riuscito, ma nel tentativo sta la vittoria ogni tanto.
-Eddie Kaspbrak (Eds): ma quanto è tenero Eddie da piccolo? Un agnellino, un gattino fradicio di pioggia, un cucciolo smarrito. Certo con una madre-padrona così...ci lamentiamo tanto (e a ragione, eh) del padre di Bev, ma caxxo, la madre di Eddie gli avrebbe dato del filo da torcere. Questi due sono gli estremi che nessun genitore dovrebbe mai raggiungere: troppo affetto o troppo poco affetto sono in realtà la stessa cosa, e soprattutto nascono dallo stesso egoismo. Infatti, insieme a Tom Rogan, sono i personaggi che più odio del libro.
-Richie Tozier (Trashmouth): non fatemi parlare di Richie, l'ho adorato fin dalla prima volta! E' divertente, simpatico, anche serio quando serve, ma soprattutto io adoro i personaggi che sanno sdrammatizzare e lui lo fa divinamente! In un certo senso è il più fragile di tutti, persino di Stan o Eddie, ma non si direbbe mai a vederlo dall'esterno. Si traveste da Trashmouth (Boccaccia) e riesce ad affrontare (quasi) tutto. E da lui ho imparato una grande verità: per far ridere, devi conoscere bene l'animo umano. Lui è un grande osservatore e lo dimostra per tutto il romanzo, cogliendo quello che gli altri non colgono subito, per primo e meglio.
-Ben Hanscom (Haystack): dolce orsacchiotto da adolescente, fusto da grande. Una grande trasformazione, soprattutto nel carattere, che è la cosa che conta, poi. Ben è il Perdente a cui mi sento più vicina, così timido (sì, ero timida da piccola, ai limiti dell'asociale...ora lo sono -asociale- per altri motivi XD), con i suoi libri sotto braccio e il suo amore per gli haiku. Coraggioso, sempre, ma con tanto tanto cuore.
-Bill Denbrough (Stuttering Bill ma anche Big Bill): il capo indiscusso del gruppo. A un certo punto Richie si chiede come mai è stato tacitamente eletto proprio Bill e decide che è per via del suo carattere, della sua intelligenza (anche del suo bell'aspetto, certamente, un eroe non può essere brutto!) e di quel certo non-so-che che gli sfugge (carisma, ci suggerisce King stesso) che emana da lui come una luce. Ben è il cuore del gruppo, ma Bill ne è indiscutibilmente il cervello.
-Beverly Marsh (Bev): l'unica ragazzina (poi donna) dei Perdenti, una che, nonostante la sua intima fragilità, alla fine ha l'animo d'acciaio. Beverly è un esempio, per me lo è stata, un po' come Jo March (un'altra eroina, col cognome molto simile e con i capelli ramati anziché rossi), una che ti può indicare la strada da seguire. Si perde, per un attimo, da adulta, quando non ricorda più chi è in realtà. Poi riesce a ritrovarsi, nel momento più importante, per fortuna.
-Michael Hanlon (Mike): lo studioso, il diligente del gruppo. Mike, il guardiano, colui che, a causa delle vicissitudini della sua famiglia, rimane a Derry e diventa l'osservatore. Perché dentro di sé sa bene, come anche lo sapevano tutti gli altri la prima volta, che It non è morto, si è solo ritirato a leccarsi le ferite. Ma tornerà, forse più feroce di prima, e vorrà stanarli uno a uno e rendergli pan per focaccia moltiplicato per un milione. Mike rimane in attesa, vigila e, quando capisce che tutto è ricominciato, telefona.
Le descrizioni.
Lo zio ci regala descrizioni meravigliose, non solo dei luoghi o dei mostri, tanto che sembra di respirare l'aria di Derry o di trovarti faccia a faccia con il licantropo di Neibolt Street; sono soprattutto le descrizioni degli stati d'animo, non solo dei Perdenti, che ti fanno entrare nel libro. Ogni personaggio grazie alla sua penna diventa persona.
C'è un passaggio da brivido che vede Henry Bowers come protagonista, che mi ha massacrato moralmente e mi ha fatto sorgere una domanda: King, per descrivere così bene il pensiero di un altro, si è mai trovato nei suoi panni o è semplicemente un fine conoscitore della psicologia umana? Credo che non potrò mai dare una risposta a questa domanda, ma se lo incontro glielo chiedo, eh!
I luoghi.
Il modo in cui Derry sembra un sistema chiuso, in cui nessuno può entrare, un sistema che si chiude ancora di più quasi come se diventasse invisibile durante gli attacchi di It, è spaventoso. Ma in King ci sono molti esempi di questa "chiusura", altri paesi che sembra siano tagliati fuori da tutto quando sta per succedere qualcosa che coinvolge la comunità intera, qualcosa di fondamentale, quasi "storico". Ovviamente mi riferisco a libri come La tempesta del secolo o Salem's lot o Desperation (perché no) e racconti come La nebbia. Lo zio sembra dare il meglio di sé quando racconta di e fa parlare persone che si muovono e vivono in un ambiente ristretto. Come se li capisse a fondo. Di conseguenza la loro descrizione più che accurata è totalmente realistica e noi riusciamo a percepirli come persone in 3D.
A parte Derry, King crea un'intera cosmologia con questo libro (che in parte si fonde, ovviamente, con La Torre Nera): the Other, creatore della Tartaruga e di It, che fanno parte di un Macroverso appena accennato, di cui Bill e Richie sperimenteranno solo di striscio gli orrori e l'immensità. In questo Macroverso It, che si crede immortale, pretende di fare il bello e il cattivo tempo, non capendo invece che if the wheels of the universe are in true, then good always compensates for evil - but good can be awful as well. Persino la Tartaruga muore (di una morte piuttosto stupida poi), It avrebbe dovuto capire che poteva succedere anche a lui. Quando inizia a farsi due domande, è troppo tardi.
I riferimenti.
IT è pieno di riferimenti ad altre opere dello zio. A partire ovviamente da quel capolavoro che è la Torre. A parte la Tartaruga, a un certo punto dice che esistono mondi in cui le rose cantano. Ora, io sono una sentimentale con le lacrime in tasca, e questo posso anche accettarlo, ma come si fa a non farsi venire le lacrime agli occhi su questa frase? Come?? E infatti non è stato possibile. Inoltre in un altro punto dice che Eddie somiglia a un folle pistolero malnutrito con una strana pistola (era l'aspiratore) e anche qui, strizzatina d'occhio e lacrimuccia.
Avevo scordato il riferimento a Becka Paulson, che sarà protagonista di un episodio del libro The Tommyknockers, ambientato a Haven, un paese vicino Derry (nell'immaginario Maine di King).
Un pensiero a parte vorrei spenderlo sulla scena più complessa e chiacchierata del libro.
L'unione dei Perdenti attraverso Beverly.
Sui forum americani non si può nemmeno iniziare a parlarne che subito scatta il flame: non tollerano proprio quello che succede tra i ragazzi.
Io ho letto la scena per la prima volta quando avevo quattordici anni e devo dire che non ne sono rimasta traumatizzata, anzi, l'ho davvero presa per quel che era, per quel che lo stesso King ce la descrive: They were falling away from each other. Siamo nelle fogne, i Perdenti hanno sconfitto It, forse per sempre o forse no, ma questo non è più un loro problema. Al momento ne hanno uno maggiore. Devono tornare in superficie. Eddie, che è un po' la bussola del gruppo, si perde e non sa più cosa fare. Sono tutti in confusione (quale adolescente non lo è sulla via per la crescita?) e stanno per cedere al panico. Forse questo addirittura è l'ultimo regalino di It, quella stronxa. Comunque sia devono darsi una mossa o moriranno di morte lenta e atroce. Beverly, dolce, piccola, innocente Beverly, suggerisce una soluzione. Devono ritrovarsi, ritrovare il loro legame perduto, e lei ha la risposta: attraverso di lei, attraverso il legame più primitivo dell'uomo, possono fondersi di nuovo, tornare a essere uno da molti. Non lo dice King, ma la parola ka-tet è scritta a lettere incandescenti su tutta la scena. A turno, quindi, fanno l'amore con lei. E a questo punto lo zio ci regala due delle più stupende immagini letterarie: this essential human link between the world and the infinite, the only place where the bloodstream touches eternity, così Beverly sente l'atto che stanno facendo; here there was love, desire, and the dark. If they didn't try for the first two they would surely be left with the last. Quest'ultima è un po' difficile da capire, ma penso che voglia dire che se al mondo non rimangono altro che amore, desiderio e oscurità, bisogna assolutamente cercare di trovare le prime due, altrimenti quello che rimane è l'oscurità (dell'anima) e non sarebbe compatibile con la vita.
In definitiva ho amato questa scena al pari di tutto il libro, non l'ho trovata né stonata né orgiastica né immorale. E' una scena di una delicatezza disarmante, commovente.
Quando ho letto IT da adolescente, non conoscevo un altro libro di un altro scrittore, molto caro a King. Il popolo dell'autunno di Ray Bradbury. Ora lo conosco e ho capito a chi deve il suo capolavoro lo zio. Questo libro è ispirato all'altro, ne è l'ampliamento e il completamento, si spinge oltre e crea universi che l'altro può solo sognarsi. Ma non dimenticherò mai dove sono le sue radici. Come ho scritto nell'altra chiacchierata, ho finalmente capito la frase di King (Si può uccidere il male seppellendolo di risate) solo dopo aver letto Bradbury. E ogni volta che in IT un perdente ride, una luce si accende dentro di me (e si spegne per It).
Scusate se ho ciarlato così a lungo. Considerate che non ho nemmeno detto tutto, ma come potrei? IT è davvero troppo. Impossibile esaurire i suoi tesori. Quindi mi fermo qui.
Be brave. Be true. Stand. All the rest is darkness.
Anarchic Rain