E' dura la vita per noi lettori onnivori.
Spessissimo, da chi non ama i libri, mi sento dire: "Ma come fai a leggerlo, non c'è nemmeno una figura!".
Altrettanto spesso non rispondo nemmeno, lascio che i miei capelli (diventati dritti alla domanda) si riabbassino contando fino a 1000000000, faccio un sorrisino tirato della serie noncredochetusiascemolosopercerto e me ne vado, se possibile senza più rivolgere la parola all'individuo sospetto di cui sopra.
Pronto??? E' a questo che servono le parole: a descrivere cose che non possiamo testimoniare con gli occhi! Se io mangio una pesca, i miei sensi (soprattutto tatto, gusto e olfatto, ma anche vista e in minor modo l'udito) sanno cosa sto facendo e se quella pesca è buona, ma se io leggo un libro è necessario (se l'autore lo ritiene importante ai fini del libro stesso) che mi si descriva quello che qualcun altro sta facendo e le sensazioni che ne ricava: "Livia assaggiò la pesca, dapprima esitando, perché non sapeva se fosse dolce o più aspra, via via sempre più con gusto, perché la pesca si scioglieva nella sua bocca, provocandole il tipico solletico alle guance di quando un frutto è particolarmente squisito". Insomma, una cosa del genere. Cosa c'è di più riuscito di una descrizione che ti fa "sentire" quello che prova un personaggio inesistente? Per me, niente.
E' per questo che quando leggo non riesco a sentire quello che mi si dice dalla realtà e spesso le persone sono costrette a ripeterlo almeno due volte.
Ed è anche per questo che evito di leggere in fila alla posta: perderei di sicuro il mio turno!
Insomma, una volta per tutte: non è solo questione di fantasia, mentre si legge un libro, quella ce la mette l'autore; è questione di bravura (sua) e di attenzione (nostra) a quello che stiamo leggendo. Se un libro ci piace, non è difficile estraniarci dal mondo reale, diverso è se leggiamo per dovere (per esempio a scuola o all'università o a lavoro).
Morale della favola: non rompeteci mentre leggiamo e non fate domande stupide!
Nemmeno leggere con le figure ci mette al riparo dagli stupidi.
Anche qui, sono molto di parte perché ho una bella collezione di fumetti e graphic novel, ed anche qui trovo (o meglio mi trovano loro!) sempre chi mi chiede (anzi, chi giudica): "Ma come ti fa a piacere! Sono per bambini!"
Anche a questo, di solito non rispondo, perché se sei così stupido da fare una domanda del genere a una che ha a casa più di mille fumetti, allora sei ugualmente stupido da non capire la risposta.
E la risposta è di una semplicità che può far spavento: perché mi diverto! Già, sono d'accordo, non ci vuole un genio per capirlo, ma penso ci voglia un genio per capire il senso della domanda...
Comunque sì, i fumetti, anche quelli tristi (cioè la maggior parte di quelli che ho), mi piacciono da matti perché come i libri mi trasmettono un senso di irrealtà, di cui a volte ho bisogno per riposarmi il cervello.
Ci sono momenti nella vita di tutti in cui uno dice "Basta, ora me ne vado un paio di giorni, non voglio proprio sentire nessuno, spengo il cellulare!!" (atto rivoluzionario, lo so) ed io lo faccio quando apro un fumetto o un libro.
Mi metto lì, seduta, se è inverno con una tazza gigante di tè, se è estate con un succo di frutta freddo, e leggo finché "non mi passano le paturnie" (direbbe Holly Golightly): lei andava da Tiffany e io vado a leggere.
C'è chi si estrania con i videogiochi, con il cinema o con la tv (quanto vorrei che scomparisse!), ognuno trova il suo modo. Ma io penso che tutto ciò che viene dai libri non possa arrivare da nient'altro. Non è solo cultura (non replicatemi che ci sono libri che con la cultura non hanno niente a che fare, lo so e non è di quelli che si parla ora), è una strada, un percorso diverso per ognuno, eppure simile, che ci porta a ragionare con la nostra testa, a farci un'idea del mondo e delle persone. Un insegnamento di vita, insomma, e chi lo sa cogliere è il più ricco di tutti.
Anarchic Rain
mercoledì 27 luglio 2016
lunedì 25 luglio 2016
Il Conte di Montecristo di Alexandre Dumas
Ho appena finito di leggerlo e il mio cuore non si calma ancora!
Monsieur Dumas aveva già fatto palpitare il mio cuoricino suscettibile con Orrore a Fontenay (avevo tipo 12 anni quando lo lessi e mi piacque moltissimo, ero nel mio periodo horror -che non è mai passato-) e La vicenda della dama pallida (un mini-Dracula francese, un po' svenevole ma piacevolissima lettura). Poi recentemente ho letto I tre moschettieri che mi ha definitivamente convinta: Dumas è un fenomeno.
Così, dopo mesi (forse dovrei dire anni) di attesa, ho iniziato Il Conte e l'ho letto col fiato sospeso.
Ovviamente a grandi linee conoscevo la trama, una storia di vendetta a sangue freddo, da parte di un poveraccio sbattuto in prigione per gelosia, sui tre responsabili, nel frattempo diventati stra-ricchi.
Ma già dalle prime pagine, quando il complotto prende forma e infine si realizza, sei costretto a leggere, a sbrigarti, a voltare sempre quella che dovrebbe essere l'ultima pagina e poi non lo è. Fin dal primo rigo fai il tifo per il povero Edmond, che perde quattordici anni della sua giovinezza perché la cattiveria della gente non trova fondo.
Dumas ingarbuglia questa trama piuttosto lineare aggiungendo personaggi e storie che sul momento sembrano inutili lungaggini, ma si rivelano poi fondamentali allo sviluppo dell'intreccio e agli scopi del Conte.
Edmond non vuole solo vendicarsi: vuole sbriciolare i suoi tre aguzzini, ridurli più che in polvere. E lo fa con maestria suprema, sostenuto dal suo infinito ingegno e dal suo pressoché infinito patrimonio (diciamocelo, i soldi non guastano mai!).
Ebbene sì, sono una fan del Conte, un uomo che non si è mai arreso, pur stando sulla soglia di un precipizio, anzi, essendovi gettato dentro (anche letteralmente parlando). Nonostante la sua apparente alterigia, i suoi modi poco ortodossi, in fondo al cuore Edmond è rimasto una persona buona, delicata, che si commuove quando vede una famiglia felice, che farebbe (e fa) di tutto per un amico.
Non risparmia niente, né di fisico né di metafisico, che sia per male o per bene. Colpisce solo le persone che lo meritano (non solo secondo una sua personale giustizia, ma secondo quella di tutti) e cerca di salvare gli altri.
Un solo dubbio ha sfiorato questa grande persona in millecinquecento pagine: quando la moglie di Villefort avvelena persino il suo bambino di otto anni. Lì è preso dal rimorso, dal dubbio del castigo eccessivo. Eppure no, quando tutti abbiamo visto che potenzialmente quel bambino poteva solo diventare un uomo riprovevole, dedito a fare il male e non il bene. E al Conte perdoniamo anche questo (perlomeno io gliel'ho perdonato senza indugio).
Il suo ritorno al castello d'If mi ha raggelato, ho provato un brivido freddo a scendere di nuovo nella segreta da cui Edmond riuscì a scappare per miracolo.
Ecco, a proposito, unico appunto che mi sento di fare a Dumas: perché Faria è dovuto morire? Non si poteva trovare un altro modo? Era così simpatico! Anche lui avrebbe meritato di vedere di nuovo la luce del sole e di vivere ancora qualche tempo col suo nuovo figlio (che tra l'altro aveva anche già perso il padre)...insomma l'ho trovata una cattiveria inutile ecco...
Ok, ora mi sono sfogata.
Che dire degli altri personaggi: Maximilien mi è piaciuto anche se l'ho trovato troppo teatrale, così come Valentine (a volte sembra proprio una povera scema!), Danglars è così volgare che mi rifiuto di parlarne. Haydèe è un gran personaggio, peccato che le si dia poco spazio. Eugenie è la donna più forte di tutto il romanzo, mi è piaciuta tantissimo, con la sua volontà di ferro e la sua logica infallibile. Morcef si vede troppo poco, ma mi sembra senza infamia e senza lode, un antagonista dimenticabile. Quello che invece è indimenticabile è Villefort. Da un punto di vista oggettivo, è lui il mio personaggio preferito. All'inizio non gli davo una lira (come si suol dire), ma poi la sua figura austera e apparentemente retta mi ha affascinato: in realtà, eccettuata la parte da lui avuta nel rinchiudere Edmond ingiustamente, ha sempre percorso la strada della rettitudine, punendo (forse a volte con eccessiva durezza) i criminali che lo meritavano, senza lasciarsi impietosire da niente e nessuno. Il suo senso di giustizia anzi era più sensibile che mai da quando egli stesso, per salvare suo padre e il proprio nome, aveva momentaneamente deviato dalla retta via. E forse per lavare anche i suoi peccati, puniva quasi con furore quelli degli altri. L'ho trovato complesso, profondo e interessante, ecco. E' stato l'unico per cui ho provato un minimo di pietà, specie quando trova suo figlio e impazzisce.
Il linguaggio è nettamente diverso da quello con cui descrive le avventure di D'Artagnan, più tetro forse, e i temi sono molto più maturi, ma entrambi mi sono piaciuti moltissimo nel loro genere.
Il primo si legge con molta più facilità e sicuramente con molto più divertimento, il secondo è bello anche perché dà infiniti spunti di riflessione e perché è un piacere vedere una trama ingarbugliata sbrogliarsi con facilità! Sembra quasi che sia stato semplice ordire il tutto, ma è proprio qui che sta la bravura dei grandi: non farti accorgere del grande lavoro che c'è dietro un capolavoro.
Leggetelo. Anche se può sembrare lento o a volte troppo descrittivo (sono le parti che preferisco!), tutto è funzionale a quello che succederà. Ogni dettaglio preparatorio serve solo a rendere più grandiosa la scena della risoluzione (anzi, le varie scene).
Preparatevi a un colpo al cuore.
Anarchic Rain
Monsieur Dumas aveva già fatto palpitare il mio cuoricino suscettibile con Orrore a Fontenay (avevo tipo 12 anni quando lo lessi e mi piacque moltissimo, ero nel mio periodo horror -che non è mai passato-) e La vicenda della dama pallida (un mini-Dracula francese, un po' svenevole ma piacevolissima lettura). Poi recentemente ho letto I tre moschettieri che mi ha definitivamente convinta: Dumas è un fenomeno.
Così, dopo mesi (forse dovrei dire anni) di attesa, ho iniziato Il Conte e l'ho letto col fiato sospeso.
Ovviamente a grandi linee conoscevo la trama, una storia di vendetta a sangue freddo, da parte di un poveraccio sbattuto in prigione per gelosia, sui tre responsabili, nel frattempo diventati stra-ricchi.
Ma già dalle prime pagine, quando il complotto prende forma e infine si realizza, sei costretto a leggere, a sbrigarti, a voltare sempre quella che dovrebbe essere l'ultima pagina e poi non lo è. Fin dal primo rigo fai il tifo per il povero Edmond, che perde quattordici anni della sua giovinezza perché la cattiveria della gente non trova fondo.
Dumas ingarbuglia questa trama piuttosto lineare aggiungendo personaggi e storie che sul momento sembrano inutili lungaggini, ma si rivelano poi fondamentali allo sviluppo dell'intreccio e agli scopi del Conte.
Edmond non vuole solo vendicarsi: vuole sbriciolare i suoi tre aguzzini, ridurli più che in polvere. E lo fa con maestria suprema, sostenuto dal suo infinito ingegno e dal suo pressoché infinito patrimonio (diciamocelo, i soldi non guastano mai!).
Ebbene sì, sono una fan del Conte, un uomo che non si è mai arreso, pur stando sulla soglia di un precipizio, anzi, essendovi gettato dentro (anche letteralmente parlando). Nonostante la sua apparente alterigia, i suoi modi poco ortodossi, in fondo al cuore Edmond è rimasto una persona buona, delicata, che si commuove quando vede una famiglia felice, che farebbe (e fa) di tutto per un amico.
Non risparmia niente, né di fisico né di metafisico, che sia per male o per bene. Colpisce solo le persone che lo meritano (non solo secondo una sua personale giustizia, ma secondo quella di tutti) e cerca di salvare gli altri.
Un solo dubbio ha sfiorato questa grande persona in millecinquecento pagine: quando la moglie di Villefort avvelena persino il suo bambino di otto anni. Lì è preso dal rimorso, dal dubbio del castigo eccessivo. Eppure no, quando tutti abbiamo visto che potenzialmente quel bambino poteva solo diventare un uomo riprovevole, dedito a fare il male e non il bene. E al Conte perdoniamo anche questo (perlomeno io gliel'ho perdonato senza indugio).
Il suo ritorno al castello d'If mi ha raggelato, ho provato un brivido freddo a scendere di nuovo nella segreta da cui Edmond riuscì a scappare per miracolo.
Ecco, a proposito, unico appunto che mi sento di fare a Dumas: perché Faria è dovuto morire? Non si poteva trovare un altro modo? Era così simpatico! Anche lui avrebbe meritato di vedere di nuovo la luce del sole e di vivere ancora qualche tempo col suo nuovo figlio (che tra l'altro aveva anche già perso il padre)...insomma l'ho trovata una cattiveria inutile ecco...
Ok, ora mi sono sfogata.
Che dire degli altri personaggi: Maximilien mi è piaciuto anche se l'ho trovato troppo teatrale, così come Valentine (a volte sembra proprio una povera scema!), Danglars è così volgare che mi rifiuto di parlarne. Haydèe è un gran personaggio, peccato che le si dia poco spazio. Eugenie è la donna più forte di tutto il romanzo, mi è piaciuta tantissimo, con la sua volontà di ferro e la sua logica infallibile. Morcef si vede troppo poco, ma mi sembra senza infamia e senza lode, un antagonista dimenticabile. Quello che invece è indimenticabile è Villefort. Da un punto di vista oggettivo, è lui il mio personaggio preferito. All'inizio non gli davo una lira (come si suol dire), ma poi la sua figura austera e apparentemente retta mi ha affascinato: in realtà, eccettuata la parte da lui avuta nel rinchiudere Edmond ingiustamente, ha sempre percorso la strada della rettitudine, punendo (forse a volte con eccessiva durezza) i criminali che lo meritavano, senza lasciarsi impietosire da niente e nessuno. Il suo senso di giustizia anzi era più sensibile che mai da quando egli stesso, per salvare suo padre e il proprio nome, aveva momentaneamente deviato dalla retta via. E forse per lavare anche i suoi peccati, puniva quasi con furore quelli degli altri. L'ho trovato complesso, profondo e interessante, ecco. E' stato l'unico per cui ho provato un minimo di pietà, specie quando trova suo figlio e impazzisce.
Il linguaggio è nettamente diverso da quello con cui descrive le avventure di D'Artagnan, più tetro forse, e i temi sono molto più maturi, ma entrambi mi sono piaciuti moltissimo nel loro genere.
Il primo si legge con molta più facilità e sicuramente con molto più divertimento, il secondo è bello anche perché dà infiniti spunti di riflessione e perché è un piacere vedere una trama ingarbugliata sbrogliarsi con facilità! Sembra quasi che sia stato semplice ordire il tutto, ma è proprio qui che sta la bravura dei grandi: non farti accorgere del grande lavoro che c'è dietro un capolavoro.
Leggetelo. Anche se può sembrare lento o a volte troppo descrittivo (sono le parti che preferisco!), tutto è funzionale a quello che succederà. Ogni dettaglio preparatorio serve solo a rendere più grandiosa la scena della risoluzione (anzi, le varie scene).
Preparatevi a un colpo al cuore.
Anarchic Rain
Carne e sangue di Michael Cunningham
Michael Cunningham colpisce ancora.
Con più potenza.
Dritto al mio cuore.
Ho iniziato a leggere questo autore i primi anni di università, con Una casa alla fine del mondo, che mi era piaciuto tantissimo. Ho continuato l'anno scorso con Le ore (anche questo costruito alla perfezione), per finire (ma solo per ora) con Carne e sangue.
Qualche recensione letta qua e là mi informava che questo libro non aggiungeva niente a quanto già scritto dall'autore, ma dopo averlo letto posso dire di non essere assolutamente d'accordo.
I temi trattati sono quelli a lui cari, ovviamente, quale scrittore che abbia un minimo di buonsenso non scriverebbe ciò di cui sa meglio? Ogni scrittore/scrittrice che io conosco, che abbia scritto più di un libro, ha il proprio (o i propri) tema fondamentale, da cui raramente si scosta. Però si può scrivere della stessa cosa in modo diverso o da punti di vista diversi, o arrivarci per vie diverse. E se uno è bravo, è sempre un piacere accompagnarlo nel viaggio.
Per me Cunningham è bravo. Scrive di persone che la vita ha in qualche modo punito, con un'infanzia dolorosa o una malattia o la morte di una persona cara, ma riesce sempre a descrivere personaggi affascinanti, nei quali magari uno non si riconosce, ma per cui non si può non provare almeno pietà.
Questo libro descrive i cento anni di una famiglia greca immigrata in America, la insegue nelle sue battaglie, nelle sue soddisfazioni e nelle sue illusioni. Nella morte e nella depravazione. In ogni anfratto della sua anima.
Prima i genitori, Constantine e Mary, poi i tre figli, Susan, Billy (Will) e Zoe e i nipoti, Ben e Jamal.
Sarebbe facilissimo dire quale mi è piaciuto di più e quale di meno, ma credo che a nessuno freghi niente, meno che meno all'autore.
Perché? Perché ha creato un mondo di personaggi interessanti e in qualche modo difettosi, tutti da amare nonostante e forse a causa dei loro difetti.
A ognuno manca qualcosa: a Con il senso della misura, a Mary e Susan il coraggio, a Billy la responsabilità, a Zoe il senso della realtà, a Ben l'umiltà. Jamal è l'unico che sembra rimanere integro. Eppure anche a lui manca qualcosa: lo spirito. A me sembra come una spugna che tutto assorbe (l'amore di sua madre, il desiderio/ossessione di suo cugino, la curiosità degli zii, la diffidenza del nonno) e da nulla è scalfito, come se tutto gli passasse addosso senza lasciare traccia o meglio senza provocargli altro che sorpresa momentanea. Allo stesso modo un bambino di 3 anni riceverebbe un regalo sul momento bellissimo, dimenticato dopo mezz'ora.
Il tema dell'AIDS così caro a Cunningham è descritto forse più ampiamente rispetto a Le ore e Una casa alla fine del mondo, ma mai con prosaicità o pateticità, anzi, ne parla senza farne drammi non richiesti, senza spettacolarità. Come se dicesse: sono cose che capitano, sono brutte, ma bisogna prenderne atto e sbrigarsi a fare le cose che si devono fare prima di salutare e andare via.
Mi piace questo modo di vedere le cose.
Questo è uno di quei libri che non hanno niente di gioioso, niente che sollevi lo spirito, o che aggiunga serenità all'esistenza. E' invece uno di quei libri che graffiano e lasciano senza fiato.
Ve lo consiglio, ma con cautela, perché anche se sul finale c'è una piccola luce che potrebbe significare l'uscita dal tunnel, questa potrebbe essere più lontana di quanto non sembri.
State attenti.
Anarchic Rain
Con più potenza.
Dritto al mio cuore.
Ho iniziato a leggere questo autore i primi anni di università, con Una casa alla fine del mondo, che mi era piaciuto tantissimo. Ho continuato l'anno scorso con Le ore (anche questo costruito alla perfezione), per finire (ma solo per ora) con Carne e sangue.
Qualche recensione letta qua e là mi informava che questo libro non aggiungeva niente a quanto già scritto dall'autore, ma dopo averlo letto posso dire di non essere assolutamente d'accordo.
I temi trattati sono quelli a lui cari, ovviamente, quale scrittore che abbia un minimo di buonsenso non scriverebbe ciò di cui sa meglio? Ogni scrittore/scrittrice che io conosco, che abbia scritto più di un libro, ha il proprio (o i propri) tema fondamentale, da cui raramente si scosta. Però si può scrivere della stessa cosa in modo diverso o da punti di vista diversi, o arrivarci per vie diverse. E se uno è bravo, è sempre un piacere accompagnarlo nel viaggio.
Per me Cunningham è bravo. Scrive di persone che la vita ha in qualche modo punito, con un'infanzia dolorosa o una malattia o la morte di una persona cara, ma riesce sempre a descrivere personaggi affascinanti, nei quali magari uno non si riconosce, ma per cui non si può non provare almeno pietà.
Questo libro descrive i cento anni di una famiglia greca immigrata in America, la insegue nelle sue battaglie, nelle sue soddisfazioni e nelle sue illusioni. Nella morte e nella depravazione. In ogni anfratto della sua anima.
Prima i genitori, Constantine e Mary, poi i tre figli, Susan, Billy (Will) e Zoe e i nipoti, Ben e Jamal.
Sarebbe facilissimo dire quale mi è piaciuto di più e quale di meno, ma credo che a nessuno freghi niente, meno che meno all'autore.
Perché? Perché ha creato un mondo di personaggi interessanti e in qualche modo difettosi, tutti da amare nonostante e forse a causa dei loro difetti.
A ognuno manca qualcosa: a Con il senso della misura, a Mary e Susan il coraggio, a Billy la responsabilità, a Zoe il senso della realtà, a Ben l'umiltà. Jamal è l'unico che sembra rimanere integro. Eppure anche a lui manca qualcosa: lo spirito. A me sembra come una spugna che tutto assorbe (l'amore di sua madre, il desiderio/ossessione di suo cugino, la curiosità degli zii, la diffidenza del nonno) e da nulla è scalfito, come se tutto gli passasse addosso senza lasciare traccia o meglio senza provocargli altro che sorpresa momentanea. Allo stesso modo un bambino di 3 anni riceverebbe un regalo sul momento bellissimo, dimenticato dopo mezz'ora.
Il tema dell'AIDS così caro a Cunningham è descritto forse più ampiamente rispetto a Le ore e Una casa alla fine del mondo, ma mai con prosaicità o pateticità, anzi, ne parla senza farne drammi non richiesti, senza spettacolarità. Come se dicesse: sono cose che capitano, sono brutte, ma bisogna prenderne atto e sbrigarsi a fare le cose che si devono fare prima di salutare e andare via.
Mi piace questo modo di vedere le cose.
Questo è uno di quei libri che non hanno niente di gioioso, niente che sollevi lo spirito, o che aggiunga serenità all'esistenza. E' invece uno di quei libri che graffiano e lasciano senza fiato.
Ve lo consiglio, ma con cautela, perché anche se sul finale c'è una piccola luce che potrebbe significare l'uscita dal tunnel, questa potrebbe essere più lontana di quanto non sembri.
State attenti.
Anarchic Rain
domenica 3 luglio 2016
Manuale di sopravvivenza per ragazze in crisi (economica) di Sara Lorenzini
Madrediddio.
Da dove comincio? Mah. Vabbè, comincio dall'inizio.
Ogni tanto sono incuriosita da questi libercoli che parlano di niente, per il semplice fatto che creano delle liste e io adoro le liste.
Manuali dell'aria fritta, ma di solito scritti decentemente, anche un filino divertenti, se sei fortunata.
Ecco, non solo non sono stata fortunata stavolta, ma ho proprio preso il palo in fronte.
Mi pare ormai un paio d'anni fa, ho preso per kindle (ovviamente, gratuitamente) questo libretto, credo di nemmeno 100 pagine. L'ho preso perché il titolo mi sembrava carino e ironico (con un fondo di verità).
Oggi l'ho letto.
Madonnasantissimadadovecomincio.
Per essere leggero è leggero, vola via con nemmeno un'ora di lettura, ma il contenuto è tra i più trash che siano mai stati scritti.
Insomma, abbiamo capito che sei stata mollata, che hai avuto un super-nonno, che hai un appartamento tuo grazie ai suoi duecentotrentamila euri e che ora hai un ragazzo m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o. Ma non è che ogni due pagine devi riscriverlo.
E vogliamo parlare della lezioncina sul furto che dai a tutte? Che male c'è a rubare da casa del tuo ex videogames assortiti e poi rivenderli? (Cito quasi testualmente). Tu che sei furba ci hai guadagnato 72 euro e 30 centesimi per andare dall'estetista e farti la manicure.
Fossi stata io il tuo ex-ragazzo ci avresti beccato anche una mattonella sui denti.
Cose allucinanti.
Inoltre, una banalità dietro l'altra sul risparmio a tutti i costi. Tutte cose già dette, già sentite, già fatte, già superate.
Guardarsi una puntata di Pazzi per la spesa è più istruttivo.
Altra cosa che dà maledettamente fastidio (come se non bastasse il contenuto) sono i continui refusi del testo. Ma chi ha corretto la bozza? Gatto Silvestro mentre faceva la posta a quello stron*o di Tweety? Paperino? Mah.
Ora, lungi da me fare di tutta l'erba un fascio, ma diodelcieloedellaterra possibile che non ci fosse un editor un minimo competente?
Nel retrocopertina (o nell'introduzione, non ricordo) c'è scritto che dopo aver letto questo manuale, non si potrà fare a meno di comprare anche il libro precedente (che racconta la vita della scrittrice, con tutti i suoi fallimenti e le sue vittorie). Ma per favore. L'unica cosa che vorrei fare è incontrarla e capire se è davvero scema come sembra.
Spero di no.
Anarchic Rain
Da dove comincio? Mah. Vabbè, comincio dall'inizio.
Ogni tanto sono incuriosita da questi libercoli che parlano di niente, per il semplice fatto che creano delle liste e io adoro le liste.
Manuali dell'aria fritta, ma di solito scritti decentemente, anche un filino divertenti, se sei fortunata.
Ecco, non solo non sono stata fortunata stavolta, ma ho proprio preso il palo in fronte.
Mi pare ormai un paio d'anni fa, ho preso per kindle (ovviamente, gratuitamente) questo libretto, credo di nemmeno 100 pagine. L'ho preso perché il titolo mi sembrava carino e ironico (con un fondo di verità).
Oggi l'ho letto.
Madonnasantissimadadovecomincio.
Per essere leggero è leggero, vola via con nemmeno un'ora di lettura, ma il contenuto è tra i più trash che siano mai stati scritti.
Insomma, abbiamo capito che sei stata mollata, che hai avuto un super-nonno, che hai un appartamento tuo grazie ai suoi duecentotrentamila euri e che ora hai un ragazzo m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-o. Ma non è che ogni due pagine devi riscriverlo.
E vogliamo parlare della lezioncina sul furto che dai a tutte? Che male c'è a rubare da casa del tuo ex videogames assortiti e poi rivenderli? (Cito quasi testualmente). Tu che sei furba ci hai guadagnato 72 euro e 30 centesimi per andare dall'estetista e farti la manicure.
Fossi stata io il tuo ex-ragazzo ci avresti beccato anche una mattonella sui denti.
Cose allucinanti.
Inoltre, una banalità dietro l'altra sul risparmio a tutti i costi. Tutte cose già dette, già sentite, già fatte, già superate.
Guardarsi una puntata di Pazzi per la spesa è più istruttivo.
Altra cosa che dà maledettamente fastidio (come se non bastasse il contenuto) sono i continui refusi del testo. Ma chi ha corretto la bozza? Gatto Silvestro mentre faceva la posta a quello stron*o di Tweety? Paperino? Mah.
Ora, lungi da me fare di tutta l'erba un fascio, ma diodelcieloedellaterra possibile che non ci fosse un editor un minimo competente?
Nel retrocopertina (o nell'introduzione, non ricordo) c'è scritto che dopo aver letto questo manuale, non si potrà fare a meno di comprare anche il libro precedente (che racconta la vita della scrittrice, con tutti i suoi fallimenti e le sue vittorie). Ma per favore. L'unica cosa che vorrei fare è incontrarla e capire se è davvero scema come sembra.
Spero di no.
Anarchic Rain
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