Dopo gli stravizi di un gruppo di "ragazze" inglesi e la tranquillità zen di un monaco buddhista, ho deciso di leggere qualcosa di non impegnativo (in questo clima pre-specializzazione non ce la farei a fare altro) e di accattivante allo stesso tempo.
Essendo in astinenza da Walking dead (ebbene sì, sono fan della serie, nonostante tutto), ho pensato di leggere un libro sugli zombie, anche perché combinazione ha voluto che l'offerta del giorno del Kindle store avesse proprio questo titolo.
Titolo a cui ho fatto la corte parecchie volte in libreria, ma che non mi sono mai decisa ad acquistare, chissà perché*.
*Per i curiosi: me lo sono spiegato un paio di giorni fa. Il mio quinto senso e mezzo deve aver captato la fregatura: si tratta di una trilogia e prima di prenderla cartacea ho deciso di provare la versione elettronica. Se poi dovesse meritare allora la comprerò.
Dunque. Questo libro, prima parte appunto di una trilogia zombie, non è per niente malvagio, anzi. E' scritto (come ci avverte il titolo) sotto forma di diario da un sopravvissuto a un'apocalisse zombie, scoppiata in Cina ai giorni nostri. Il tizio in questione è un militare americano che cerca in tutti i modi di cavarsela in un mondo ormai diventato ostile. Insomma, direte voi, la solita vecchia solfa.
Può darsi, certo il tema è stato ampiamente sfruttato da un sacco di media, libri, film, serie tv, videogiochi, fumetti e via dicendo.
Però questo libro parte da un'idea sui generis: un appassionato del genere Z decide di tenere un diario sul suo blog, per scrivere quello che secondo lui ancora non è stato scritto sull'argomento. Ed è senza abbellimenti letterari, ma con un linguaggio sintetico e di stampo militare, che Bourne ci informa su tutto quello di cui avremmo bisogno nel caso in cui il nostro mondo non sia più nostro ma in balia di quelle creature poco socievoli che sono i morti viventi.
Dal cibo alle armi, ai sistemi di comunicazione e locomozione. Tutto.
Inoltre ci mette in guardia: spesso (non sempre) è meglio stare alla larga non solo dagli erranti, ma anche dagli esseri umani rimasti. La morte (e i morti) non sceglie chi attaccare, buoni o cattivi non c'è differenza e se è possibile incontrare ancora brave persone, è anche possibile il contrario, quindi la parola d'ordine è PRUDENZA!
Dei personaggi solo il protagonista è abbastanza ben sviluppato, ovviamente, visto che il diario è il suo. Di lui sappiamo cosa pensa (anche se in maniera sintetica, è molto preciso riguardo le sue sensazioni), cosa vorrebbe fare, cosa può fare e conosciamo anche a poco a poco i suoi sentimenti verso gli altri del gruppo (fondamentalmente sono un desiderio di protezione e un senso di responsabilità che vengono fuori), mentre le altre personalità sono poco o niente accennate (a parte le descrizioni di quello che fanno e le impressioni soggettive del protagonista). Però è una cosa che non disturba nella lettura complessiva, o meglio, anche noi tendiamo a concentrarci su di lui e a vedere gli altri come un necessario e fortuito contorno.
L'unica cosa che davvero mi ha fatto storcere il naso, ma credo sia inevitabile con un diario, è che nonostante alcune pagine si aprano con "Me la sono vista davvero brutta", sai già che comunque è finito tutto bene, altrimenti non starebbe lì a scrivere...ma ripeto, non ci si può fare niente, non avendo scelto questa forma letteraria.
Non so ancora come sono scritti gli altri due libri della trilogia, non so se si riprende lo stesso stile, non so neppure se il protagonista che parla è sempre lo stesso. Però spero di no, spero che altri due ospiti dell'Hotel 23 si siano dati da fare per non abbrutirsi più del necessario, per cercare di esplorare se stessi e scrivere tutto quello che accade se non altro per cercare una specie di ordine in tutto quel caos.
Tutto sommato, questo libro è una buona partenza, non proprio uno sprint, ma ci si può lavorare.
Non essendo un libro impegnativo, potete leggerlo sotto l'ombrellone o se avete due o tre ore da perdere, ma non aspettatevi brividi o azione adrenalinica (impossibili entrambi con quel linguaggio secco e lineare).
Anarchic Rain
mercoledì 29 giugno 2016
martedì 28 giugno 2016
Libri e settima arte. Part I: Penny Dreadful
Immagine presa da Quag |
Già sento la vostra disapprovazione. Riesco a percepire ogni sospiro esasperato, ogni mormorio agonizzante.
E di solito anch'io reagisco così. Un film sta al libro come una goccia sta all'oceano e fin qui siamo tutti perfettamente d'accordo.
Ma un sincero omaggio ad alcuni dei libri più belli mai scritti può essere ignorato?
Non da me.
Penny Dreadful è stata una delle scoperte più interessanti degli ultimi mesi. L'ho vista tutta d'un fiato e devo dire che mi ha affascinato non poco. Nonostante i primi episodi siano un insieme un po' confuso dei più famosi romanzi gotici dell'800 inglese, andando avanti la trama si sviluppa e si "intensifica".
Ci sono vampiri, Van Helsing, streghe, lupi mannari, voodoo africani, Dorian Gray, il dottor Frankenstein con la/e sua/e Creatura/e, egittologia, a cui si aggiungono indiani d'America e persino il dottor Jeckyll.
Ma che cos'è che li rende speciali? Cos'è che mi ha fatto pensare che valgano qualcosa nonostante i loro corrispettivi cartacei?
Vanno oltre. Superano se stessi e i loro creatori originali.
Vi avviso che ci saranno spoiler come se piovesse, sia sulla serie che sui libri da cui ogni personaggio è tratto.
Il primo che mi viene in mente, perché il mio preferito, è Dorian Gray. Tutti ricordiamo il Gray di Wilde: un idolo creato da ogni persona che lo ha sfiorato, primo tra tutti Basil, il suo amico pittore, il primo ad innamorarsi di lui e il primo a mostrargli la sua bellezza, tanto estrema da essere peccaminosa. Poi lord Henry, il suo cosiddetto migliore amico, colui che non potendo vivere secondo i suoi stessi precetti ha vissuto attraverso Dorian per decenni, rendendosi conto troppo tardi di cosa aveva creato. E alla fine, abbandonato pressoché da tutti, ma specialmente da se stesso, Dorian non sopporta più il suo essere immortale e abbietto e si toglie la vita.
Il Dorian che ritroviamo in Penny è invece l'idolo perfetto. Completamente vuoto, amorale, indistruttibile. Niente e nessuno può sconfiggerlo, nessuno può anche solo minimamente arrivargli vicino, neppure lui stesso saprebbe dire dove si trova più. E' morto, ma risplende.
E' andato oltre l'immaginazione (pur sfrenata) di Oscar Wilde, è arrivato dove lui non è potuto andare. Ed io penso che si sia superato. Mi è piaciuto immensamente vederlo oltre i limiti, avevo quasi paura che alla fine si perdesse (ritrovasse?) ma per fortuna non è successo. E' rimasto perfetto.
Parliamo di Frankenstein e della sua povera Creatura. Due uomini distrutti, prima dalla vita, poi dalla morte. Ma soprattutto dall'amore. Frankenstein viene descritto come un ragazzino viziato dalla madre, malaticcio, che ad un certo punto della sua vita scopre qualcosa di incredibile e pericoloso: come sconfiggere la morte. Ingestibile la prima volta, ci riprova con un altro "essere" e sembra che sia più fortunato, ma quando il suo primo "errore" torna lo fa con potenza vendicativa e distruttiva. La prima Creatura (che si chiamerà John Clare) vuole una compagna per affrontare lo squallore della vita eterna. Ma il dottore anche nella versione televisiva si innamora della "donna" che resuscita e si perde per lei. A questo punto le due trame si dividono, la Creatura torna alle sue origini (ricordandosi sempre più di sua moglie e suo figlio) e il dottore tenta di farsi amare da colei che ha riportato alla vita, ma fallisce e la lascia andare.
Non mi è piaciuto moltissimo il personaggio del dottor Frankenstein, troppo giovane e schiavo dei suoi umori e della morfina. Ma ho adorato la Creatura, John Clare, che tra i comprimari è l'unico che lotta per ritrovare se stesso e che riesce nello sforzo. E' un personaggio triste, malinconico, romantico, come il poeta a cui ha preso in prestito il nome. Di una dolcezza struggente.
Dracula, il vampiro più amato di tutti i tempi. Ero curiosa di vedere cosa ne avrebbero fatto. Lui forse mi ha deluso più di tutti, perché era quello da cui mi aspettavo di più. Lui non è andato al di là. Lui è rimasto schiavo delle stesse catene che l'avevano distrutto già tra le pagine dei diari di Mina e Jonathan e Van Helsing. Una scena emblematica è nell'ultima puntata della terza (e ultima) serie: lui, seduto, mentre Vanessa (oh, Vanessa!) è dietro di lui. Le chiede cosa sta per succedere e lei prima poggia la mano sulla spalla di lui, poi la ritira quando lui cerca di prenderla. A questo punto, Dracula abbassa la testa: un sottomesso, totalmente in balia del suo amore per lei, perdutamente svanito nel grande potere di lei. Non mi è piaciuto, avrei voluto che il carisma dimostrato nelle prime apparizioni non svanisse così come un fuoco fatuo, come se una volta raggiunto l'obiettivo non contasse più averlo, come se tutto quanto fosse stato solo un teatrino per catturare lei, crollato subito dopo.
Nonostante ci siano state scelte che mi hanno disturbato e scene insulse (come in ogni serie tv che si rispetti), nel complesso Penny Dreadful mi è davvero piaciuto. Ho trovato quasi tutti i personaggi più che azzeccati, a partire da Eva Green, che è semplicemente divina, passando per Timothy Dalton (tormentato a sufficienza), Reeve Carney (un Dorian Gray che semplicemente è uscito dal libro, perfetto) e Rory Kinnear (John Clare). Frankenstein non mi è piaciuto molto, ma solo perché penso sempre a lui come un adulto, quasi vecchio, non come un ragazzino fragilino e tutto nervi. E non mi è piaciuto nemmeno Ethan Chandler (il cui vero nome, Talbot, rimanda ai lupi mannari della tradizione cinematografica americana), interpretato da Josh Hartnett, attore a mio parere fiacchissimo in questo ruolo.
Per quanto riguarda il finale di serie (è infatti stato annunciato, subito dopo l'ultimo episodio della terza stagione, che la serie risulta interrotta) mi fa immensamente piacere che mr Clare sia l'unico alla fine che sembra rimanere in piedi. A fatica, magari, senza fiato, sicuramente, ma è l'unico che non perde se stesso, l'unico che riuscirà ad andare avanti. Proprio come Dorian. Nessuno dei due è senza dolore. E se Dorian lo ignora, John Clare ne trae nutrimento.
Guardate questa serie e, se potete, guardatela in lingua originale, quello splendido inglese che vi trascinerà nei vicoli bui e pericolosi di una Londra piovosa e grigia.
Anarchic Rain
martedì 14 giugno 2016
Il club delle cattive ragazze di Sophie Hart
Lo so, questa non ve l'aspettavate da me, vero?
Chi, io e il genere chick lit nella stessa (non inorridita) frase? Ma stiamo scherzando?
E invece sì. Non si finisce mai di imparare nella vita.
Insomma, sarà stata la depressione pre-ciclo o pre-estate, avevo bisogno di un libro leggero, non impegnativo e divertente. Un po' stupido? Forse.
In libreria mi sono fatta catturare dalla copertina (una ragazza dagli occhi furbetti che spuntano da un libro aperto) e dal titolo, decisamente poco impegnativo. Non ho nemmeno letto il retro-copertina. L'ho preso e basta.
Sono circa 340 pagine, ma si leggono in un baleno, ogni frase attaccata all'altra scivola via che è una gioia. Ore di puro divertimento. Senza dare facili giudizi, senza storcere il naso davanti al romanticismo a secchiate, senza deprecare il lieto fine.
Insomma, ESCI DA QUESTO CORPO!
Ok, prometto di tornare in me appena finisco questa chiacchierata.
Il libro in sé non è davvero niente di che, non è alta letteratura (ma nemmeno bassa), è giocosamente sexy (i tentativi di imitare il kamasutra di Rebecca e Andy mi hanno fatto morire dal ridere) e si prende allegramente in giro da solo.
In una parola, è fresco.
E' anche scanzonato.
I protagonisti sono quattro "ragazze" (sebbene solo una possa di diritto rientrare nella categoria) e un ragazzo. Che sia per incrementare il piccante tra lenzuola matrimoniali, per sfuggire a un matrimonio noioso, per caso o per tentare di risollevare le sorti di un bar, fatto sta che queste cinque persone si incontrano e da questo incontro assolutamente casuale le loro vite prendono la cosiddetta svolta. Tutti e cinque si ritroveranno con un'occasione tra le mani e per fortuna sapranno sfruttarla al meglio.
Un libro per stare allegri insomma, ma anche per riflettere un po' sulla propria vita. Non è mai troppo tardi per cambiare o almeno per fare un tentativo. Certo, non è detto che alla fine vada bene proprio a tutti, ma se non ci provi non puoi dire che ti è andata male!
Anche se non è il mio genere, mi sento di consigliarlo soprattutto a un pubblico femminile, ma non solo. Anche tra le pagine di un libro divertente si possono trovare spunti impensati!
Anarchic Rain
Chi, io e il genere chick lit nella stessa (non inorridita) frase? Ma stiamo scherzando?
E invece sì. Non si finisce mai di imparare nella vita.
Insomma, sarà stata la depressione pre-ciclo o pre-estate, avevo bisogno di un libro leggero, non impegnativo e divertente. Un po' stupido? Forse.
In libreria mi sono fatta catturare dalla copertina (una ragazza dagli occhi furbetti che spuntano da un libro aperto) e dal titolo, decisamente poco impegnativo. Non ho nemmeno letto il retro-copertina. L'ho preso e basta.
Sono circa 340 pagine, ma si leggono in un baleno, ogni frase attaccata all'altra scivola via che è una gioia. Ore di puro divertimento. Senza dare facili giudizi, senza storcere il naso davanti al romanticismo a secchiate, senza deprecare il lieto fine.
Insomma, ESCI DA QUESTO CORPO!
Ok, prometto di tornare in me appena finisco questa chiacchierata.
Il libro in sé non è davvero niente di che, non è alta letteratura (ma nemmeno bassa), è giocosamente sexy (i tentativi di imitare il kamasutra di Rebecca e Andy mi hanno fatto morire dal ridere) e si prende allegramente in giro da solo.
In una parola, è fresco.
E' anche scanzonato.
I protagonisti sono quattro "ragazze" (sebbene solo una possa di diritto rientrare nella categoria) e un ragazzo. Che sia per incrementare il piccante tra lenzuola matrimoniali, per sfuggire a un matrimonio noioso, per caso o per tentare di risollevare le sorti di un bar, fatto sta che queste cinque persone si incontrano e da questo incontro assolutamente casuale le loro vite prendono la cosiddetta svolta. Tutti e cinque si ritroveranno con un'occasione tra le mani e per fortuna sapranno sfruttarla al meglio.
Un libro per stare allegri insomma, ma anche per riflettere un po' sulla propria vita. Non è mai troppo tardi per cambiare o almeno per fare un tentativo. Certo, non è detto che alla fine vada bene proprio a tutti, ma se non ci provi non puoi dire che ti è andata male!
Anche se non è il mio genere, mi sento di consigliarlo soprattutto a un pubblico femminile, ma non solo. Anche tra le pagine di un libro divertente si possono trovare spunti impensati!
Anarchic Rain
domenica 12 giugno 2016
Smith & Wesson di Alessandro Baricco
Grazie.
Come non dire sempre "grazie" a lui, quando si finisce un suo libro.
Ok, magari sarà presuntuoso (l'ho già specificato), ok, magari non te lo porteresti a cena fuori (o lui non porterebbe te), ma puoi sempre star sicuro che i suoi libri ti porteranno dove non hai mai sognato di poter andare un giorno. Non per mancanza di tempo o di soldi, ma per mancanza di immaginazione.
Cosa che lui ha. E usa. E bene. E meno male che lo fa.
Questo piccolissimo libro non è un romanzo, è uno scritto teatrale, un po' come Novecento, ma non è un monologo. Per la maggior parte del tempo è un tri-logo, solo alla fine spunta fuori (ma solo per poco) un altro personaggio.
In queste poche pagine (purtroppo) conosciamo Smith e Wesson, il primo un aspirante meteorologo, il secondo un Pescatore, uno che ripesca corpi dal fiume Niagara dopo che sono caduti (e verosimilmente morti), perlopiù suicidi. I siparietti tra i due sono di uno spettacolo quasi inverosimile, sono divertenti, irriverenti e indimenticabili. A loro si aggiunge Rachel, un'aspirante giornalista che decide di creare una storia da scrivere per far vedere quanto vale. Anzi, decide di diventare la storia che gli altri scriveranno. Decide di diventare il primo essere umano a buttarsi dalle cascate del Niagara non con l'intento di suicidarsi, ma con quello di iniziare finalmente a vivere.
Non è quasi importante la riuscita o meno del piano, la caduta e quello che succede nell'immediato. Quello che importa è il prima e il dopo.
Il prima vede i tre conoscersi sempre più a fondo, diventare intimi (senza scambi inappropriati di fluidi apparentemente, o comunque non ne è fatta menzione perché totalmente irrilevante), in un certo modo fino a scambiarsi la vita. Il dopo, come in un cerchio che si chiude, torna a essere un binomio, lo Smith & Wesson del titolo (hanno provato anche a usare i loro nomi, ma Tom e Jerry era persino più imbarazzante), che raccontano la loro esistenza itinerante.
Indipendentemente dall'esito del salto nella botte, Rachel ha insegnato loro lo stupore di godersi la vita e le sue piccole gioie, la ricerca di cose sempre nuove e di sensazioni mai provate prima. Ha insegnato loro a non avere paura a buttarsi in qualcosa anima e corpo, ad abbandonare ogni remora per vivere pienamente come dovremmo fare.
"Una splendida cascata ogni giorno ci ricorda che la miseria è un'invenzione degli uomini e la grandezza il normale andazzo del mondo": una frase che secondo me racchiude il senso di ogni pagina di questo libro e non solo. Mi piacerebbe molto che racchiudesse anche il significato della vita di ciascuno di noi.
Leggete questo libro perché Baricco è un incantatore, suona il liuto e noi, come tanti cobra, dobbiamo ondeggiargli davanti finché non ha finito. Non possiamo sottrarci alla sua musica.
Anarchic Rain
Come non dire sempre "grazie" a lui, quando si finisce un suo libro.
Ok, magari sarà presuntuoso (l'ho già specificato), ok, magari non te lo porteresti a cena fuori (o lui non porterebbe te), ma puoi sempre star sicuro che i suoi libri ti porteranno dove non hai mai sognato di poter andare un giorno. Non per mancanza di tempo o di soldi, ma per mancanza di immaginazione.
Cosa che lui ha. E usa. E bene. E meno male che lo fa.
Questo piccolissimo libro non è un romanzo, è uno scritto teatrale, un po' come Novecento, ma non è un monologo. Per la maggior parte del tempo è un tri-logo, solo alla fine spunta fuori (ma solo per poco) un altro personaggio.
In queste poche pagine (purtroppo) conosciamo Smith e Wesson, il primo un aspirante meteorologo, il secondo un Pescatore, uno che ripesca corpi dal fiume Niagara dopo che sono caduti (e verosimilmente morti), perlopiù suicidi. I siparietti tra i due sono di uno spettacolo quasi inverosimile, sono divertenti, irriverenti e indimenticabili. A loro si aggiunge Rachel, un'aspirante giornalista che decide di creare una storia da scrivere per far vedere quanto vale. Anzi, decide di diventare la storia che gli altri scriveranno. Decide di diventare il primo essere umano a buttarsi dalle cascate del Niagara non con l'intento di suicidarsi, ma con quello di iniziare finalmente a vivere.
Non è quasi importante la riuscita o meno del piano, la caduta e quello che succede nell'immediato. Quello che importa è il prima e il dopo.
Il prima vede i tre conoscersi sempre più a fondo, diventare intimi (senza scambi inappropriati di fluidi apparentemente, o comunque non ne è fatta menzione perché totalmente irrilevante), in un certo modo fino a scambiarsi la vita. Il dopo, come in un cerchio che si chiude, torna a essere un binomio, lo Smith & Wesson del titolo (hanno provato anche a usare i loro nomi, ma Tom e Jerry era persino più imbarazzante), che raccontano la loro esistenza itinerante.
Indipendentemente dall'esito del salto nella botte, Rachel ha insegnato loro lo stupore di godersi la vita e le sue piccole gioie, la ricerca di cose sempre nuove e di sensazioni mai provate prima. Ha insegnato loro a non avere paura a buttarsi in qualcosa anima e corpo, ad abbandonare ogni remora per vivere pienamente come dovremmo fare.
"Una splendida cascata ogni giorno ci ricorda che la miseria è un'invenzione degli uomini e la grandezza il normale andazzo del mondo": una frase che secondo me racchiude il senso di ogni pagina di questo libro e non solo. Mi piacerebbe molto che racchiudesse anche il significato della vita di ciascuno di noi.
Leggete questo libro perché Baricco è un incantatore, suona il liuto e noi, come tanti cobra, dobbiamo ondeggiargli davanti finché non ha finito. Non possiamo sottrarci alla sua musica.
Anarchic Rain
sabato 11 giugno 2016
Uomini senza donne di Haruki Murakami
Penultimo libro del sensei Murakami. Anzi, considerando che quello uscito per ultimo da noi è il primo in realtà uscito in patria, possiamo considerare Uomini senza donne la sua ultima fatica (per ora).
Non è un romanzo, quindi quelli che di voi hanno i pruriti quando si tratta di racconti si astengano dal leggerlo. Anche se secondo me vi perdete un sacco di roba buona. Non solo perché King ha detto che un racconto è come un bacio dato al buio a uno sconosciuto (cito, eh), ma anche perché per approcciarsi a certi autori sarebbe meglio partire da cose brevi.
Ecco, il racconto è una "cosa breve", anche quando è lungo, anche quando è novella.
Questi sono un po' più lunghi della sua media, ma nemmeno troppo: sono sei, per 250 pagine. Insomma "se po' fa'".
Chi già conosce Murakami sa che non deve aspettarsi un racconto tradizionale, con una trama tradizionale. Non solo perché lui non è occidentale, ma soprattutto perché non è il solito scrittore.
Le sue trame sono sempre o molto sottili o poco comprensibili o tutte e due. Per questo lo sconsiglio sempre a quelli che amano l'azione, i colpi di scena, i finali chiusi. Murakami non ha niente di tutto ciò. L'unico romanzo che rispecchia i canoni occidentali, pur rimanendo (ovviamente) di influenza orientale) è Norwegian wood, che infatti è quello che meno c'entra con la sua poetica e quello che mi piace meno tra tutti.
Comunque, in questo libro, ogni racconto ha protagonisti diversi e storie diverse, ma tutte hanno un filo rosso che le collega, il rapporto uomo-donna. Ogni personaggio maschile descritto ha come un vuoto dentro e ogni vuoto ha la forma di una donna che ha segnato la sua vita, specie dopo esserne uscita.
Ne abbiamo un po' per tutti i gusti: in Drive my car un attore di teatro assume una donna come autista ed è affascinato dalla sua "stranezza" (oltre che dal fatto che guida meglio di un uomo); in Yesterday il protagonista si ritrova coinvolto con una strana coppia, in cui il "lui" vorrebbe farlo uscire con la sua "lei" per lasciarla in mani sicure e la "lei" vuole sapere cosa diavolo succede al suo "lui"; Organo indipendente è un inno alle donne bugiarde (e traditrici); Shahrazad parla di un uomo che vive rinchiuso in casa (ma ovviamente non sappiamo il perché) e riceve visite da una donna, incaricata della sua cura, che cucina, fa la spesa e va a letto con lui (raccontandogli strane storie che non finiscono mai); Kino è quella che mi è piaciuta di più, ma probabilmente perché sono nel mio periodo "horror" e quindi prediligo le storie inquietanti (qui la donna è un vero essere demoniaco); Samsa innamorato è la più tenera della raccolta, con un Gregor kafkiano (ma quanto gli piace Kafka a Murakami!!) al contrario (una mattina invece di svegliarsi trasformato da uomo a insetto, si sveglia trasformato da insetto a uomo), in una cornice da brivido (credo Praga durante le rivolte comuniste); l'ultimo, Uomini senza donne, è quello che sinceramente ho apprezzato meno (ma questo non mi ha impedito di dargli quattro stelline su cinque, perché è una specie di monologo ininterrotto, con parecchi salti temporali, di un uomo a cui un tizio ha telefonato in piena notte per dirgli che la moglie (del tizio, non del protagonista) era morta suicida (si scopre poi che è una delle ex-fidanzate del protagonista. Non mi ha trasmesso molto, forse lo rileggerò più in là per vedere se l'impressione rimane.
Perché leggere questo libro? Ah, domanda infame. Innanzitutto perché è di Murakami, cavolo. E di lui ci si deve sempre fidare. Non ti tradisce mai o comunque mai del tutto. Leggetelo se avete voglia di scoprire le profondità di persone sconosciute, che in realtà potreste benissimo essere voi. Murakami sa di cosa parla quando scrive. E il lettore attento se ne accorge e si sente lusingato.
Lasciatevi lusingare dalle sue parole, leggetele la sera, magari se piove, magari con un bel jazz in sottofondo, mentre accarezzate la morbida pelliccia del vostro gatto che fa le fusa.
Anarchic Rain
mercoledì 8 giugno 2016
L'estate dei morti viventi di John Ajvide Lindqvist
Prima le facezie.
Dopo aver letto questo libro, posso affermare al di là di ogni ragionevole dubbio, che in Svezia, quando si piange, ci si DEVE sdraiare sul pavimento. Della cucina, del salone, della camera da letto. Uno qualsiasi, vanno bene tutti. Se non hai un pavimento, non puoi piangere.
Ah-ah.
Ok, ok, torno seria (per quanto mi è possibile).
Avete mai sentito quel detto "Una farfalla batte le ali in Florida e in Giappone arriva l'uragano" (o una variante geografica)? Ecco, in questo libro si parte dall'uragano, ossia dall'effetto che però è minuscolo rispetto alla farfalla che ha sbattuto le ali.
Le domande che il libro scatena sono decine: che faresti se i morti tornassero? La società moderna come la prenderebbe? Perché un morto dovrebbe tornare in vita? E lui, cosa farebbe?
Lindqvist cerca di rispondere a tutto. E in un certo senso la sua visione è interessante. Solo che sembra scritto di fretta. Cioè, la preparazione è molto dettagliata, ma non noiosa, conosciamo i personaggi, li vediamo prendere decisioni e interagire tra loro. Ma quando finalmente si arriva al nocciolo, lo risolve in due pagine. No, no, non si fa.
Il libro è suddiviso in capitoli, a loro volta suddivisi in sottocapitoli, ognuno col nome del quartiere di Stoccolma in cui si svolge. Sicuramente, ciò che contribuisce a rendere quasi palpabile l'atmosfera del libro, è il fatto che si svolge in luoghi che l'autore conosce (e probabilmente ama), rendendo le descrizioni vivide e realistiche.
I personaggi principali appartengono a tre nuclei familiari: padre (vivo)-madre (deceduta)-figlio (vivo), nonna (viva)-nipote (viva) e madre (viva)-figlio (deceduto)-nonno (vivo).
Mi sono piaciuti molto tutti e otto, anche il nonno (secondo me il più folle, con parziale accezione negativa del termine) con tutti i suoi lati negativi e la nonna con la sua mania religiosa, ma quella che più di tutti ho apprezzato è stata la nipote, una specie di darkettona anarchica con poteri ESP. E' lei che alla fine arriva a districare il nodo di tutti i perché accumulatisi in quei giorni surreali.
Se vi sembra fin qui una recensione un po' freddina, sappiate che è effettivamente così. Il libro non mi ha entusiasmato nemmeno un po', nonostante un paio di scene non mi abbiano permesso di continuare la lettura al buio. Probabilmente mi aspettavo un altro capolavoro alla Lasciami entrare.
Di certo è superiore a Musica dalla spiaggia del paradiso, il suo ultimo libro, una storia non-sense che non vuole arrivare da nessuna parte e non provoca niente tranne sporadici sbadigli...ma non di tantissimo, alla fine.
Lui scrive bene, ha un ottimo senso del ritmo e i personaggi sono interessanti. Ma le storie sono deboli.
Per ora ho letto tre dei cinque romanzi usciti e la sua unica raccolta di racconti (molto, molto bella); quando finalmente leggerò gli ultimi due, mi farò un'idea precisa di questo scrittore. Un solo capolavoro non è convincente...
Anarchic Rain
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