martedì 1 maggio 2018

Bisogna vivere con cautela e stare attenti alla compassione

TITOLO: L'impazienza del cuore
AUTORE: Stefan Zweig
EDIZIONE: Frassinelli
PAGINE: 376
VERSIONE LETTA: kindle 
VALUTAZIONE IN DECIMI: 6

Ogni tanto torno a Zweig, come si torna a qualcosa che si ama e da cui ci si sente protetti.
So che ogni suo libro mi piacerà e so che, spesso, mi piacerà tanto.



Non voglio dire che con questo ho avuto la mia prima Zweig-delusione, ma ci sono andata vicino.
Contrariamente a come mi ha abituata, è un romanzo, il suo primo e unico, ma come sempre al centro della vicenda c'è il momento topico di una vita. Il punto di svolta, il classico breakpoint, dal quale mai (o quasi mai) si torna indietro.
Stavolta a parlarci direttamente è un uomo, un ufficiale dell'esercito, che racconta la sua storia in prima persona a un conoscente. I fatti che per sempre lo cambiarono accaddero quando aveva solo venticinque anni ed era un giovane e sprovveduto sottotenente della cavalleria austriaca, poco prima della prima guerra mondiale.

Vediamo un po' cosa mi ha convinto meno rispetto al solito.
La scrittura. Ebbene sì, non mi ha conquistata in un attimo, come sempre accadeva con lui. L'ho trovata troppo pesante e a volte ripetitiva. Inoltre, anche se poi ha risolto tutto e si è districato nel groviglio creato, ha messo molta carne al fuoco, molte storie nella storia, a volte si perdeva quasi il conto di chi stesse raccontando cosa. Un po' confusionario, ecco.
I personaggi. Fino a metà libro circa, mi sembravano delle marionette senz'anima, nonostante i numerosi scatti di passione/ira/compassione/altro che si sono susseguiti. Troppo suscettibili e con poca sostanza. Per fortuna, l'ultima parte è bellissima, lì è uscito lo scrittore che mi ha catturata. Il lungo discorso del dottore al tenente è stata la parte più bella del libro: uomo verso uomo, solo la verità nient'altro che la verità, il buio come copertina di Linus e l'iniziale tentativo di redenzione.
Davvero bellissimo.
Anche in seguito c'è stata un'altra scena simile, catartica allo stesso modo, quando Hofmiller scrive la lettera allo stesso dottore, mettendo a nudo davvero la sua anima e facendo per la prima volta quello che davvero gli suggeriva il suo cuore, senza pregiudizi e paure.
Purtroppo nel mezzo tanto brodo sciacquato.

Una cosa che ho notato sono le coppie descritte; sono tre e ognuna ha meritato la sua brava storia: ovviamente la principale, quella che non nasce mai veramente tra Hofmiller ed Edith, quella tra il padre e la madre di Edith e quella del dottore con sua moglie cieca.
Tutte e tre sono basate su una certa dipendenza della donna dall'uomo: Edith è una storpia che tenterebbe anche l'impossibile per Hofmiller, che purtroppo la sdegna proprio per la sua condizione fisica; la madre di Edith viene raggirata dal suo futuro marito come una scema; la moglie del dottore è stata sua paziente, il suo più triste fallimento anzi, e ora dipende da lui.
Insomma, la sagra del mainagioia.
Ma le tre donne dipinte non sono assolutamente delle perdenti, per Zweig. Della madre di Edith non sappiamo molto, ma ci tiene a raccontarci che è stata molto, molto amata, nonostante l'inizio non proprio idilliaco, dal marito. Edith stessa è una ragazza di diciassette anni che, nonostante la menomazione, ha solo voglia di vivere, di essere trattata come tutti gli altri e di non essere un peso per nessuno. La moglie del dottore, che è cieca, ha comunque trovato il suo mondo nella sua casa, nella quale si muove come se ci vedesse, e nell'amore di suo marito, che è più che sincero.

Zweig ci mette in guardia per tutto il romanzo (come recita anche il titolo inglese): FATE ATTENZIONE ALLA COMPASSIONE (Beware of pity). La compassione può essere di due tipi, come tutte le cose al mondo, e bisogna scegliere con cautela perché, se si fa la scelta sbagliata, ci si avvelenerà tutta la vita. Purtroppo la compassione del tipo sbagliato è il sentimento che guida Hofmiller per quasi tutto il romanzo, una certa aspirazione al martirio, un autocompiacimento nel quale smarrirsi. E infatti per quasi quattrocento pagine lo seguiamo nell'altalena del suo spirito, che una volta va da una parte, il secondo dopo da quella opposta, a seconda dello scenario in cui si trova: quando è al castello, sente che il suo "dovere" è quello di stare accanto a Edith (anche se solo come amico, all'inizio), quando è in caserma reagisce con stizza al suo essere servile nei confronti della ragazza e rinnega cento volte quello che fa quando sono insieme. Ogni volta si ripromette di non tornarci, di non assecondare più nessuno, ma fondamentalmente è un bravo ragazzo e cede a ogni supplica.
Però cavolo, deve esserci un limite!! Confesso che non è stato bello seguire i suoi mutamenti d'animo, mi sembrava un isterico, un bamboccio, sempre in balia di altre persone.

Ecco, forse il motivo per cui non ho tanto amato il libro è proprio il suo protagonista! Non mi è piaciuto.

In definitiva, lo consiglio? Ni. Se non avete mai letto altro di Zweig, no, leggete prima i suoi racconti brevi, lì dà il meglio di sé.
Se invece già lo amate, allora leggetelo, e magari fatemi sapere se sono stata troppo dura!

Anarchic Rain

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