venerdì 10 luglio 2015

LA commedia romantica per eccellenza, ovviamente firmata dal nostro Bardo del cuore

TITOLO: Molto rumore per nulla
AUTORE: William Shakespeare
EDIZIONE: Oscar Mondadori
PAGINE: 203
VERSIONE LETTA: cartacea
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9

Il Bardo è tornato, ragazzi, e stavolta niente lacrime. O meglio, io ho lacrimato, ma solo dalle grasse risate che mi son fatta.



Iniziamo da capo. Ma proprio da capo.
Tutti quelli che non leggono o leggono poco, o che a scuola erano distratti e se ne fregavano anche delle cose veramente belle, pensano che Shakespeare sia una palla al piede, un depresso, uno sempre pronto a scrivere di duelli e morti atroci e insensate e amori falliti.
Beh, mi dispiace moltissimo per loro, perché non sanno cosa si perdono. Shakespeare fa anche ridere, ridere forte, ridere tanto. E ridere, cari miei, fa tanto bene alla salute.

Questa in particolare è una delle mie commedie preferite, intelligente, divertente, romantica e molto più profonda di quello che può sembrare a una lettura superficiale.

Parliamo prima delle cose semplici, dai, iniziamo soft.
Beatrice e Benedetto, i due protagonisti. Un uomo e una donna (li avrò messi in quest'ordine per caso??) che si sfidano a frecciatine, arguzie, giochi di parole. Lei, una lingua affilata e mordace; lui, un permaloso impenitente ma intelligente. I loro dialoghi iniziali (e anche i successivi) sono quello che tiene su l'opera intera. Giochi di parole che purtroppo/per fortuna si capiscono in lingua originale, quindi vi consiglio se potete di leggerlo direttamente in inglese. Non è difficilissimo (con un testo a fronte è molto semplice) ma la bellezza delle battute originali non potrà essere eguagliata mai, per quanto buona sia la traduzione.
Insomma, due persone di sesso opposto che si stuzzicano a piccole cattiverie verbali (innocenti, perlopiù) come possono finire se non innamorati cotti? Se poi ci mettono lo zampino i loro amici e parenti, ancora meglio.

Accanto a questo "amore giocoso", c'è quello "serio" di Ero e Claudio, un amore puro, virginale, timido (in effetti sembra proprio che i due siano più giovani di Beatrice e Benedetto), che si alimenta con sguardi fugaci e sorrisi appena accennati, con parole misurate ma comunque cariche d'affetto.

A parte tutto il casino da commedia degli errori che accade, accanto a questo tema "leggero" (se mai amore può essere leggero) ci sono altri micro-temi che mi sembrano molto, molto, molto attuali.
Lo straniero, il "bastardo" e l'"inferiore".
Uno dei comprimari, il principe, ha un fratello, anzi un fratellastro che, nonostante abbia commesso molti sbagli (veri e propri crimini in realtà) in passato, viene riammesso in società grazie alla bontà del principe che cerca di riabilitarlo. Purtroppo il cattivo di turno è davvero cattivo, malizioso e gode nel vedere gli altri in difficoltà, per cui alla fine il principe deve arrendersi all'evidenza e gettare la spugna.
Oggi, il tema dello "straniero", del "bastardo" è sulla bocca di tutti per ovvi fatti di cronaca e mi piacerebbe fare una piccola riflessione sull'attualità di uno scrittore inglese che è vissuto nel '600 e quindi è morto da tipo cinquecento anni. Per Shakespeare una persona è malvagia solo dopo che lo si dimostra oltre ogni ragionevole dubbio. Tutti sanno che il fratellastro del principe è un poco di buono, ma finché non ne hanno la prova tangibile tutti lo trattano con deferenza (e un po' di timore, anche). Il principe, nonostante non sia uno sciocco, probabilmente sa che c'è qualcosa che non va nel fratello, però gli concede il beneficio del dubbio. Dovremmo farlo anche noi, penso. Anche quando non è facile.

E qui arrivo all'altro micro-tema: l'"inferiore". Mi dispiace di non aver trovato un termine migliore, ma questo (almeno per quanto riguarda l'opera) calza a pennello.
Tutto il garbuglio di errori in cui protagonisti e comprimari sono caduti viene sciolto "facilmente" grazie a due capoguardie della ronda di notte, due persone sicuramente non acculturate, anzi, diciamocelo, piuttosto rozze e ignoranti, anche nel registro verbale (che risulta piuttosto spassoso al pubblico). Però, oltre le apparenze, sanno fare il proprio lavoro e appena capiscono chi c'è dietro la "tragedia" accaduta poco prima, non esitano ad avvisare subito il principe. Certo, bisogna aver la pazienza di ascoltarli e decifrare le loro parole, però alla fine sono loro che risolvono l'inghippo.

E poi il finale (non rompete con lo spoiler, è una commedia, che vi aspettate??!!) è allegro oltre ogni dire, c'è musica e si balla e tutte le preoccupazioni vengono rimandate al domani. C'è un tempo per soffrire e c'è un tempo per gioire. E decisamente ora è il tempo di gioire.
Musica!

Anarchic Rain

Attenti ai luna park e alle giostre che girano all'indietro...

TITOLO: Il popolo dell'autunno
AUTORE: Ray Bradbury
EDIZIONE: Mondadori
PAGINE: 278
VERSIONE LETTA: cartacea/kindle
VALUTAZIONE IN DECIMI: 9

"Si può uccidere il male seppellendolo di risate" SK

Questa è una celebre frase dello zio King. Pensavo fosse uno dei meravigliosi parti della sua mente prodigiosa, ma non è così. O meglio, è probabilmente ispirata al libro di cui mi accingo a parlare. Non lo dico solo per una questione di trama e/o citazione. Lo zio deve a questo "piccolo" capolavoro nientepopodimenochè IT.

Infatti Bradbury ci trasporta in un sonnolento paesino americano, la cui esistenza è nota praticamente solo agli abitanti, tra cui ci sono i nostri due protagonisti: Will e Jim, due grandi amici di quasi quattordici anni. Nati a due minuti l'uno dall'altro, durante la mezzanotte di Halloween.
La prima pagina già ti cattura e ti incuriosisce e non vedi l'ora di saperne di più.
Più si va avanti più inseguiamo curiosi i ragazzi per le vie del paese, mentre sgattaiolano di notte fuori casa, attirati da profumi, suoni, promesse nel vento.
Ma l'orrore comincia subito.
In IT era un pagliaccio "da solo" (si, lo so, rappresenta il male totale, ma sempre un pagliaccio è). Qui abbiamo un intero parco giochi itinerante, con i due proprietari, uno più oscuro dell'altro. Il peggiore, mr Dark.

La storia di una crescita, anzi di due, la storia di un'amicizia, quella d'acciaio, di quelle possibili forse solo finché dura l'innocenza.
Io mi sono subito affezionata ai due ragazzi, ma più che alla voce narrante (Will) a Jim, che mi pare segnato fin dall'inizio. Sembra più maturo dell'amico, eppure quando si tratta di scegliere sbaglia. E alla grande. Per fortuna al suo fianco c'è sempre Will, che spinto dall'affetto sincero per lui vuole salvarlo a tutti i costi.

Ovviamente non vi dico se ci riesce o meno, non sono così crudele da farvi lo spoiler dell'ultima pagina. Però vi posso dire che tutto in questo libro è emozionante.
All'inizio non capivo il perché, non ci sono molti aggettivi, quasi nessun avverbio (King sicuramente pensava anche a lui quando scrisse On writing), però Bradbury riesce a creare la suspance e il desiderio di continuare pagina dopo pagina semplicemente raccontando senza abbellimenti quello che succede.
Bellissime le descrizioni del paese di notte e della radura dove gli itineranti si sono stabiliti.

Ma chi è il popolo dell'autunno? Chi sono questi misteriosi e spaventevoli personaggi che inquietano così tanto Will e attirano nello stesso modo Jim? Sono gli esseri più lontani dall'amore tra tutti gli umani (e non, viene da dire), quelli che si nutrono degli incubi e terrori degli altri.
Una giostra, la più terribile di tutte, ti mostra come sei, come sei stato e come sarai, non soltanto fisicamente, ma anche nell'anima e non si può far altro che (tentare di) fuggire come fulmini. Ma spesso non ci si riesce.
E poi l'altra giostra, quella che stranamente suona una musica a ritroso...qual è il suo maleficio? E perché Jim ne è attratto?

Ragazzi, ho amato ogni singola parola di questo libro.
Quando ero ormai a metà, mi sembrava di aver letto cinquecento pagine e invece in tutto il libro ne ha circa trecento. Ma non perché è lento o noioso, non fraintendetemi. Invece era perché ogni pagina era densa di psicologia dei personaggi, non di quella spiegata a parole, ma intuita dai fatti e da semplici silenzi. Tutto in quel libro va interpretato a fondo, secondo me, pur risultando una lettura molto leggera.

Insomma, alla fine dei giochi, il risultato è che il libro vale ogni singolo minuto speso a leggerlo e che ve lo consiglio non una, non due ma diciannove volte (perché proprio diciannove? Beh, ka -questa è per i kinghiani-).

A presto, carissimi, e diffidate delle promesse facili e degli incanti troppo allettanti.

Anarchic Rain